lunedì 30 novembre 2020

Christmas is coming to home

 


Abbiamo resistito pure troppo. Poi, ieri abbiamo ceduto. Intendiamoci: non siamo fra quelli che “l'albero va fatto l'8 dicembre”. L'albero, sin da quando ero bambina, si faceva quando se ne aveva voglia.

In effetti, però, pure a me sarebbe piaciuto anticipare già alla scorsa settimana: ma ci vuole l'atmosfera giusta.

La collaborazione. La tranquillità. Una giornata senza pensieri e senza programmi se non quello di accendere le musiche natalizie la mattina per spegnerle la sera.

E così la domenica l'abbiamo dedicata a alberi e addobbi, con una casa disseminata di oggetti e oggettini accumulati negli anni, lavoretti di scuola materna ed elementare, ricordi di viaggi indimenticabili.

Ciò non significa che questo basti: da adesso a Natale si può ancora aumentare il numero di punti rossi oro e bianchi sparsi nei vari angoli.

Sarà divertente poi, a gennaio, la caccia al tesoro per ritrovare tutto e rimetterlo nei box di plastica da portare in cantina: dovremo esaminare minuziosamente ogni angolo della casa, magari ripassarci più volte.

Questo sarà un post di foto: non saprei descrivere meglio la giornata di ieri.

Un misto di felicità, nostalgia, ricordi di bambina e pure qualche momento di tristezza per ciò che è e sarà.



Ovviamente, le protagoniste della mattinata sono state loro e sono state anche molto brave. Hanno pazientemente atteso la fase più noiosa, quella della preparazione.

Un plauso va pure a me per l'insolita calma con cui ho predisposto la piattaforma per il presepe (ancora da realizzare) e aperto i singoli rami dell'albero. Poi, agli addobbi ci hanno pensato loro.



In autonomia invece, dopo pranzo, mentre loro si arrampicavano sul nespolo, ho addobbato l'abete a doppia punta del giardino: con tanto di musiche a tema sparate dal telefonino. 
Lui, nel frattempo, sistemava le luci a caduta dal terrazzo del primo piano.

Novità di quest'anno, gli addobbi aerei: sperimentati per Halloween, i faretti hanno trovato un nuovo utilizzo per appenderci le decorazioni.



L'orologio con cappellino è stato invece un repeat del 2019... 


ma non abbiamo risparmiato nessun angolo della casa...


 

neppure il bagno, dove ho sistemato lo zerbino, riconvertito in tappetino per il lavandino!!


Che dire dell'angolo Peanuts sull'albero? Ho avuto la fortuna di accaparrarmi un paio di questi durante le svendite di una cartoleria cittadina, ringiovanendo il parco “Peanuts morbidosi” già esistenti in casa.



Come detto, niente è sfuggito all'addobbo....

Niente, e nessuno: neppure Snoopy ha potuto sottrarsi all'atmosfera natalizia!!





domenica 22 novembre 2020

Due settimane

 

E così le prime due settimane sono andate.

Durante la prima, ho tenuto le pastiglie lontane dalla cucina, da dove ho tolto anche il biglietto da visita dell'Aism e altri appunti che ricordassero la malattia: avevo pensato che non dovesse entrare troppo nella nostra vita.

Poi però ho iniziato la doppia somministrazione e, per timore di scordarmi la pillola la mattina, le ho infilate fra la mega tazza con le cialde di caffè e il contenitore delle spezie.

Lunedì scorso sono andata a Udine per il primo colloquio con la psicologa, un appuntamento previsto dal percorso educativo del day hospital e di cui ero convinta di non aver bisogno: hoil blog, mi sfogo scrivendo, ho la mia famiglia, la ginnastica da casa, il quotidiano che – risucchiandomi - mi permette di non pensare continuamente a Lei.

Invece qualche giorno prima ho iniziato ad aspettare con trepidazione questo incontro.

È solo una pastiglia, che si corre il rischio anche di dimenticare.

È solo un mezzo piede cartonato, che ti permette comunque di camminare, correre, saltellare per mano alla Pulci.

