lunedì 31 ottobre 2011

la pancera rosa



No: non è il travestimento usato ieri sera per il pellegrinaggio “dolcetto o scherzetto”, anche se – in verità - avrei fatto abbastanza paura.

Ma andiamo con ordine.

Sabato, nell’ultimo post, avevo scritto che – a Dio piacendo – avremmo finalmente affrontato la lista nascita. Secondo voi ci siamo riusciti? Proprio no: sulla strada per il megastore siamo inciampati in due negozi di arredo bagno in cui ci siamo lasciati travolgere dai preventivi per sanitari e rubinetteria, incombenza peraltro più urgente dato che questo fine settimana scoccherà l’ora x per l’inizio dei lavori. Con annesso nostro trasferimento di massa (umani e felini) a tempo indeterminato a casa di una gongolante mamma/nonna. Io gongolo un po’ meno, anche perché ora invece di preparare la borsa per l’ospedale (necessaria visto che ormai siamo vicini al settimo mese) devo preparare le valige per il trasloco: oddio, imbottirò di valium anche queste, ma è tutta un’altra cosa.

Comunque: arriviamo al Paese dei balocchi (per le mamme, si intende) attorno alle 17.30, ormai un po’ troppo tardi per imbarcarci in un’avventura che richiede una certa lucidità e freschezza, soprattutto se si è già intontiti dall’elenco delle differenze fra piatto doccia tradizionale o super accessoriato, se sentir parlare tanto di rubinetti ha accelerato la costante frenetica ricerca di una toilette e, soprattutto, se non si hanno ancora le idee ben chiare. E, ovviamente, è il nostro caso. Il problema è che alcuni accessori fondamentali e piuttosto dispendiosi li abbiamo notati anche in un altro negozio a un prezzo assai inferiore e ancora non abbiamo dibattuto se includerli nella lista del megastore oppure, inondati da un attacco di buonismo verso i portafogli delle future nonne e affini, prenotarli dalla concorrenza. Temporaneamente, nuovamente accantonata l’idea della lista nascita (rimandata a domenica prossima, sempre a Dio piacendo), appena arrivati urge un’altra questione.

La pallocchina ormai si fa sentire non solo a livello di ganci e pallonetti ma pure di peso (ormai siamo a quasi un chilo) e la mia schiena, già di per sé deboluccia, reclama soprattutto quando mi sdraio. Necessario, quindi, ricorrere a una … beh, lo mimo alla commessa passandomi orizzontalmente una mano sul cocomerino non sapendo come denominare lo strano “strumento”.

«Una guaina!» esclama lei a gran voce: e vorrei invitarla a espressioni meno sonore con un ampio «Ssssh!» se non fosse che attorno a me navigano altre incubatrici ancor più tondeggianti.

E così eccomi da sola nel camerino: non ne ho mai visti di così ampi se escludiamo quelli dei negozi di abiti da sposa. Evidentemente in quel caso gioca l’ampiezza dello strascico e la rotondità della gonna; qui, invece, la rotondità della donna che, per evitare di caracollare a terra, può sempre sperare di atterrare sull’ampio pouf al centro dello stanzino. Tolgo i leggins e provo lo “strumento” sopra i collant: ed eccomi qui, ridicola come non mai, un misto di ragazzina (perché, da brava “mammaconicalzettoni”, ne indosso un paio a righe multicolor opportunamente nascosti sotto gli stivali) e di sformata partoriente, con questa guaina rosata simile a quelle che usa da sempre la nonna/bisnonna.

Mi guardo allo specchio e non so se faccio più ridere o pena. Ci pensa Lui a risolvere la questione quando ha la brillante idea di aprire la porta del camerino. Ride. «C’è poco da ridere: con questa addosso smorzo ogni più minuscola scintilla di sensualità: e già qui le cose vanno maluccio…».

C’est la vie. Come dice Lui, tra qualche mese tornerò come prima: e lo spero, dato che di tutta la vantata bellezza che chi mi incontra tende ad attribuirmi io non me ne riconosco nemmeno un briciolo.

Per la serie: “son tutte belle le mamme del mondo”. Anche se indossano la guaina.

p. s. : ammetto però che forse, se qualcuno mi avesse vista quando ho preso in mano una tutina fucsia con cappuccio e orecchiette e mi son messa a piangere in mezzo al negozio immaginando la principessina con questa addosso… beh, forse lì sì che ero bella. Di quella bellezza che solo le emozioni possono regalare.

venerdì 28 ottobre 2011

pomeriggio in lista




E oggi, se Dio vuole, ce la facciamo.

Dopo aver rimandato di settimana in settimana, o meglio, di sabato in sabato, oggi dovremmo riuscire a compilare la lista nascita. E’ vero che negozianti e manuali ti consigliano di pensarci attorno al settimo mese (quindi saremmo ancor perfettamente in tempo); ma già da un mesetto Lui è entrato in paranoia su questa cosa perché ha deciso di dare credito a uno dei miei tanti “pensieri premonitori”, ovvero – in questo caso – che la principessa si stuferà prima del previsto di giocare a calcio con la mia vescica e fare stretching in uno spazio decisamente più angusto della sala prove della Scala.

Temendo quindi che muoia dalla voglia di conoscere i suoi fratelli pelosi, di infilarsi nel loro tubone prima che il papi ci resti incastrato e, soprattutto, oltremodo desiderosa di infilarsi la tutina fucsia di Snoopy con zampine di gomma (no, questa in realtà sono io) come dicevo già da tempo Lui ha iniziato a tontonarmi con “dovremmo pensare alla lista nascita”.

Da notare che il “dovremmo”, così come tutti i verbi che Lui usa, vengono declinati al plurale per poi risolversi – all’atto pratico – in un “dovrai/farai/deciderai/vedrai” etc. etc.

Infatti anche in questo caso, a parte l’uscita di “perlustrazione – trio” di due settimane fa e una prima gita premio al negozio dove andremo anche oggi, il suo contributo alla causa “lista nascita” si è limitato a guidare fino a destinazione ma, lo ammetto, anche a provare aperture e chiusure del passeggino. Il che non è poco, dato che, per riuscire nell’impresa, al posto di facoltà inutili e ridicole, dovrebbero istituire un corso di laurea in ingegneria dell’attrezzatura infantile.

