sabato 25 febbraio 2012

finalmente il parto (parte terza)



Mi rendo conto che, spezzettando la narrazione dell’allunaggio in così tanti episodi, si può avere l’impressione che si sia trattato di un parto più lungo dell’intera gravidanza: insomma, simile a quello degli elefanti.

E invece no: io che tanto temevo le lunghe ore di travaglio (più perché mi chiedevo: ma che caspita faccio in tutto quel tempo?), che temevo l’insopportabilità del dolore e che mi chiedevo chissà come sarebbe successo ho avuto una bella sorpresa. Una sorpresa che - a dirla tutta - ancora oggi che Sofia ha 24 giorni, forse proprio per la rapidità e l’imprevedibilità del tutto, mi fa dubitare che sia successo veramente; e mi fa pure ancora dubitare sull’avvenuta trasformazione in “mammaconicalzettoni”: d’altronde, e forse è giusto sia così (??), continuo a pensare a me come prima, nel senso che cerco – quando dorme o quando posso approfittare del papà – di accendere il computer e andare su internet, di pulire casa (che è diventato un diversivo piacevole rispetto all’inspiegabilità di certi suoi pianti) e pure di prendermi cura di me.

Non a caso, una delle prime cose che mi ero ripromessa di fare dopo il parto era togliermi i baffi con la crema depilatoria: fatto, non ho più i mustacchi alla Cecco Beppe. E, seconda cosa che mi ero ripromessa: tornare a dormire a pancia in giù: fatto pure quello, e la mia schiena ringrazia.


Comunque, eravamo rimasti sulla soglia della sala travaglio, abbandonata a corpo morto tra le braccia dell’infermierona e di Lui per essere trasportata in sala parto dove mi aspettava l’ostetrica per una semplice visita. Nel corridoio ci imbattiamo nella dottoressa C. che, vedendomi così malconcia, decide di prolungare il suo turno (ormai finito) per accompagnarmi in questa nuova tappa e vedere a che punto siamo.

«No, lei rimanga fuori: tanto è solo una visita»; e così Lui, che da mesi si stava preparando all’ingresso trionfale in sala parto, pronto anche a guardare lo spettacolo dalla prima fila, vien rimandato indietro. Ho saputo poi che per far fronte alla delusione provocata da questo altolà, ha pensato di fiondarsi sul panino. Per poco però: appena mi siedo sul lettino della sala parto, l’ostetrica E. in seguito a una rapida occhiata alla … pista d’atterraggio, annuncia a gran voce:
«Ma qui si vedono già i capelli!»
«Beh, se si vedono vuol dire che li ha», abbozzo con un filo di voce mentre intorno a me percepisco, nel mio stato di persistente semi-incoscienza, un gran movimento, con la dottoressa C. che si piazza al mio fianco, l’infermierona che corre a chiamare Lui, Lui che – il boccone fra i denti - viene infilato nel camice verde e costretto, pure lui, a sottomettersi agli ordini dell’ostetrica. Già, perché c’era anche la dottoressa C, ma la vera regista era lei : e guai a metterlo in dubbio, pena un manrovescio ben piazzato.



Descrivere cosa sia successo poi è difficile: le voci si mescolavano, con l’ostetrica che mi urlava il classico «Spingi! Respira!», condito da rimproveri per la mia (a suo parere) scarsa decisione e “aggressività”; la dottoressa che dal canto suo mi difendeva («Ma no! Conoscendola è bravissima!») e Lui che, ancora una volta, aveva indossato i panni dell’aiuto ostetrico/ginecologo e ripeteva le incitazioni della “regista”, sempre più simili (almeno nel tono) a degli insulti.
E io che, come non avrei creduto di fare, urlavo: stremata, mi chiedevo nuovamente – come accaduto durante il travaglio – se non si potesse tornare indietro. No, in effetti non si poteva: ormai lo shuttle si stava facendo vedere, un pochino di più a ogni spinta. Per smorzare l’atmosfera Lui, a cui l’ostetrica aveva assegnato il ruolo di “reggitesta”, esclama infatti, con tono tra l’inorridito e il divertito: «Non sarò lì davanti, ma anche da qui vedo tutto!».


