sabato 5 marzo 2016

Lettera a una Briciolina, passato il suo compleanno

Cara Briciolina,
scusa per il ritardo con cui ti scrivo queste righe, che dovevano essere di buon compleanno. E invece, sono già trascorse tre settimane.

Imperdonabile.

Come imperdonabile è il poco tempo che ti ho dedicato finora e che tu stai cercando di recuperare.
Prepotentemente, come lo dovessi prendere tutto in una volta.
Scusa: perché se per il primo ritardo posso dire che ho cercato di farmi prendere, a volte lasciandomi travolgere, da questo nuovo e sempre temporaneo lavoro (quindi, dirai tu: perché fasciarsi la testa?) per il secondo le scuse non esistono. Sono solamente legate a una fragilità, allo spaesamento provato quando sei arrivata e non avevo idea di come vivessero insieme due sorelle, di come potessi aiutarvi ad amarvi, se sarei riuscita ad amarvi entrambe della stessa quantità di amore, se avremmo prima o poi trovato un equilibrio che andasse a sostituire quello il tuo allunaggio aveva buttato all’aria.
Fragilità da spavento.
Un terrore in cui la gioia per il tuo approdo ha spesso rischiato di perdersi facendomi ascoltare i consigli di chi era intorno a noi e che ho ascoltato se collimavano con ciò che mi diceva chi – a mio avviso – aveva il diritto di darli questi consigli perché titolato: i pediatri. E allora ho seguito chi diceva di non dover trascurare “la prima”, di darle più attenzioni rispetto a quelle che potevo dare a te.
Balle.
Perché, come ha detto un’amica, la puoi girare come vuoi: la mamma è sempre una. Ma, forse, qualcosa di buono l'ho fatto: è un'illusione che provo quando tu e la Princi vi cercate, vi abbracciate, vi preoccupate l'una dell'altra, vi date la manina per camminare.
Così, ti ho persa. Perché mugugnavi da mattina a sera e non ne capivo il motivo, presa com’ero dal ruolo di mamma-chioccia che però non ti ascoltava e dimenticava di sorriderti.
E così sono dovuti passare due mesi perché, guardandoti dormire sulla sdraio delle terme, vedessi quanto eri bella, dolce.
Mia.
Anzi: che fossi mia l’ho capito subito, chiamandoti “amore” non appena ho sentito il tuo strillo, acuto, penetrante. Proprio come quelli che costellano i tuoi attuali capricci. E ti hanno appoggiata su di me, piccola ranocchietta dalla testa nera, piena di quei capelli che poi raccoglievo con la spazzola levapelucchi dal cuscino del lettino che diventava nero a ogni risveglio.

Ti ho persa, ma mi sono anche persa. Come l’arrivo della Princi, il tuo, Briciolina, è stato un vero turbine da cui forse solo ora ci stiamo riprendendo.
Grazie a te e alla tua simpatia. Alle tue smorfie divertenti, ai tuoi pianti sfibranti, ai tuoi continui gesti di affetto, ai tuoi capricci che prosciugano ogni energia in entrambe. Perché alla fine cedi e dici “Tisa (scusa), mamma!” con una voce da Winnie Pooh che poi subito mi si accoccola addosso.
E mi sciolgo.
E mi scioglierei anche prima: è difficile tenere il punto con te, Briciolina, per colpa dei tuoi occhioni spaziali, grandi perle scure custodite da una conchiglia di preziose, lunghissime ciglia. E per colpa dei tuoi riccioletti, invidiabili, ingovernabili, profumati anche quando li impiastricci con il sugo o chissà dio cosa.
Buona vita, Briciolina.
Come ho a suo tempo sperato per la Princi, mi auguro che tu non perda mai la gioia che vive nel tuo sguardo. E che tu possa conservare la spiritosa intraprendenza e cocciutaggine che hai, perché sola ti porterà lontano. Da noi, credo. Purtroppo.

Anche se per noi sarai sempre la nostra piccola, che ci sorprende se scende da sola le scale di casa, se chiede di fare pì nel water, se vuole bere il latte e tit (Nesquik) dalla tazza di Elsa.