E date le premesse del “pomeriggio trio” immagino cosa succederà oggi. Già ci vedo con facce perennemente interrogative di fronte a una commessa che, con solerzia via via calante in proporzione alla nostra capacità di comprensione (e di spesa), ci elenca il dettaglio delle caratteristiche di ogni sterilizzatore (“lo potete usare anche per le ciotole dei gatti”) e scaldabiberon (utilissimo per intiepidire la cena gentilmente preparata dalla Mamma/nonna), per passare all’analisi della sicurezza dei seggioloni (“anche se si dovesse capottare, grazie al morbido cuscino può rimbalzare”) e alla comodità dei fasciatoi finendo per ipnotizzarci con le melodie dei dondolini meccanizzati. Già, perchè una delle allucinanti scoperte che ho fatto in questi mesi è stata che le sdraiette da bimbo, oltre ad avere inquietanti funzioni vibratorie (pensate forse per le femmine in modo da prevenire la cellulite ab ovo), sono pure dotate di attacco Mp3 per poter realizzare una “neonato compilation” che magari, all’occasione, può essere realizzata con la consulenza di un esorcista o un incantatore di serpenti per tranquillizzare un pargolo particolarmente agitato.
E anche se arriveremo in negozio con la nostra brava lista-campione in mano, sono certa quasi al 100% che – alla fine – usciremo con una lista plasmata sulle offerte della commessa dato che le nostre idee chiare sono comunque poche e confuse pure quelle.  Il tutto a meno che, prima di stancarmi io (e, per cercare di evitarlo, oltre a vestirmi nel modo più comodo possibile, riempirò la borsa di spuntini e bottiglie d’acqua, caso mai la selezione dovesse prolungarsi fino a notte fonda) non sia lei a cedere di fronte alla nostra inettitudine di futuri genitori modaioli e all’avanguardia facendosi portare una barella dalle colleghe sparse per il megastore.

l'invidia del pane




Al posto della testa ho una lavagnetta. Dove sono segnate le cose che ho fatto (poche), quelle da fare (inesauribili), quelle che avrei voluto fare (in numero immenso e inversamente proporzionale a quelle fatte), quelle a cui ho rinunciato (tante pure queste) e quelle rimaste a metà. Una sottocategoria di quest’ultimo gruppo è occupata dalle cose che non ho potuto completare o neppure iniziare perché stavo male; e, lo scrivo con un misto di orgoglio e vergogna, a questo elenco si accompagna la lista delle volte in cui ho immaginato ciò che mi sono persa fissando i soffitti dei pronto soccorso di varie città.

E il motivo è sempre lo stesso.

Nonostante – devo essere sincera – mi rincuori il confronto con altri pancioni più cocomerosi del mio a parità di settimane; nonostante le rassicurazioni della dottoressa C. a cui senz’altro, la prossima settimana si aggiungeranno quelle della dottoressa T. e S.; nonostante la ramanzine di Lui cui presto – visto che ci dovremo forzatamente trasferire causa lavori in casa – si aggiungeranno quelle della mamma/nonna (e, per non farci mancare nulla, pure quelle della nonna/bisnonna); nonostante in una remota e infinitesimale parte del mio cervello, probabilmente nascosta dietro la lavagnetta, ci sia la consapevolezza che il mio modo di alimentarmi sarebbe poco anche se non fossi in tandem…

Nonostante tutto ciò (e probabilmente molto altro) non riesco a mangiare se so di avere un invito a pranzo/cena.

Fosse anche fra una settimana, un mese, un anno, l’invito ha bisogno di una preparazione accurata, fatta di semidigiuni e calcoli puramente teorici su quante calorie mi posso concedere, sulle ore che mancano al momento in cui finalmente potrò mangiare, su quanto e cosa potrò mangiare perché comunque non sia troppo e su quanta altra penitenza sarà necessaria al termine della libagione.
Paura e invidia.
Timore di lasciarmi andare, non solo con il cibo ma con le emozioni divertendomi troppo; invidia per chi questi problemi non se ne fa e si siede tranquillamente davanti a un piatto di spaghetti al ragù anche se andrà a cena fuori e, quando viene il momento della festa, non cerca di tenere a mente quanti tramezzini, patatine o bicchieri di aranciata ha tracannato.

Perché io, invece faccio così, sempre: anche ieri sera. Non ne sono certo orgogliosa, ma ormai non posso rimediare e il mal di stomaco che ho ancora mi ricorda gli errori di ieri cercando (purtroppo invano) di inculcarmi un comportamento più sano, più umano.

Forse, più da mamma.

Il punto è che vorrei che le cose cambiassero, davvero; e lo vorrei non per la principessa, ma per me, perché questi pensieri mi sfiniscono mentalmente e fisicamente, logorano la mia memoria e la capacità di concentrazione, mi impediscono spesso di guardare oltre il mio naso (ora, per la prima volta nella vita, superato in evidenza dal cocomerino).

Solo che non ce la faccio.

mercoledì 26 ottobre 2011

e le cicale...


Vederla non ha placato completamente le mie ansie, né ci sono riuscite le rassicurazioni della dottoressa C.: e tutto questo nonostante continui a vedermi sfilare davanti agli occhi i volti (e i corpi) di tutte le amiche, conoscenti e familiari tornate in formissima poco dopo il parto. E’ come quando penso che, se pure gli altri mantengono il peso forma mangiando un piattone di pasta con le vongole o la lubjanska a me accadrebbe di ingrassare a dismisura se solo mi azzardassi a raggiungere i 60 (non dico 80) grammi di pasta al giorno; così penso che le altre neo mamme siano state fortunate e a me non toccherà la medesima sorte.

Comunque vederla mi ha divertita: oddio, per quel che siamo riusciti a vederla. Pare infatti che, al contrario di quanto sarebbe normale, negli scorsi mesi si mettesse quasi in posa così da darci l’illusione di essere diventati dei “lettori di ecografie”provetti. Potevamo individuare manine e piedini anche senza che la dottoressa li indicasse.

E invece ora no, ma solo perché lei fa la preziosa.



Per un falso e inspiegabile pudore, dato che già un mese fa ha messo all’aria le pudenda, ieri aveva il faccino girato verso la mia schiena e non si riusciva a distinguere il resto del corpicino che comunque – ha assicurato la ginecologa – è degno di Heather Parisi. La pagnochella, che sta per raggiungere il chilo di peso, sembra infatti si diletti nello stretching portando i piedini sopra la testa e, proprio come una ballerina che si rispetti, si tiene le gambine con la manina.