Poi, all’improvviso, un vagito: forte, sonoro, incazzato. Percepisco sciogliersi la tensione che aleggiava nella stanza, la dottoressa C. mi abbraccia, mi bacia entusiasta e continua a dirmi che sono stata bravissima, «Tu, che avevi tanta paura!». Lui sorride e inizia a ripetere che è bellissima. La vedo solo quando la portano fra i nostri volti: piccola rossa, piangente: sembra un uccellino indifeso, così com’è tutta nuda.

Chissà se è contenta di essere allunata, chissà se stava meglio dov’era prima. Non è, effettivamente, che mi sia chiesta tutto questo: ci sto pensando ora, rivedendo come in un film quei momenti che, come ho scritto, mi sembrano ancora irreali. Certo, il dolore che ho provato dopo quando - da coprotagonista umana - sono stata declassata a tacchino del ringraziamento da pulire, ricucire e sistemare, è stato oltremodo reale: e non è proprio vero che il dolore del parto si dimentica appena vedi il fagottino: anche se incrociare i suoi occhi e scoprire i lineamenti di chi, per nove mesi, ha usato la sua navicella come campo di calcetto, è qualcosa che occulta temporaneamente la percezione del tuo corpo.
Corpo che, da uno, è diventato due: e allora, una volta trasportata in camera, il tempo sembrava essersi dilatato a dismisura. Sofia e Lui erano stati presi, credo ambedue di peso, per essere portati nella nursery dove fare i primi controlli e i primi trattamenti di bellezza: a me quel tempo è sembrato interminabile. Ora che ero tornata in possesso delle mie facoltà e avevo recuperato un po’ di forza volevo finalmente conoscerla, vederla, tenerla in braccio.


E quando Lui è entrato nella stanza con un sorriso gigantesco e luminoso e Sofia infagottata fra le braccia è iniziata la nostra nuova avventura a tre.

p. s: insomma, non l’ho detto ancora chiaramente ma le grandi manovre sono iniziate ufficialmente (cioè con le contrazioni più serie) intorno alle 11; alle 13 mi hanno portata in sala parto per la visita, dopo circa un quarto d’ora hanno chiamato Lui: e Sofia è arrivata alle 13.40.

mercoledì 15 febbraio 2012

parte il parto (parte prima)



Bene. Secondo i miei calcoli dovrei avere un’oretta di autonomia prima della colazione di Sofia quindi spero di riuscire a procedere con il racconto …
 


Vi avevo lasciato con l’immagine di me sospesa sul letto a causa del mitico “assorbente verde”: quanto è stato più difficile, da quell’altezza, prendere appunti sul mio quadernino rosso! Sarà stato per questo che ogni infermiera, medico, ostetrica che entrava, vedendomi scrivere, faceva una smorfia di perplessità? Chissà cosa si sono immaginati: l’unica ad avere l’ardire di chiedermi cosa stessi facendo è stata un’ostetrica un po’ sbrigativa, mai incontrata prima di allora, secondo la quale sarei rimasta lì almeno per tutta la giornata. Salvo poi, il giorno successivo, ammettere che la scrittura è stata un mio personale metodo di rilassamento che mi ha aiutata ad affrontare il travaglio: e credo avesse ragione, anche se nelle fasi più acute ho, ovviamente, deposto penna e calamaio.

