venerdì 28 ottobre 2011

l'invidia del pane




Al posto della testa ho una lavagnetta. Dove sono segnate le cose che ho fatto (poche), quelle da fare (inesauribili), quelle che avrei voluto fare (in numero immenso e inversamente proporzionale a quelle fatte), quelle a cui ho rinunciato (tante pure queste) e quelle rimaste a metà. Una sottocategoria di quest’ultimo gruppo è occupata dalle cose che non ho potuto completare o neppure iniziare perché stavo male; e, lo scrivo con un misto di orgoglio e vergogna, a questo elenco si accompagna la lista delle volte in cui ho immaginato ciò che mi sono persa fissando i soffitti dei pronto soccorso di varie città.

E il motivo è sempre lo stesso.

Nonostante – devo essere sincera – mi rincuori il confronto con altri pancioni più cocomerosi del mio a parità di settimane; nonostante le rassicurazioni della dottoressa C. a cui senz’altro, la prossima settimana si aggiungeranno quelle della dottoressa T. e S.; nonostante la ramanzine di Lui cui presto – visto che ci dovremo forzatamente trasferire causa lavori in casa – si aggiungeranno quelle della mamma/nonna (e, per non farci mancare nulla, pure quelle della nonna/bisnonna); nonostante in una remota e infinitesimale parte del mio cervello, probabilmente nascosta dietro la lavagnetta, ci sia la consapevolezza che il mio modo di alimentarmi sarebbe poco anche se non fossi in tandem…

Nonostante tutto ciò (e probabilmente molto altro) non riesco a mangiare se so di avere un invito a pranzo/cena.

Fosse anche fra una settimana, un mese, un anno, l’invito ha bisogno di una preparazione accurata, fatta di semidigiuni e calcoli puramente teorici su quante calorie mi posso concedere, sulle ore che mancano al momento in cui finalmente potrò mangiare, su quanto e cosa potrò mangiare perché comunque non sia troppo e su quanta altra penitenza sarà necessaria al termine della libagione.
Paura e invidia.
Timore di lasciarmi andare, non solo con il cibo ma con le emozioni divertendomi troppo; invidia per chi questi problemi non se ne fa e si siede tranquillamente davanti a un piatto di spaghetti al ragù anche se andrà a cena fuori e, quando viene il momento della festa, non cerca di tenere a mente quanti tramezzini, patatine o bicchieri di aranciata ha tracannato.

Perché io, invece faccio così, sempre: anche ieri sera. Non ne sono certo orgogliosa, ma ormai non posso rimediare e il mal di stomaco che ho ancora mi ricorda gli errori di ieri cercando (purtroppo invano) di inculcarmi un comportamento più sano, più umano.

Forse, più da mamma.

Il punto è che vorrei che le cose cambiassero, davvero; e lo vorrei non per la principessa, ma per me, perché questi pensieri mi sfiniscono mentalmente e fisicamente, logorano la mia memoria e la capacità di concentrazione, mi impediscono spesso di guardare oltre il mio naso (ora, per la prima volta nella vita, superato in evidenza dal cocomerino).

Solo che non ce la faccio.

2 commenti:

  1. Ma la gente che mangia normalmente è pazza? Le donne che hanno pance normali non sono normali?

    RispondiElimina