Insomma: potrà saltare un bel po’ di teoria della sbarra quando andrà a danza.

Al momento, poi, nei suoi continui giri e rigiri si è attestata in posizione podalica quindi, alla prossima visita – e saremo già al 7 dicembre – dovremo valutare il da farsi.

Certo è che guardo il mio meloncino, che oggi porterò in piscina in mezzo a colleghi che in realtà – a parità di mesi - sono ben più floridi: e ancora mi sembra tutto surreale. Incredibile credere che sia davvero una bimba e non una semplice difficoltà digestiva a farmi rimbalzare la pancia: certo, dovrei aver mangiato qualcosa di molto pesante per farla passare, come sempre più spesso accade, dalla sua naturale forma rotondeggiante ad una cubica o piramidale…

il peso di certe giornate

 

Oggi è una giornata un po’ così, non solo dal punto di vista meteorologico. Riprendendo uno sketch coniato insieme a un mio ex collega, il mio umore è decisamente “GNE GNE”.

E purtroppo so a cosa è dovuto: tra qualche ora ho la visita mensile dalla ginecologa. Senz’altro il primo pensiero di tutti potrebbe essere “Ecco una brava mamma che si preoccupa per la sua creatura”. E in effetti sarebbe normale se fossi preoccupata della normale crescita della bimba.

E invece no.

Ho semplicemente paura della bilancia. E la prossima settimana, dato che andrò dalla dietista, dovrò sottopormi nuovamente a questa terribile pratica in cui mi pare di perdere fattezze umane per assumere quelle di un vitello.

Una sequenza di preoccupazioni stupide ma che non riesco ad arginare mi sta tormentando da qualche giorno, sollecitata anche dal fatto che due persone, a poca  distanza l’una dall’altra, hanno sostituito un forse troppo asettico e impersonale “Come stai?” con un più colorito e accorato “Quanto sei aumentata?”.

E così ecco cosa mi passa per la testa:

1.     All’ultima visita la ginecologa mi aveva detto che, essendo finalmente (??) arrivata a quello che dovrebbe essere il mio peso normale, pur dovendomi preparare psicologicamente a un aumento di 12/15 kg – comunque per me accettabile visto il sottopeso da cui sono partita –, forse d’ora in poi sarei aumentata un po’ di meno: sarà veramente così? No, perché se non è così temo proprio di perdere quel margine di equilibrio che ancora mi resta.

2.    Senz’altro la “magia” prospettata dalla dottoressa non si verificherà: certo, con tutto quello che mangio (una pizza intera a cena dopo aver mangiato anche la colazione e il pranzo; due club sandwich con patatine compensati da sole verdure a cena) ma soprattutto la festa dell’altro giorno … oddio!

3.    E poi domani c’è un’altra festa, e venerdì un invito a uscire con gli amici (finalmente l’invito è arrivato!), e poi chissà, dato che ci sono il week end e il martedì di festa: troppe, decisamente troppe occasioni in cui potrei perdere il controllo e in cui dovrò, necessariamente, limitare quello che mangerò nel resto della giornata.

Lo confesso (e forse l’ho già scritto): non so se sia felice o meno di poter, una volta avuta la bimba, tornare a fingere di mangiare come facevo prima. So di sbagliare i miei parametri di riferimento: anziché confrontarmi con quanto e come ho mangiato in questi ultimi anni, dovrei tendere a ciò che mangiavo ai tempi della mensa universitaria dove, per proteggermi da possibili intossicazioni o gusti discutibili, ordinavo sì la pasta in bianco, ma il quantitativo era pari a quello che ora consumo in un anno. Ho un po’ nostalgia di quei tempi, ma pure dei tempi in cui, approfittando della qualifica di studentessa e poi dottoranda squattrinata, risparmiavo sul pranzo prendendo qualcosa alle macchinette o portandomi da casa una mela e un pacchetto di crackers.

Però, a parte il problema cibo, in queste ore altri pensieri mi si sono affacciati alla mente. O meglio: ricordi che mi stanno facendo riflettere su come cambierà la mia/nostra vita tra tre mesi.

Mi rivedo nelle missioni di studio a Ferrara, Firenze e Venezia (e vabbè: anche se la detesto, in questo ragionamento inserisco pure la laguna),
 
 
dove avrei voluto poi tornare con Lui per fargli rivivere alcuni momenti di quelle esperienze in solitaria portandolo per musei e locali; ripenso alle nostre vacanze e giornate in giro per mostre e mi chiedo se ci saranno ancora; visualizzo l’elenco delle cose che avrei voluto fare da sola (in primis una gita a Milano per incontrare un’amica che pazientemente, in questi mesi, si è barcamentata fra i miei “arrivo” e “adesso no”) o con mamma e nonna (una rimpatriata fra parenti a Pisa e dintorni). Comincio a sentire la mancanza dell’aerobica e cerco di immaginare quanto sarà diverso andare in giro per centri commerciali o per quanto tempo non frequenterò cinema e teatro.

Troppo egoista? Dovrei solo pensare al fagottino in arrivo?

Mi spiace, non ce la faccio: sono una persona che umanamente, sapendo di andare incontro a un cambiamento capitale della propria vita (e solo con le “tappe” più importanti ci è data la possibilità di fantasticare sul futuro), si interroga sui cambiamenti che si succederanno.

Scusate lo sfogo ma, come diceva Italo Svevo, la scrittura è un metodo di igiene personale e ne ho approfittato per vedere di calmarmi un po’.

Ma c’è un’altra, ultimissima cosa. Ho atteso questo pomeriggio con trepidazione: è più di un mese che non vedo la bimba e sono proprio curiosa di sapere com’è diventata. Sono sicura che fra qualche ora, quando avrò visto il faccino di quella pallina che ogni sera e notte si rotola nel campo di calcio che ha attrezzato dentro di me, tutte le paturnie spariranno.

Anche perché Lui sarà lì con noi.
 


p.s: eh sì, povera piccolina: anche a te toccherà sottoporti alla tortura fin dall’inizio: interessante metafora del peso della vita …

domenica 23 ottobre 2011

piccole donne crescono



Sembra ieri.