Sono le 10: vengono a chiamarmi per la visita con il primario che deciderà il da farsi. Ammetto di aver sempre temuto le sue visite: ogni volta che lo incrociavo quando andavo a fare dei controlli lo vedevo passare con un codazzo di medici e immaginavo che, una volta partorito, sarei stata ispezionata da lui con il suo entourage pronto a godersi lo spettacolo. Voglio dire: potrebbe andare in un ospedale universitario, ma comunque ciò che dev’essere visitato non è un braccio in gesso …

Sorpresa: quando entro nell’ambulatorio trovo la capo ostetrica, al tavolo la mia dottoressa (ridotta al ruolo di piccolo scrivano fiorentino) e il dottor C. che, da lontano, assiste alla visita. Ora: a essere cattivi o anche solo realisti, avrei dovuto rimbeccare ogni uscita del primario sottolineando l’inettitudine del pupillo. Ma non sono abbastanza cattiva o forse non abbastanza sincera: aggiungiamo a ciò la soggezione per la visita fatta dal capo et voilà: il dottor C. è rimasto illeso da qualsiasi operazione di discredito (per non usare parole più acconce ma di impatto troppo forte per un blog glamour). Comunque, qui posso dire come siano andate le cose: e i commenti li faranno i lettori.




Prima defaillance. Appena mi “accomodo” sul lettino (espressione poco appropriata per quegli arnesi con staffe) e il luminare vede il confortevole e morbidissimo “assorbente verde”…

«Ma, e questo? A che serve? Sul verde non si vede nulla: per capire quante perdite aveva la signora era più adatto un lenzuolo bianco».

Rido sotto i baffi, espressione questa sì oltremodo appropriata dato che per i nove mesi di gravidanza non mi sono potuta depilare con la crema sotto il naso adattandomi malvolentieri all’uso delle pinzette.
 

Seconda e ben più grave defaillance. Prima di cominciare la visita, il primario accende l’ecografo, appoggia per mezzo minuto il “rullo” opportunamente ricoperto di gel sulla mia pancia e …

«Qui di liquido ce n’è e non ce n’è: ma lei si è accorta di aver perso le acque??»

Bene: a parte il fatto che – pensandoci a posteriori – probabilmente la rottura è stata causata dallo scivolone sulle scale del venerdì precedente e a parte il non aver correttamente interpretato le perdite dell’ultimo periodo, più consistenti ma comunque confondibili con quelle avute per tutta la gravidanza, penso a come il dottor C., solo la sera prima, non si sia accorto di nulla: e sì che ha percorso la mia pancia con l’ecografo per buoni cinque minuti e non mezzo secondo come il primario …

In una cosa però i due medici si assomigliano molto: nel modo di condurre la visita vera e propria. Quando esco dall’ambulatorio mi chiedo quanto dolore potessero provare in analoghi controlli le donne in momenti storici meno illuminati dei nostri dato che il male percepito mi fa sbarellare per il corridoio.

 

Torno in sala travaglio: il responso del primario è che l’utero è appianato ma senza traccia di dilatazione, le contrazioni sono ancora molto saltuarie quindi, come in un’equazione matematica, per «accelerare il tutto» è ora di attaccarmi a una flebo di antibiotico e poi procedere con un clistere. Che emozione (commento ovviamente ironico): non ne ho mai fatto uno!! Decido di condividere questa euforia con Lui:

«Ma allora vengo?»

«Non so, vedi tu: magari fra un po’, tanto non credo che l’antibiotico avrà effetto immediato.»

«Ok, allora magari parto fra un’ora… ma bon, senti: cosa cambia un’ora? Arrivo adesso»

E per fortuna: altrimenti non so come sarebbero andate le cose. La mia paura maggiore, condivisa anche con l’infermiera addetta alla nuova e per me inedita tortura, era ritrovarmi a terra in bagno a causa di uno svenimento: ed è per questo che, poverina, ha sfidato la sorte venendo a portarmi una tazza di tè iper zuccherino nel tentativo di integrare i liquidi rapidamente, inaspettatamente e quasi inconsciamente persi.

allunaggio parte seconda



Sofia oggi compie due settimane.