Ma l'impatto psicologico c'è. Certo, ci sono centinaia di patologie croniche che richiedono una terapia quotidiana per essere tenute sotto controllo.

Però è il fatto di non avere più il controllo del mio corpo che non mi va. Di non sapere cosa succederà e di temere, a ogni formicolio, a ogni fastidio alla vista, che si tratti di una ricaduta.

Nei primi giorni di terapia, ho avuto spesso la tentazione di fermarmi e piangere, fermarmi e riposarmi, fermarmi e dormire. Ma non ho potuto farlo: per le bimbe, che non voglio vivano questo periodo percependo le mie difficoltà più di quanto non facciano; per la mamma, che altrimenti avrebbe amplificato il problema con un'inondazione del salotto. Una sera ho costretto Lui ad ascoltarmi, senza sapere nemmeno cosa dire ed essendo sicura che la sua comprensione non sarebbe stata completa. Non per mancanza di sensibilità: piuttosto, per senso pratico. Sei stanca? Il tuo corpo si abituerà pian piano alla terapia. Sei affaticata? Fermati a riposare. Ma per me, stendermi sul divano è una sconfitta; fermarmi, significa poi cercare il doppio della forza per rialzarmi e vincere la sensazione delle gambe di pastafrolla.


Dopo la seduta con la psicologa, trascorsa senza che nemmeno finisse di rivolgermi le domande di routine perchè sono partita a razzo con tutti i pensieri del periodo e non solo, ho ritirato la copia delle ultime risonanze in caso che le prossime debba farle in ospedali diversi. Così, mentre tornavo a casa, pensavo che stavo viaggiando con le mia testa e la mia colonna fallate chiuse nella borsa. Appena arrivata, avrei aperto le buste e guardato le immagini perchè chissà, magari finora si erano tutti sbagliati e quelle macchie non c'erano. E poi, come quando era stato male Lui, ho fantasticato sull'ipotesi di affondare le mani nella mia testa, nella mia schiena, per togliere quelle zone oscure e riportare tutto alla normalità.

Ovviamente, una volta inseriti i dischetti nel computer, non ci ho capito un accidente e le zone sane erano per me tutt'uno con quelle presumibilmente fallate.

Parte della delusione di questo periodo è l'impossibilità di trasformare i viaggi all'ospedale in “gite” a quel centro commerciale fuorimano in cui sono secoli che non mi rifugio: la zona gialla di cui ci ha dipinti il Covid impedisce questo momento di svago che potrebbe trasfigurare il vero motivo della trasferta.

Ma in verità questa tinta canarino ci sta anche regalando più momenti in famiglia.

Lui è in smart working, le bimbe non hanno attività pomeridiane per cui si ritrovano a doversi inventare più giochi da fare insieme, la Princi sta scrivendo una sceneggiatura da far interpretare ai compagni di classe, la Pulci si allena costantemente a scrivere. Abbiamo stabilito due sere a tema, la serata pizza e quella schifezze, che iniziano con noi tre che ci trucchiamo o smaltiamo le unghie e finiscono o sono precedute da uno spalmo familiare sul divano a guardare la tv, anche i primi film natalizi.

Ed è in questi momenti che me le prendo strette strette vicino a me, mi immergo nelle loro guanciotte, annuso il loro profumo, sorrido ripensando alle domande curiose che mi sottopongono e alle risposte divertenti che cerco di dare mentre fanno i compiti.

Poi, sarà stata una coincidenza, ma proprio quel lunedì sera la Princi non riusciva a dormire.

In verità erano trascorsi solo cinque minuti da quando si era infilata nel letto, ma lo stesso le abbiamo detto di raggiungerci sul divano. Me la sono presa in braccio come quando era infilata nelle morbidose tutine rosa, lei ha rannicchiato i suoi 138 centimetri e per un quarto d'ora ho nuovamente respirato il suo respiro, sentito il suo fiducioso abbandonarsi a me.

Tutto ha preso un nuovo senso.