Ho davanti agli occhi la fotografia scattata nella prima vacanza tutti insieme in montagna: un ampio scorcio di panorama alle nostre spalle mentre noi tre, sedute su un muretto, ridiamo. Tu con un grande sorriso ancora mezzo sdentato.

Sembra ieri e invece … pochi anni fa abbiamo dovuto “salvarti” da una ciocca da sballo e domani raggiungi un altro traguardo dell’età adulta. Già ti immagino iper ansiosa in questi momenti e domattina: del resto, se ti era venuto un RIBES solo perché avevi paura dello skilift! E a nulla varranno le rassicurazioni di tutti … come ti capisco! Ancora mi sto chiedendo se quel pesante senso di nausea che provavo prima di entrare a discutere la tesi di dottorato era dovuto all’ansia o era il primo “toc, toc” della bimba.

Non voglio essere troppo sentimentale in questo post (rischio di mettermi a piangere pure io: e con la polvere che sta facendo Lui nello smontare i termosifoni verrebbe un pantano difficile poi da ripulire!) ma sono proprio felice: di esserci ritrovati tutti quanti, di avervi vicini e soprattutto di aver ritrovato te: sarà per l’affinità dello sfigato percorso di studi che abbiamo scelto, guidate solo dalla nostra passione senza curarci del dopo; sarà per il comune (e inaspettato) amore per i felini; sarà per i momenti belli e quelli brutti che si sono succeduti in questi ultimi anni (e mi dispiace non esserci stata nei vostri).

Sarà, da adesso in poi e ancor più, per lei: perché già ci vedo perplesse a domandarci quale sia il davanti del pannolino, a rassicurarla quando il papà le avrà raccontato storie di super eroi spaventandola a morte o avrà distrutto il camper di Barbie per vedere se adeguatamente omologato; già ci vedo in giro per il Corso a passeggiare, a scrutarla mentre si arrampica sui giochini al parco, ad ammirarla al primo saggio di danza…

E allora, A., in bocca al lupo!

Non solo per domani ma per tutto. E grazie di esserci.

p. s.: ecco, questo è il tipico post in cui rivelo le mie difficoltà ad esprimere i miei pensieri ed emozioni a parole; del resto, però, “scripta manent”.

p.

giovedì 20 ottobre 2011

e oggi mi assesto



O meglio: mi as-sesto, visto che oggi, ufficialmente, entriamo nel sesto mese.

E non mi pare vero.

Erano talmente tante le cose che contavo di fare in questi mesi che – come sospettavo – ne ho fatto meno della metà. Alcune includevano “goduriosi” impegni a cui forse, dopo, almeno per un certo periodo mi dedicherò meno, tipo aperitivi, cinema, uscite: ma in questo caso la latitanza di tali piacevolezze ha avuto motivazioni varie. Senza scordare, comunque, qualche picco positivo e inaspettato: l’approfondirsi di conoscenze nuove o recentemente poco praticate, ma pure la partecipazione a inaugurazioni in solitaria con un discreto lavoro di public relation. Il che non è poco, dato il mio carattere un po’ da orso.

Altri buoni propositi effettivamente non li ho attuati per pigrizia (inizialmente legata al timore che le nausee avessero negativo impatto sulle pagine scritte), tipo smaltire le centinaia di libri d’arte e romanzi che giacciono non letti sugli scaffali di casa, tenendo presente che sono solo una scarsa metà di quelli che ho ancora da mamma e che chissà se mai varcheranno questa soglia dato che tra poco cominceremo a vedere Pirandello affiancato da mamma orsa e i suoi orsetti mentre la biografia di Caravaggio sarà sormontata dalle ultime avventure di Winnie the Pooh.

Comunque il tempo galoppa: e ancora, come ho raccontato, dobbiamo fare il riscaldamento, rifare il bagno, pitturare e far debitamente arieggiare la cameretta, arredarla, compilare la lista nascita … Al momento nella colonna “in attivo” della tabella delle incombenze c’è solo la riverniciatura del lettino. Già, perché dato che è di moda il vintage, la piccolina dormirà nel mio storico lettino, per anni adibito ad abitazione di campagna delle bambole e poi a divanetto. Oltre che a motivi di economicità e sentimentali, questa decisione è stata dettata dall’auspicio (per noi, più che lei) che il lettino sia ancora dotato dell’aura magica che – pare - garantisse a mia mamma e mia zia (che condividevano la camera) notti di sonno quasi ininterrotte sin dai primi mesi.

Comunque, mentre io son alle prese con i naturali fenomeni di lievitazione che mi fanno risuonare nella mente la canzoncina “C’era un cocomero tondo tondo, che voleva essere il più forte del mondo” (tratta dal repertorio dell’asilo di mio cugino), il papà inizia a dare fuori di testa. O, forse, si sta assicurando che i giochi già presenti in casa per i gatti (ma in realtà acquistati nel reparto bambini dell’Ikea) siano a norma di legge.




E se queste sono le premesse mi chiedo cosa farà quando, fra qualche anno, gli verrà in mente di testare la corriera, la Ferrari e la casa di Barbie …

mercoledì 19 ottobre 2011

bagno con poco guadagno

Cambiamo finalmente argomento: dalle preoccupazioni torniamo a quello che ruota attorno a questo strano e bizzarro periodo.

Oltre a dover preparare la cameretta per la cucciolotta, cosa piuttosto normale da fare/preventivare nella lista di incombenze pre-parto, a noi si è aggiunto il pensiero di fare (finalmente) l'impianto di riscaldamento autonomo e, dato che ci siamo, per non privarci proprio di nulla, di rifare anche il bagno attualmente dotato di piastrelle stile ospedale anni Sessanta.

ecco il nostro bagno...

Non che finora siamo stati nel freddo: il nome del blog già indica a quali temperature io possa vivere decentemente. Quindi: o ci trasferivamo minimo minimo a Palermo oppure prendevamo una stufa a pellet nell'attesa di avere la voglia e le risorse per smantellare mezza casa e dotarci di un nuovo impianto.

Anche se avrei di gran lunga preferito la prima opzione finora abbiamo nutrito il mostro metallico (che odio cordialmente) di truciolini che, da qualche giorno, il gatto Billy si diverte a rubare per farli rotolare in giro per la casa.