Proprio il giorno di S. Valentino. Mi pare una bella coincidenza. (p. s: oggi che lo pubblico, con un ritardo dovuto proprio alla protagonista della storia, ormai la principessa ha due settimane e un giorno…)

Vediamo così di riprendere il filo della narrazione del suo arrivo dal momento in cui l’ho lasciato. Peraltro le mie poche ma affezionate fan mi han fatto sapere di aver riso parecchio durante la lettura: beh, le comiche erano appena all’inizio.
 
 
Eravamo rimasti alla fine della visita con il mitico dottor C che, sebbene non totalmente persuaso, mi ha ricoverata. L’ostetrica mi risistema dunque nella sala travaglio attaccandomi nuovamente al monitor che Lui, vestiti i panni del perfetto assistente ginecologo, fissa incessantemente per interpretare i numerini e i grafici del monitor nel tentativo di capire cosa io stia percependo.
«Beh, dai: non è tanto forte come dicevi».
«Sì: ma siamo solo all’inizio…»
E in effetti le contrazioni erano ancora blande e saltuarie: avrei messo la firma perché continuassero così mentre, nell’illusione che già quello potesse essere l’apice, continuavo a dirmi “brava, stai proprio sopportando tutto alla perfezione!”.


Poco dopo Lui torna a casa: è quasi l’una e quando viene l’ostetrica a staccarmi i sensori le chiedo cosa siano i condilomi.
«Hai presente che adesso alle ragazzine viene fatto il vaccino per il papilloma virus? Ecco: i condilomi sono collegati a quello»
Aeh!, penso: il dottor C. è il catastrofismo fatto persona: tre mesi fa, all’ultima morfologica che ho fatto (e che ha fatto lui) mi aveva allarmata sulle contrazioni dicendomi di precipitarmi in ospedale se le sentissi troppo forti: e questo mi ha fatto saltare la piscina con le mie amiche overage per l’intero ultimo mese di gravidanza; adesso mi prospetta una forma tumorale ai piani bassi? Meglio che apra la finestra e mi butti giù!
«Io però, da quello che ho visto dal punto in cui ero, credo si tratti piuttosto di un frammento di imene rimasto lì e ora sanguinante»
Beh: non so quale diagnosi sia preferibile. Mi pare evidente, al punto in cui sono, che la verginità è un lontano ricordo. Oppure lo Spirito santo ha deciso di colpire a 2012 anni di distanza…


Comunque poco dopo mi lascia invitandomi a riposare in vista di quel chissà cosa che decideranno i medici al mattino. Chiudo gli occhi ma dopo poco arriva un’infermiera per compilare un questionario: indirizzo, numero di telefono, religione, lingua, nome: chissà, magari intanto preparano il cartoncino rosa da appendere fuori dalla porta assieme al fiocco. Cerco nuovamente di dormire, anche perché finalmente mi hanno portato la coperta in più che ho chiesto e nel frattempo ho sostituito la camicia da notte con il pigiama lungo: nella mia ingenuità, credevo di essere già pronta per il travaglio e avevo quindi seguito alla lettera le indicazioni del corso preparto indossando l’abbigliamento più adatto per le ultime fasi dell’allunaggio. Cerco di dormire, ma non ci riesco: mi manca Lui, mi mancano i gatti e tutto mi sembra ancora così irreale …
 
 
Finalmente mi appisolo ma dalle 5 non dormo più: penso che fra un’ora anche Lui si sveglierà, inizio ad avere fame (!), mi chiedo se potrò lavarmi e cosa succederà nelle prossime ore mentre i dolori, soprattutto nella schiena, si infittiscono e aumentano di intensità. Ormai sono le 6: torna l’ostetrica per un nuovo tracciato, arriva l’infermiera per misurarmi la pressione e pesarmi. Momento terribile: chissà quanto sarò aumentata dal giorno del day hospital…
«Ma dal 29 dicembre non si è più pesata?!»
E perché avrei dovuto? Per farmi venire un coccolone? E invece no: vorrei quasi saltare di gioia perché il peso è lo stesso; o meglio: probabilmente era falsato il peso di fine anno, valutato completamente vestita e con addosso degli scarponcini da 5 chili l’uno. Che fossi una mongolfiera era quindi, tanto per cambiare, solo una mia impressione.