Con o senza Lei, per loro ci saranno sempre momenti in cui sarò la SuperMamma.

Lei c'è, ma non si prenderà la nostra vita.

giovedì 12 novembre 2020

Per fare un albero..

 


«Mamma..?!?»

Quando esordisce così, e lo fa un trilione di volte al giorno, so che sta per arrivare un domandone. Se ha un certo tono, già intuisco l'argomento.

«Ma la sclerosi multipla riguarda solo il piede?»

Un nanosecondo. In cui penso se rispondere, come rispondere, se essere sincera.

Poi parto.

La Princi mi guarda mentre parlo, la Pulci finge disinteresse mentre finisce di colorare sette dei dieci pallini che compongono il corpo del bruco. Ma ogni tanto anche lei alza la matita gialla dal foglio e ci guarda intervenendo in quella che presto si trasforma in una conversazione botanica.

Spiego che purtroppo no, la sclerosi può riguardare tante parti del corpo: possono venire dei formicolii, si possono avere problemi agli occhi...

«Tu ci vedi bene?» e il “ci” è riferito a loro due: sì, li vedo benissimo i vostri occhioni attenti.

Poi, per far capire come funziona la malattia, imbastisco delle metafore naturalistiche.

«Diciamo che il corpo di una persona è come un albero: la chioma corrisponde alla testa, il tronco è la colonna vertebrale in cui c'è il midollo spinale. Dalla testa, dal cervello, partono gli ordini a tutte le parti del corpo, che sono come i rami di questo albero».

«Allora è come se portano il nutrimento!»

«Sì, più o meno così. Poi la malattia... prendiamo una mela. Il cervello e il midollo sono fatti di tante cellule che si chiamano neuroni e sono proprio loro che portano in giro le informazioni e dicono per esempio a un braccio di alzarsi. Però, se prendiamo una mela, è formata dalla parte interna che si mangia e dalla buccia. La malattia viene..»

«..Quando la buccia si rovina!».

La Princi è soddisfatta per avermi anticipato dimostrandomi di aver capito.

«Ma è più nutriente la buccia o “il dentro” della mela?»

Con lo sguardo che si è spostato sull'Oca Olivia, la Pulci ammette di aver ascoltato.

Chissà cosa hanno recepito.

Ore 20.50.

«Come stai?» mi chiede la Princi da sotto le coperte mentre, la luce già spenta, sto per uscire dalla cameretta.

«Bene!»

«Sicura??» chiede con tono maliziosamente inquisitorio.

«Sì!» rispondo sorridendo.

«Sicura sicura??»

La Pulci tenta di investigare con gli occhi.

Mi intenerisce il loro continuo tentativo di capire cosa stia succedendo e quello di intuire cosa accadrà in una situazione totalmente imprevedibile per tutti.

Mi intenerisce la loro soffice preoccupazione.

Il che non significa aver ricevuto aiuto per apparecchiare, sparecchiare o essermi risparmiata gli urli per arrivare in tempo a scuola stamattina.

martedì 10 novembre 2020

I. T. I. ovvero: Inizio Terapia con Incazzatura

Visto che sei muto,
ti faccio parlare con i colori


 Lunedì 9 novembre 2020.

Se Zeno Cosini nel più famoso romanzo di Italo Svevo scriveva sul calendario U. S. per indicare il giorno in cui aveva fumato quella che pensava sarebbe stata l'Ultima Sigaretta, I. T. è ciò che potrei segnare io come data da ricordare: Inizio Terapia.

Ma non so se voglio proprio ricordare.

Certo, da giovedì – giorno in cui ho visto la neurologa – a ieri il pensiero è stato costante, come se invece di ingurgitare la pillola stessi aspettando di scartare un regalo. Nonostante questo, ho deciso di rimandare all'inizio della nuova settimana: perchè giovedì sono tornata troppo tardi per poter reperire le pastiglie alla farmacia dell'ospedale, perchè «Nè di venere nè di marte non si sposa e non si parte». Poi c'era il week end, l'ultimo di libertà totale: meglio goderselo.