Insomma: queste le premesse. Ulteriore premessa è che, per tutta l’estate, abbiamo inseguito termoidraulici che o si sono dati alla macchia o hanno sparato preventivi degni di Briatore; e poi è iniziata la caccia all’ingegnere, al geometra … fatto  sta che in questa sfilza di inseguimenti degni di Horatio Caine in CSI, il presto sta diventando quasi tardi, dato che i lavori inizieranno solo il 14 novembre: e l’arrivo della bimba – che dovrà essere preceduto da adeguata pitturazione della cameretta – è previsto per fine gennaio.

Bene: ora che abbiamo individuato chi farà i lavori, ci siamo lanciati nella scelta del bagno. E ieri abbiamo rasentato le comiche: avete presente la barzelletta dell’avventore del bar che chiede cappuccino e brioche ripetutamente nonostante il barista lo avverta che brioche non ne hanno? E’ quello che è successo.

Ancora sconvolti dal prezzo del mobiletto con lavandino che tanto ci è piaciuto quando l’abbiamo visto sabato mattina (venditore: «Questo è come la mercedes dei mobiletti»; già: se compro la mercedes e ci monto dentro il lavandino forse spendo meno) siamo andati da un secondo piastrellista.

Ora: è vero che siamo andati lì perché speravamo fosse più economico, ma non abbiamo dato alcuna indicazione su quanto avremmo voluto spendere, e anzi: da ciò che abbiamo indicato nelle nostre preferenze per materiali e tipologie di piastrelle, avrebbe dovuto capire chiaramente cosa ci piaceva. Invece il piastrellaio (chissà se si chiama così) si fissa sul fatto che gli chiediamo delle piastrelle per il pavimento in cui si noti il meno possibile la polvere: e così inizia a proporci ripetutamente dei set lucidi e marezzati di improbabili colori ottocenteschi che, forse, ma dico forse, si trovano ormai solo al Grand Hotel di Rimini nelle suite arredate in stile prebellico (e parlo della Grande Guerra).

«Ma noi saremmo orientati su qualcosa di più moderno» accenna ripetutamente e forse troppo timidamente Lui. E dopo aver suggerito quale fosse l’abbinamento che più ci piaceva (e che avevamo scelto noi), puntualmente e prontamente cassato con la frase «Ma volete un bagno o una lavanderia?!» (non ho poi capito perché), quando glielo riproponiamo il piastrellaio abbozza, sembra soddisfatto dell’accostamento (lo stesso che gli avevamo fatto vedere appena ci si era avvicinato) e stila il preventivo. Al termine del quale, pur non essendo una cifra stratosferica rispetto a quella cui avevamo pensato (e dato comunque che era ciò che ci piaceva) riattacca con il set per il bagno di Nonna Papera: «Certo, se scegliete queste, riuscite a spendere solo 500 euro»; già, stavo per rispondere: ma ne dobbiamo aggiungere altre 500 mensili per comprare l’Imodium e, in necessaria associazione, il Novomit di cui avrei quotidianamente bisogno ogni volta che varco la soglia del bagno.

A proposito: il colore di scrittura che ho scelto per questo post si avvicina molto a quello che ci è stato proposto dal piastrellaio: ditemi voi... ma soprattutto ecco un'anteprima di ciò che vorrei dipingere sulle pareti della cameretta...






lunedì 17 ottobre 2011

Margottina



Chissà: forse lo sconvolgimento emotivo di questi giorni è in parte legato al ricordo di Margot.

Oggi è un anno esatto che se n’è andata.

Forse sembrerà eccessivo, ma il dolore che abbiamo provato è stato e continua a essere terribile, indescrivibile e incomprensibile per chi non c’è passato. E lo dico proprio io che, fino a pochi giorni prima di adottarla, prendevo in giro chi trattava il proprio animale – cane o gatto che fosse – come una persona, raccontando minuziosamente i particolari della sua giornata (quella di Fido o Fufi) quasi fosse un neonato.

Eppure poi quando ho visto la sua foto non c’ho capito più niente: uno scricciolino grigio e nero arruffato, solo occhi, alta appena un dito. E lo stesso è successo quando l’ha vista Lui, che si è improvvisato un perfetto “papà-gatto” capace di preparare ogni due ore siringhine di latte, uovo e miele oltre alla borsa dell’acqua calda per permetterle di tentare di sopravvivere.

E lei ce l’ha fatta.

Contro ogni previsione quello sgorbietto ha tirato fuori la grinta e ha deciso che qui, tutto sommato, non si stava male, che c’era qualcuno che teneva a lei, abbandonata (forse dimenticata dalla mamma) in mezzo alla strada. Così, sin da subito, è stata la bambina che desideravamo e chissà se avremmo mai avuto: si comportava un po’ da cane (riportando i suoi giochini quando glieli tiravamo), un po’ da persona, come quando si preparava alla notte portando i suoi pelouche sul lettone, o quando si piazzava dietro la porta appena ci sentiva salire le scale. O ci faceva gli “agguati” fuori dalla porta del bagno, cambiando direzione appena le si diceva “guarda che ti ho vista” o, ancora, come quando, impettita e orgogliosa con il suo guinzaglietto rosa a brillantini, la portavamo dalla veterinaria: e lei si piazzava sulle spalle di Lui per farsi difendere dagli altri animali, ricompensandolo poi del suo aiuto mostrandogli – sulla strada del ritorno – come aveva imparato ad arrampicarsi, proprio come le aveva insegnato lui. Solo che per dimostrare quanto avesse imparato bene, doveva arrampicarsi su ogni albero, allungando di cinquanta minuti una strada che avremmo percorso in 5.



Ma nonostante si comportasse come una persona, Margot era pur sempre una gatta con l’istinto di arrampicarsi.

Ciò che ci ha fatto star peggio quando se n’è andata è stato che non ce l’aspettavamo assolutamente: i veterinari non avevano capito quanto fosse grave, si erano limitati a medicare e voler operare la zampina senza accorgersi di quanto si fosse gonfiata in conseguenza del colpo ricevuto. E così, mentre noi pensavamo che la sera, una volta a casa, come premio avremmo cucinato un bel pesciolone solo per lei, lei invece già sapeva come sarebbe andata a finire: sennò non mi spiegherei gli occhioni enormi, tristi e riconoscenti con cui mi ha salutata per l’ultima volta.