Arriva un’infermiera dal viso dolcissimo, materno, che incontrerò più volte nei prossimi giorni, per portarmi un ciotolone di tè schiumoso (??) con due pacchetti di fette biscottate. «Ma come» penso «quando venivo a fare i controlli, c’erano le future mamme sotto sorveglianza per glicemia e pressione alta distribuivano anche la marmellata e a me che (forse) tra poco dovrò affrontare il travaglio niente di appetitoso??». Unica consolazione: se nasce oggi forse il fine settimana siamo a casa e festeggiamo il compleanno di Lui con una bella scorpacciata di pizza.

Sono quasi le 8.30: mi sono lavata, ho guardato distrattamente la tv per ascoltare che, forse, domani arriva la neve: bene, meno male che sono già qui.

Oddio, eccolo di nuovo, il dottor C. Gli faccio presente che continuo ad avere delle perdite. Colpo di genio: «Adesso le faccio portare un assorbente verde per apprezzare la quantità della perdita».
Poco dopo ecco arrivare un’infermiera con un lenzuolo verde e rigido: «Ecco, lo metta come un’assorbente!»
Assorbente?? Dopo averlo sistemato alla meglio, con un sentore di ruvidezza che mi sembra di aver un porcospino negli slip, ho la sensazione di essere seduta sospesa a un metro dal letto.

Meno male che, poco dopo, entra in camera la dottoressa C.: sapere che c’è lei di turno mi rassicura allo stesso modo in cui, quando mi telefona, rassicuro la mamma-nonna facendole credere di essere a casa, ancora nessun movimento panciale in corso: se le avessi detto la verità, si sarebbe precipitata e allora sì che il presunto, probabile travaglio (ancora dato per incerto da tutti, medici, ostetriche e infermiere: quasi quasi penso di essere una visionaria delle contrazioni) potrebbe durare giorni se non settimane.

sabato 11 febbraio 2012

genitori (e famiglia) in rodaggio




Tanti giorni di pausa dal blog, a cui ho costantemente pensato: forse soprattutto come forma di contatto con il mondo e come … operazione di igiene mentale ed emotiva. Certo chi è già mamma immagina cosa sia successo in questo periodo: siamo stati letteralmente risucchiati da Sofia.
 


Dai nuovi ritmi della quotidianità, fatta di poppate, cambi pannolino con improvvise pipì e più consistenti espressioni di disappunto appena finito di pulire il sederino santo; pranzi e cene consumate negli intervalli lasciati tranquilli dai pasti della principessa; pulizie costanti della casa, perennemente invasa di polvere, vuoi per i peli dei fratelli maggiori vuoi per il riscaldamento tenuto a palla in queste freddissime giornate; tentativi, perlopiù andati a vuoto, di pisolare quando riposa Sofia che, come un radar, appena sente appoggiare la testa (altrui) sul cuscino, attacca la sirena.
 


E poi ci sono gli aggiustamenti dati dall’incremento della famiglia, con consigli che rimbalzano da me a Lui soprattutto nei momenti di pulizia della piccola, organizzati come il cambio gomme della Ferrari, con il papà che si occupa dell’ombelico e dell’operazione oliatura (al termine della quale Sofia sembra un tonno nostromo, impossibile da prendere a meno di farla sgusciare da ogni parte più di quanto non faccia normalmente divincolandosi: quindi, la trasformazione in patatina di Mc Donald’s è passata da me durante la gravidanza a lei, come dire: dall’unzione del pancione all’unzione del suo contenuto), io che cerco di vestirla nel modo più rapido e indolore possibile tenendo a mente le manovre spiegate, ormai troppo tempo fa, dall’ostetrica T. Consigli che rimbalzano e si scambiano dalla mia alla sua bocca anche in occasione delle poppate: se i primi giorni al minimo pianto Lui la prendeva in braccio cercandomi per casa con uno sguardo da «Guarda che mamma degenere sei che lasci piangere tua figlia senza nutrirla» e le mie rispettive e credo più che legittime rimostranze al riguardo, all’attuale suo «Lasciala piangere un pochino prima di darle da mangiare, così sei sicura che è sveglia: di giorno, ovviamente, non di notte!», ai miei rimbrotti perché la sta viziando prendendola immediatamente in braccio ogni volta che piange, compreso quando (ma spero ci abbia solo provato e non l’abbia fatto davvero) lunedì pomeriggio ho pensato di andare tutti insieme al supermercato: e dopo un po’ ha attaccato la sirena.

