martedì 11 ottobre 2011

ci siamo: perchè un nuovo blog di mamme



Ok: è ora. E’ ora di spiegare perché ho pensato di aprire un blog. Premetto che la mia intenzione non è quella di suscitare compassione, ma solo il desiderio di condividere dei pensieri nella speranza, forse troppo arrogante, di essere utile agli altri e, egoisticamente, a me. Per dire (posto che mi leggano) a chi è passato o sta passando attraverso il turbine di emozioni che ho provato anche io che in qualche modo è normale anche questo, che non si è soli seppure sembri il contrario: perché tra le tante ragazze e donne che ho conosciuto in questi anni certo ce ne sono alcune che hanno avuto bambini o hanno intenzione di “aprire i cantieri” e, con un po’ di presunzione, immagino possano avere dubbi e ansie simili alle mie.
Finita la premessa, diciamo che soprattutto negli scorsi mesi ho sentito forte il bisogno di qualcuno con cui parlare. Per fortuna, a cadenze regolari, questo peso di paure veniva alleviato dalle dottoresse che mi stanno seguendo dimostrando un tatto e una comprensione che, purtroppo, raramente si riscontrano anche in chi li dovrebbe esercitare “per contratto”.
In questi mesi ho continuato a sentirmi dire che “la gravidanza è il momento migliore nella vita di una donna: goditela!”. Adesso: a parte che qualcuno mi deve spiegare cosa ci sia di meraviglioso nell’alzarsi dal letto con la nausea dopo aver inutilmente cercato di placarla rivoltandosi nel letto; nello svegliarsi e trascorrere l’intera giornata con in bocca un sapore perennemente metallico/amaro/dolciastro, insomma indefinibile che non ti permette di distinguere una brioche al cioccolato dalla gamba di un tavolo; nel non poter dormire decentemente perché finora si era abituate a stare a pancia in giù (sì, lo so: più volte mi hanno detto che è una posa da neonati, ma che ci posso fare?); nel centellinare decine di pacchetti di crackers, patatine, grissini tanto da pensare di chiamare il nascituro Salatino, Taralluccio o Patatina (e non come semplici vezzeggiativi); nell’avere il costante desiderio di appoggiare la testa su qualsiasi posizione orizzontale per poter agevolare la chiusura degli occhi già pencolanti… E questi sono solo i sintomi che mi hanno riguardata.
Ma, oltre a tutto questo, come non fosse abbastanza, c’è anche un’altra, fondamentale questione: per quanto tu l’abbia desiderato, voluto, sognato, a livello emotivo sapere di aspettare un bambino è qualcosa di assolutamente sconvolgente. Credo per tutte: perché sono convinta che, seppure predisposte allo “sdoppiamento” (come ho scritto in un post precedente) l’istinto di maternità non è qualcosa che spunta insieme alla doppia linea rosa del test di gravidanza. E se, come ho detto, sono convinta sia così per tutte, ancora più pesante è “accettare” i cambiamenti a venire per chi, come me, ha sempre cercato di controllare tutto: a cominciare da se stessa e dal proprio corpo.
Nessuno può sapere cosa accadrà di mese in mese, quanto sarà grande la tua “navicella” allo scadere dei nove mesi, se ritornerai la stessa di prima una volta che avrai “sfornato” il pupo. Ecco, lo confesso a costo di essere bollata come la più degenere ed egoista delle future mamme: io pensavo solo a questo. O meglio: questi pensieri erano una parte della questione, quella questione che tiene banco nella mia testa da … beh, più o meno quattordici anni; e che proprio per essere così di vecchia data non poteva essere cancellata neppure con il colpo di spugna imbevuta di gioia e incredulità che pure stavo vivendo.
Come detto, fortunatamente chi mi ha accompagnato finora con competenza e pazienza in questo cammino è stato molto più fiducioso di me e molto prima di quanto lo potessi essere io: credo che, se anche non me l’abbiano mai confessato apertamente, sapessero bene che qualcosa a un certo punto sarebbe cambiato. E quel punto è stato quando, all’ingresso nel quinto mese, ho scoperto che sarebbe stata una bimba: una bimba che si è fatta amare ancor di più quando ha iniziato a farsi sentire confondendo la mia pancia con il palcoscenico del Bolshoi dove improvvisare gli interi tre atti del “Lago dei cigni”. E ha subito rafforzato l’idea che, appena saprà stare in piedi, correrò a iscriverla a un corso di danza.
Certo, ora qualcosa è cambiato: ma per il pessimismo che mi contraddistingue, vivo come sempre in equilibrio precario su una fune, dubbiosa se si tratti di un vero, nuovo approccio alla maternità, alla vita e soprattutto a me, o di un mutamento passeggero. Ma per ora cerco di seguire il consiglio di tutti: me la godo.
E ringrazio la mia ballerina.
P.s: come ho già scritto e come temo, questo “outing” mi costerà in termini di amicizie, rispetto, stima. Ma tant’è: purtroppo questa sono io, nel bene e nel male che certi disturbi possono “regalare”.

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