Ancora proviamo un’infinita tenerezza nel ricordare come ha voluto accomiatarsi da chi le ha voluto bene: nonostante il dolore e nonostante arrancasse su tre zampe (la quarta era fasciata stretta al corpo) la domenica pomeriggio è saltata in braccio a mia mamma rimanendo così per diverse ore, proprio lei che raramente si faceva accarezzare. Ma, evidentemente, si ricordava del lungo corridoio di legno dove aveva trascorso qualche settimana d’estate facendo scivolate degne di Michael Jackson, o forse aveva nostalgia di quella morbida poltrona fiorita eletta a sua cuccia privilegiata.

 

E poi, la notte, era saltata sul lettone, si era infilata sotto le lenzuola e lì era rimasta: un po’ in mezzo a entrambi, un po’ stretta vicino a me impedendomi di muovermi per la paura di farle male.

Credo che per noi, per tutti noi – la mamma, ma pure la nonna che nella sua repulsione per gli animali ha comunque versato qualche lacrima alla notizia di ciò che era successo, amplificando così la nostra tristezza – dicevo: credo che noi tutti la guardassimo come fosse Pinocchio. Come se da un momento all’altro potesse togliersi la sua pellicciotta maculata, su cui sembrava essere stampato il numero 105, per alzarsi sulle zampine e chiedermi dei vestitini.

 Per settimane mi sono sentita come uno zombie, senza forza, incapace di frenare le lacrime: non importava se stessi camminando in mezzo alla gente, parlando con Lui mentre eravamo a cena, guidando in mezzo alla statale con altre automobili che mi affiancavano.

E anche poco fa, scrivendo, non ho potuto trattenere le lacrime.

terzo post: e si ritorna alla situation comedy




Bene: adesso che ho fatto un po’ di pulizia interiore, che sono moderatamente serena - complice l’abbondante Nutella che mi ha canticchiato “Buongiorno a questo giorno” quando l’ho spalmata sulle fette biscottate, una lunga e profumatissima doccia bollente e la telefonata preoccupata e dolcissima di Lui - posso anche scrivere qualcosa di più leggero. E tornare a bomba.

Tornare cioè non tanto alle perle di saggezza ma agli illuminati commenti che scandiscono i nove mesi della gravidanza (ma, dopo, immagino sarà anche peggio).

Venerdì mattina. Sono alla vernice stampa di una mostra, sicura di me come non mai per il fatto che – finalmente – tamponerò il “novità?” che mi son spesso sentita rivolgere da uno dei responsabili del museo ostentando la mia ormai non più nascondibile pancetta a cocomero.

Lo incrocio davanti ad altre persone poco prima della presentazione; sbatto il naso contro di lui girando l’angolo dell’ultima sala dell’esposizione. Iniziamo a parlare, mi chiede più volte come sto alternandolo - con l’evidente imbarazzo di “chi sa ma non vuole confessare” - a un più generico «come va». Decido di mettere fine al tutto sommato divertente teatrino: «Ma sa la novità?», interrogativo che risveglia nella mia mente la presenza – in latino - di un costrutto lessicale usato per domande retoriche che attendono risposta positiva.

«Sì certo»; e, dopo qualche convenevole del caso, «Sapete già cos’è?».

«Una bimba»

«Allora subito dopo dovrete darvi da fare per pareggiare, dato che senz’altro ci sarà qualcuno nella coppia che voleva il maschio».

Ecco: mi sento come quando, nei cartoni animati giapponesi che vedevo da bambina, una tegola cadeva sulla testa del protagonista. Oddio, ho sempre sognato di avere una casa tipo Famiglia Bradford o, per rifarci a telefilm più recenti, Settimo cielo: ma caspita, come si corre! Per un attimo ho pensato di ribattere, con fare insinuante:

«Certo, se avessi un lavoro…»

Ma mi sono limitata a segnalare che in casa già ci sono due felini di sesso maschile: quindi, al momento, sono in netta minoranza.

secondo post: aiutatemi, vi prego, a capire



Lo so: non si è capito molto del cortocircuito di ieri. Con gran presunzione immagino ci sia qualcuno che sta leggendo o leggerà il mio blog quindi, con un sentimento che dalla presunzione scivola verso il delirio di onnipotenza, fingerò di essere il Papa parlando al plurale: rivolgendomi cioè ai fantomatici lettori per aiutarmi a capire.

Perché, giuro, non ho capito cosa/dove ho sbagliato.

Tra ieri e stanotte ho meditato di chiudere il blog perché il primo pensiero è stato di aver fatto male ad aprirlo. In questo poco tempo, se tante sono state le voci divertite che mi hanno spronata a continuare, altre sono state pugnalate, vere stilettate al cuore che mi hanno tanto ferita perchè provenienti da persone molto care e, soprattutto, che non credevo potessero reagire in questo modo dato che conoscono me e la mia vita da anni (decenni, in realtà).

Ma poi ho deciso di continuare: come ho imparato nel tempo, se una cosa ti fa stare bene è giusto proseguirla. E il blog mi ha fatto riscoprire quanto mi piaccia scrivere.

Allora ho pensato di scusarmi pubblicamente con chi si è risentito. Ma anche in questo caso non mi è parsa una grande idea. Sono stata accusata di egoismo, di considerarmi al centro del mondo.  Con il rischio di sembrare supponente, dico: stupidaggini. Il blog è mio, è come un diario personale che ho deciso di condividere con gli altri. Sono io che lo scrivo ed è ovvio, naturale, incontestabile che ne sia la protagonista con i miei pensieri, sentimenti ed emozioni.

D’altro canto il blog nasce da un desiderio: smetterla di fingere. L’unica a SPiazzarsi (ma il termine più adeguato sarebbe un altro, che inizia con le medesime due lettere) sono io, che ho deciso di raccontare il mio disturbo alimentare (ecco: l’ho scritto apertamente) non per farmi compatire ma perché sono stufa di nascondere una parte così importante e invadente di me, che ha plasmato il mio modo d’essere al punto da non essere più in grado di distinguerlo dalla vera “ragazza con i calzettoni”: una ragazza che, ora, sta diventando mamma ed è incredibilmente spaventata da questa esperienza e dalla piega (in quotidiano aggiornamento) che sta prendendo il disturbo.

Perché quindi, ditemi, se sono i miei pensieri quelli che scrivo devo sentirmi sotto accusa?

Ma soprattutto: perché devo sentirmi sotto accusa se non conosco i pensieri degli altri?