Insomma: ogni cosa è nuova, carica di potenziale ansia che cerco di tenere a bada (e mi stupisco, sinceramente, di certa mia serenità) e di senso di smarrimento, inadeguatezza. Del resto la dottoressa S. me l’aveva detto: ci saranno momenti in cui tu e tua figlia non vi capirete, momenti in cui tu non capirai lei e momenti in cui lei non capirà te. Beh, se l’inizio di questa convivenza a tre ci aveva fatto ben sperare con una scansione quasi asburgica (data da Sofia, intendiamoci) fra ore di pappa e di nanna (ogni 3 ore), negli ultimi due giorni invece questo ordine si è sgretolato portandola a strillare per la fame anche ogni ora-ora e mezza e questo perché i pasti sono stati sostituiti da “spuntini” di dieci minuti. Scatenando il mio pianto: però, finora, son stata brava e ho ceduto solo due volte allo sconforto. Mi chiedo cosa succederà quando Lui tornerà al lavoro, ma cerco di non pensarci troppo.
 


Peraltro Lui si è proprio trasformato.

Se già in gravidanza aveva dato avvisaglie di un mutamento positivo, adesso è accaduto il vero miracolo: pulisce casa da cima a fondo senza che glielo chieda, anzi, proponendo autonomamente «Cosa dici? Pulisco il pavimento?»; riesce a trovare detersivi, stracci e affini; fa la spesa; ha subito calzato i panni del papà premuroso alias iper apprensivo; e, soprattutto, ha trascorso una settimana d’inferno fra scartoffie varie facendomi tornare in mente il “Sor Pampurio” di cui parlava mio nonno quando una persona era costretta a far avanti e indietro per vari motivi. Scartoffie per avere le agevolazioni regionali che spettano alle coppie con figli; scartoffie e grane per riuscire a braccare un pediatra:
 


 la ricerca dell’araba fenice aveva richiesto a Indiana Jones meno sbattimento. Solo tre i medici liberi in tutta la provincia dei quali:

a)        uno anziano e variamente sconsigliato;

b)        una che, pur abitando di fianco a noi, si è rifiutata di fare visite a domicilio perché ha l’ambulatorio in un’altra città;

c)        quello che, si spera, ci ha accettato o, meglio: per ora rientriamo nella sua lista d’attesa ma ha comunque proposto di vedere la principessa.

In tutto ciò, gli unici pacifici sono i gatti anche se, in certi momenti, dimostrano la loro carenza di coccole e si fiondano su di noi appena siamo liberi da Sofia. La guardano e annusano con curiosità, dormono con lei e … vogliono persino usare il suo fasciatoio.

Ma nonostante la stanchezza e i momenti di scoramento quando – com’è successo stamattina - ci ritroviamo tutti e cinque in camera da letto, la sensazione di essere una famiglia completa mi appaga totalmente. Così come riuscire, fra un cambio pannolino e una pentola sul fuoco, a scoccare un bacio sulla bocca di lui in mezzo al corridoio.

martedì 7 febbraio 2012

una settimana fa...



Come da protocollo, son passata da pensare «Magari fra una settimana saremo stesi sul divano in tre» a ricordare «Una settimana fa, a quest’ora…».

Sofia ha già una settimana.