A quanto mi ha detto, la dottoressa ha optato per una cura abbastanza decisa in conseguenza del fatto che la risonanza di luglio ha rivelato tre lesioni alla colonna: troppo importanti, secondo lei, per intervenire in modo blando. Quindi da adesso ed entro un mese mi cuccherò mattina e sera 240 mg di benessere. Come mi ha accuratamente spiegato la dottoressa e come recita il sito Aism, gli effetti collaterali del dimetilfumarato sono «rossore e vampate di calore e disturbi gastrointestinali (come diarrea, nausea e dolore addominale superiore). [...] Il farmaco può ridurre il numero dei globuli bianchi nel sangue (linfociti)».

Per me che già normalmente, durante l'inverno, sono soggetta a sbalzi di temperatura con rossori che neanche una bottiglia di Lambrusco provocherebbe, direi che è una manna.

Comunque d'ora in poi stringerò amicizia con il personale della farmacia ospedaliera e del centro prelievi, dove dovrò andare ogni tre mesi per i controlli. A giugno prossima visita neurologica e, a fine maggio, prossima risonanza: credo ci starò un giorno intero visto che dovranno esaminare cervello e colonna. Chissà se ci sarà di nuovo Doc. Lunedì invece, per chiudere il percorso di day hospital, avrò il colloquio con la psicologa, nonostante non è che ne senta proprio il bisogno.

Tranne...

Tranne ieri sera, durante e dopo l'allenamento casalingo. Gli squat erano intervallati da «mamma, come si scrive...?/mamma, posso guardare sul cellulare una cosa?», il tutto finalizzato alla stesura della letterina a Babbo Natale. Lui era nella camera delle bambine, trasformata in sede distaccata dell'ufficio ora che è in smart working.

E io, dentro di me, urlavo a AM. Che però non rispondeva.

Gli urlavo senza gridare, perchè tanto non può sentire nè rispondere.

Ma farmi incazzare sì, e tanto.

Perchè non lo sento, perchè non capisco se ho l'avampiede completamente appoggiato o no, non mi rendo conto se il piede sia dritto o storto, se non lo guardo posso pensare che nemmeno sia appoggiato al tavolino, che mi serve come appoggio per i bulgarian squat.

Cammino scalza e sento una gommapiuma sotto il piede.

E lui resta muto.

E io mi incazzo sempre di più, perchè penso che magari cammino male e non me ne rendo conto.

E qualcuno dovrebbe dirmelo.

E invece non lo dice nessuno, quindi chissà.

E io allora continuo a camminare, camminare: anche stamattina ho lasciato l'auto davanti alla scuola delle Belve, sono tornata a casa a piedi e tra un'ora ripartirò per andarle a prendere all'uscita.

Non è niente di grave, mi ripeto: riesco comunque a fare tutto ciò che voglio e, buoni propositi a parte, nel bugiardino delle pastiglie non si dice nulla al riguardo di una birra ogni tanto.

Però è vero: sono incazzata.

Impaurita.

Felice: felice che ci siano gli scazzi quotidiani - dei compiti, del lavoro che non c'è, dei sogni irrealizzati, della spesa da fare, il gatto orbo da accudire (sì, anche questa abbiamo avuto sabato) – per non pensare e non ascoltare quello stronzo di AM che sarà anche muto ma se vuole si fa sentire.

Per fortuna, dopo la preoccupazione per come Babbo Natale potrà glissare il coprifuoco delle 22 per consegnare regolarmente i regali (li spedirà con Amazon, hanno detto) c'è stata la diatriba del dente: l'incisivo che sventola solitario al centro dell'arcata superiore della Pulci da ormai diversi mesi, senza che lei si decida a dondolarlo in modo energico e senza permettere a noi di staccarlo. Ci abbiamo provato per tre quarti d'ora. Poi il caso è stato momentaneamente archiviato.

Ma intanto il pensiero è passato dall'alluce al dente, complice anche la pastiglia che nel frattempo avevo preso e che forse invece di scendere è salita.