Oltre al desiderio di outing, il blog nasce infatti anche dallo smarrimento che, ultimamente, provo di fronte a certe situazioni. Sono al centro dell’universo? Forse è vero: ma lo siamo tutti e nessuno. Provate a pensare quante volte vi aprite con gli amici: siamo delle isole, delle barche che navigano in solitaria ma che pretendono l’appoggio e la comprensione altrui. Come possiamo sapere se gli altri si offendono, risentono o intristiscono per certe parole se non si raccontano? Siamo tutti manchevoli di qualcosa verso gli amici perché diamo per scontato che sappiano cosa stiamo vivendo e soprattutto come lo stiamo vivendo: senza, però, avere il coraggio di confessarci.

Che sia egocentrica forse è vero: perché se esco con amici/amiche, sento il bisogno di andar oltre all’ultimo gossip sul matto di turno o sul commento alla soap preferita riempiendo certi silenzi della conversazione raccontandomi. E’ una cosa che faccio da poco e di cui, tendenzialmente, mi pento subito dopo: perché temo di essermi esposta troppo. Sbaglierò, ma concepisco l’amicizia come un do ut des: certo, non si può forzare nessuno ad aprirsi, ma se io lo faccio è per fiducia nell’altro e vedere che l’altro non ricambia… beh, per me significa che non ha pari fiducia in me. E poi, magari non sempre, magari non come gli altri si aspetterebbero: ma in genere cerco di capire le motivazioni altrui, di giustificare certi comportamenti che interpreto come torti nei miei confronti; e raramente scopro che gli altri stanno facendo lo stesso con me.

Terza cosa cui ho pensato ieri (dopo mollo, giuro!). Da qualche tempo sto pensando di scrivere, di scrivere seriamente, sempre su un aspetto autobiografico: e mi chiedo cosa succederebbe in quel caso. Prendiamo sempre come esempio i libri di mamme blogger. Raramente vi ho letto i nomi dei personaggi che ruotano attorno alla protagonista ma sicuramente le persone coinvolte si riconoscono nelle descrizioni: come fanno le scrittrici a proseguire la loro quotidianità? Cambiano città a ogni libro, a ogni post che pubblicano?

Se agli altri pensieri scatenati dal turbine emotivo di ieri ho trovato una riposta, a questo ancora no.
E quindi il mio manoscritto è ancora fermo alle prime pagine.


di lacrime e ansie



L’ho già scritto in uno dei primi post: sono grafomane. Oggi lo sarò più del solito e spero di ricordare tutto ciò che ho da dire e soprattutto come ho pensato di dirlo: compongo e disfo le frasi da ieri, per l’intera giornata e pure stanotte, dato che ho dormito sì e no 5 ore. Il motivo sarà presto spiegato. Comunque, dato che molti sono gli argomenti di cui parlare, di cui mi devo alleggerire e condividere, frammenterò il “mammaconicalzettoni-pensiero” in diversi post: spero di esser meno noiosa.

Cominciamo dicendo che, per usare il linguaggio che dovrò adottare fra qualche mese, quella di ieri è stata una giornata di… cacchina santa. Iniziata moderatamente bene, con il desiderio – indotto dalle temperature degli ultimi giorni – di affrontare il cambio stagione nell’armadio: ma, ad aver saputo come si sarebbe sviluppato il resto della domenica, avrei rimandato l’operazione al pomeriggio-sera. Già perché non so per gli altri, ma per me in certi momenti fare le pulizie o riordinare è una potente metafora del bisogno di sistemare il mio mondo interiore. Non che ci riesca, ma almeno  - presa da azioni pratiche - non penso a quegli scaffali ingombri di pensieri disfunzionali e angosce inutili.

Per il resto, mi limiterò a dire che ci sono stati degli eventi che mi hanno fatto riflettere ma che soprattutto, come accade quasi quotidianamente a chi è in costante dibattito con se stesso e le proprie decisioni, mi hanno completamente disorientata, amareggiata, fatta a pezzettini. Risultato: l’unico momento sereno della domenica è stata l’ora e mezza in cui ho visto al cinema “L’amore fa male”, film peraltro mal recitato e con una storiellina così così ma che, almeno per qualche momento, mi ha distolta dal resto.

Solo che poi il resto è tornato, mica l’avevo lasciato lì nella poltroncina davanti al maxi-schermo. Per cui la serata l’ho passata a piangere come un vitello, con il terrore di non riuscire a smettere e il terrore ancora maggiore che, oggi, sarei stata costretta a rimanere isolata nell’eremo della ridente cittadina dove vivo perché – evidentemente in ottemperanza alla legge di Murphy – la nostra Clementina è dal meccanico. Quindi sono senz’auto.

Ma non è finita. Per sedare le palpitazioni che hanno iniziato a farmi iperventilare sin dall’ora di pranzo, ho pensato sarebbe stata opportuna una tisana, di quelle che appena la annuso riesce a farmi entrare in uno stato catatonico… in cui forse ero già, dato che invece dell’infuso giusto ne ho preso uno ai frutti di bosco e sono pure riuscita a rovesciare mezzo barattolo di zucchero sul pavimento del salotto.

Insomma: uno schifo globale.

Che solo Lui è riuscito a domare, anche se per tutto il giorno ho cercato di evitargli queste scene da tragedia greca. Il valium che mi ha somministrato è stato ripetermi uno dei suoi cavalli di battaglia:

qualsiasi cosa tu faccia, solo per il fatto di farla, viene giudicata sbagliata dagli altri.

E questo accade indipendentemente dal grado di buonafede che ci hai impiegato.

venerdì 14 ottobre 2011

tutto questo finirà: sì, no, forse



So di averlo scritto solo pochi giorni fa. “Qualcosa è cambiato”; ma il quid è proprio in quel “qualcosa”. Che purtroppo non è tutto, non è subito, non è definitivamente.

Stamattina, poco prima di alzarmi, ho appoggiato le mani su di me, poco sopra la pancia; e sentire ancora in evidenza le costole mi ha dato un sottile senso di piacere. Così come quando, ieri mattina, la commessa del negozio nonostante il vestitino aderente che stavo provando non si era accorta che fossimo in due.