E ancora stento a credere che questo fagottino rosa (ammetto che ho ceduto a privilegiare questo colore per le sue tutine) sia veramente qui, che io sia diventata davvero una “mammaconicalzettoni” e Lui un papà ansioso quanto premuroso, con lei e con me. Forse le difficoltà a rendermi conto di ciò che è successo è dovuta alla rapidità del tutto. Ed è per cominciare a raccontare quei momenti che ora, appena accomodata la principessa nella sua carrozza (non più tondeggiante come fino pochi giorni fa), ho acceso il computer. Premettendo che ciò che racconterò si basa in parte sugli appunti che ho scrupolosamente vergato sul mio quadernino minuto per minuto, in parte sarà una rivisitazione in corso d’opera. E, ulteriore avvertenza: ho deciso di abbandonare ogni residuo pudore per dire “pane al pane e vino al vino”: senza trascurare cioè i poco gradevoli sintomi/disturbi/particolari legati a quei momenti che, da magici, possono riveleranno tutta la loro prosaicità. Anche perchè è in momenti come questi che si scoprono parti del corpo fino ad ora sconosciute.

Lunedì 31 gennaio 2012, ore 7.17

Dunque eccoci qui. In realtà siamo qui dalle 23.15 di ieri sera. Avevo da poco smesso di stirare e guardare distrattamente il primo episodio di CSI New York mentre Lui pisolava sul divano, così come il gatto Billy sulla palestrina e Degas sul nostro letto. Mi sono spaparanzata anch’io dopo essermi infilata il pigiama e struccata, pronta a gustarmi almeno la seconda puntata del telefilm assieme a Lui che, nel frattempo, si era ben svegliato. Approfitto della pubblicità per alzarmi e andare a lavare i denti e invece …

Invece mi accorgo di una macchietta di sangue. Chiamo: «Ehm, Lui (che nel frattempo si affaccia alla porta del bagno) … mi sa che è meglio andare in ospedale».

Nessuna scena di panico: con insospettata calma ci vestiamo, prendiamo il borsone (quello giusto, non quello della palestra…) e partiamo mentre i gatti, forse intuendo qualcosa, iniziano a scatenarsi correndo su e giù per il corridoio: meno male che loro saranno solo i fratelli, tanta agitazione non fa bene a dei futuri genitori.

Faceva tanto freddo in auto, Sofia: solo quando abbiamo parcheggiato davanti all’ospedale la macchina si era riscaldata. Durante il tragitto siamo rimasti a lungo in silenzio: guardavo fuori dal finestrino chiedendomi se, come pensavo potesse accadere, ci avrebbero rimandati a casa poco dopo o se - al momento di ripercorrere quella strada - saremmo stati in tre. Lui invece, tanto per cambiare, non so a cosa stesse pensando. «Come ti senti?». «Normale». La sibilla cumana era meno impenetrabile.
 


Troviamo la porta chiusa, citofoniamo alla portineria e già immaginiamo una risposta alla “I soliti idioti” del tipo: «Dica?! Deve andare in ostetricia, dice?! Un attimo e sono sssubito da lei», lasciandoci poi in attesa per mezz’ora al freddo con un blocco irreversibile del presunto travaglio. Invece saliamo presto in reparto: l’ostetrica – proprio quella che non avrei voluto incontrare – mi visita e mi attacca al monitor nella sala travaglio dove tentiamo di sfruttare il maxi schermo lcd dalla perfetta visione tridimensionale per vedere il finale di CSI: già finito, disdetta.

«Vieni che ti visita il medico». Appena mi affaccio sul corridoio e lo vedo camminare verso la sala visite vorrei bloccare tutto. «Nooo! Proprio lui no!!» dico a Lui; e, subito dopo: «Sofia, hai aspettato tanto, non puoi attendere ancora un po’??».
 

E infatti a testimoniare la competenza del dottor C. (per inciso: lo stesso che mi aveva messo ansia, all’ultima morfologica, perché iniziavo ad avere delle blande contrazioni da lui ritenute pericolosissime) ecco la sua diagnosi, intervenuta dopo avermi ben bene ravanata con lo speculum, scivolatogli due volte dalla sede preposta all’indagine mentre l’ostetrica si godeva lo spettacolo dalle retrovie:

«Ma lei è mai stata visitata con lo speculum? E ha mai sofferto di condilomi?».
«Guardi: sinceramente, non so neanche cosa siano».
«Perché lei ha un lembo di pelle interno che dev’essere la causa del sanguinamento».
Annuisco senza convinzione e mentre penso al da farsi lui mi chiede: «Preferisce rimanere qui o tornare a casa? dove abita, signora?».

Ecco: senza dubbio la cosa più strana dei giorni trascorsi in ospedale è stata sentirsi chiamare “signora”, tanto che a volte mi sarei voluta girare per accertarmi che stessero parlando con me. Decido di rimanere soprattutto per evitare un possibile retrofront verso l’ospedale mentre il dottor C. – stavolta davvero come ne “I soliti idioti”, stesso identico tono di voce – conclude la visita con un sonoro «Vabbè!». E il mio sguardo incrocia quello di Lui e quasi scoppiamo a ridergli in faccia.

Cosa che si sarebbe meritato, soprattutto alla luce del futuro evolversi della situazione.

segretaria nel pronto soccorso

domenica 5 febbraio 2012

com'eravamo rimasti



Eravamo rimasti a un lunedì in cui riprendersi dalle intense pulizie – reali e mentali – della domenica; ai postumi di uno scivolone il venerdì mattina, di cui sentivo ancora pulsare la nuca; a un tracciato talmente pigro - con una sola contrazione rilevata – da costringere l’ostetrica A. a prenotarmi un ulteriore monitoraggio per mercoledì mattina e a spiegarmi come, eventualmente, si sarebbe svolto il parto programmato.

Ero rimasta con un blando senso di colpa per non essermi fermata a pranzo dalla mamma-nonna dopo la visita, con la soddisfazione per un bel riposino pomeridiano, la passeggiata fino alla farmacia tanto per non restare in casa e l’orgoglio di aver “finalmente” ripreso in mano il fero da stiro dopo due mesi e mezzo di stop.

E ora, a distanza di una settimana, siamo sempre qui, sempre a casa, ma in cinque (calcolando i due pelosi, ovviamente).

Con un fagottino fasciato in una tutina rosa a strisce bianche: un fagottino minuscolo che vivacizza pressoché inconsapevolmente le nostre giornate, lasciandoci totalmente disarmati di fronte alle sue espressioni corrugate e dolci, ai suoi occhioni quando – ancora raramente – decide di tenerli aperti per scrutare con perplessità ciò che le succede intorno, forse alla ricerca di quei rumori, luci, voci che percepiva ben ovattati dalla sua navicella.

Lo ammetto senza difficoltà e lo ripeterò più e più volte senza remore: siamo letteralmente, totalmente rincoglioniti davanti a lei, del tutto disarmati davanti alla sua tranquillità e così come di fronte ai suoi pianti spesso, per noi, ancora incomprensibili. Siamo persi e innamorati di lei e di noi come non mai, increduli di aver potuto creare un miracolo di perfezione talmente bello, perfetto (scusate la ridondanza) e dolce.

Finita questa parentesi romantica e confusa di sensazioni ed emozioni, in questi giorni a computer spento sono stata spesso visitata da pensieri, situazioni e battute da riversare nel blog a cui, anche per soddisfare le mie fan, spero di poter continuare a dedicarmi con una certa costanza. Così, ho deciso di procedere in questo modo: da una parte riserverò qualche post al resoconto dei giorni in ospedale, dall’arrivo in due alle dimissioni in tre; parallelamente cercherò di raccontare le nostre quotidiane sperimentazioni e avventure di famiglia finalmente allargata grazie all’allunaggio della principessa.

Che, finalmente, ha un nome: SOFIA.