Inutile fingere: come mi ha detto la dottoressa T., con un misto di preoccupazione  e smarrimento, in fin dei conti il mio pensiero è che, una volta partorito, possa tornare quella di prima. Sottopeso. Soprattutto, la mia preoccupazione attuale è la speranza che il senso di fame che provo adesso svanisca come per miracolo. Zot! Di nuovo capace di ignorare mugugni di stomaco e di mangiare decentemente una volta al giorno (perché si può, vero?!).

Certo, sarebbe una bella favola poter mangiare come adesso, fare meno movimento di quanto facessi prima, e pesare quanto prima. Ma nemmeno Olivia di Braccio di Ferro ci riuscirebbe (tanto che, in effetti, l’avete mai vista mangiare? Non dico uno degli hamburger di Poldo, ma neanche un barattolo dei portentosi spinaci). Intendiamoci, lo scrivo con una soddisfazione a tratti vestita di sensi di colpa per la piccolina: non che adesso riesca a mangiare quanto sarebbe adeguato, neppure per una persona “singola”, ma certo è più – anzi, molto più – di quanto mangiassi prima.

E, soprattutto, forse (questo sì, lo ammetto) sono più frequenti i momenti in cui sono moderatamente serena sedendomi a tavola o – ebbene, ammetto pure questo – ora esistono esperienze prima inconcepibili come decidere di entrare in una gelateria da sola e uscirne con un cono. Alle creme, ovviamente: perché se bisogna trasgredire meglio farlo fino in fondo.

Difficile da scrivere; difficile da capire persino per me che lo vivo. Eppure ci sono una serie infinita di contraddizioni evidenti e marcate che nella logica normale sono inconcepibili e che anche io, se mi ci fermo un attimo, riconosco come modi di agire idioti. Ma sono così, e come i  pensieri non si possono controllare: esistono e basta. Come l’irrefrenabile desiderio di dolci che, adesso, mi sto concedendo con una certa frequenza sostituendoli (cosa che, comunque, faccio sempre) a un più sano e meno calorico piatto di pasta (ma davvero la gente la mangia anche ogni giorno?? Non bastano 30 grammi, massimo 35, una volta al mese?).

Non ci sono parole per spiegare quanto mi senta in colpa per quello/quanto sto mangiando e quanto, al contempo, ne sia felice/soddisfatta: è come riscoprire gusti che non conoscevo più, cibi che neanche ricordavo esistessero, sapori di cui mi ero completamente scordata e che fatico a individuare. E’ come essere tornata bambina: la Nutella abbondantemente spalmata sulle fette biscottate (integrali, però!), i biscottini con il cioccolato, quelli più light (ma comunque penzi) allo yogurt, persino il succo di frutta alla pesca, vero tuffo nei pomeriggi dell’infanzia. Ma è come un sogno, che credo (spero?) si interromperà allo scadere dei nove mesi. Da un lato non vedo l’ora che accada, dall’altro vorrei che questo “Paese di bengodi” si prolungasse all’infinito.

Dipende solo da me, dite? Già, è vero: ma vi pare poco?

giovedì 13 ottobre 2011

bimbo o pancia?



In modo piuttosto rude e inatteso, soprattutto perché si tratta di persona che mi conosce da anni, sono stata accusata di egoismo per ciò che ho scritto nei primi post.

Senza dubbio è vero, ma non il motivo: o meglio, lo è anche il motivo ma non le cause per cui lo sono e/o lo sono stata.

L’accusa era data dal fatto che parlando della gravidanza avessi ripetutamente scritto “pancia”. Un paio di considerazioni semiserie in merito, che tirano in ballo il mio sentire personale, quello che (credo) è il sentire anche di altre mamme (in fieri o che già lo sono), e quello che – come sempre – si è indotti a pensare dai commenti degli altri (spesso, ovviamente, sconosciuti fino al momento in cui non hanno più potuto frenarsi decidendo che fosse proprio il caso di partecipare alla tua attesa).

1.     Come ho scritto ieri, qualcosa in me è cambiato quando ho sentito la pulcina muoversi: un evento che è andato pressoché di pari passo con l’arrotondarsi della pancia (e qui non posso far a meno di scriverlo), anzi, talvolta con il suo deformarsi per i grand jetè che ogni tanto abbozza nel suo palcoscenico acquatico. Fino a poche settimane fa, lo giuro, era impossibile riferirsi a lei in modo diverso che “pancia” (aridaje!) anche se questa non aveva ancora preso la tipica forma da “ovetto portatile e sospeso” che si associa alla gravidanza

2.    A prescindere da ciò che uno/una pensi a proposito del momento in cui comincia la vita di un essere umano, è indubitabile che sapere “cosa” ci sia dentro di te (bimbo/a) faccia scattare un diverso modo di percepirlo/a: se non altro perché - almeno nel mio caso - è stato solo in quel momento che, oltre a pensarla con connotati più precisi, ho iniziato a comprarle qualcosa (ed è effettivamente esaltante, anche se più che per me, sta diventando esaltante per la nonna M.: ma questo sarà argomento di altro post)

3.    In effetti, più che di pancia non saprei neanche io di cosa si dovrebbe parlare nei primi mesi: finchè non sono tornata dalle vacanze, lo giuro, la pancia non c’era (testimoni le foto in costume su fb). Però i cambiamenti del corpo sì: e allora, a costo di sembrare spietata e senza cuore, come fai ad amare sinceramente, schiettamente “qualcosa” che senti solo quando, una volta al mese, la ginecologa attiva l’audio all’ecografo e che, per il momento, sembra avere l’unica e – per lui/lei – divertita funzione di farti perdere un’ora davanti all’armadio spalancato a cercare qualcosa che non stringa? Perché comunque i chili, come certo è normale (e pare auspicabile), aumentano ma - almeno a me - sembravano solamente “ingrassatura” : con l’ansia di farmi vedere da qualcuno che potesse pensare (o dirmi, visto che il tatto è la dote principale delle persone, stavolta soprattutto di quelle che già si conoscono) “Oddio, com’è ingrassata!”

4.    Indipendentemente da come si vivano questi fisiologici e naturali mutamenti (ma naturalità non combacia con immediata accettazione), una delle frasi più gradite dalle persone che già hanno avuto la notizia del pupo in arrivo è “La pancia cresce?”. Ora: anche in questo caso dovrebbe trattarsi di fatto ovvio e naturale, quindi perché chiederlo? E poi: piuttosto che porre una domanda del genere, non sarebbe più urbano domandare “Come stai?” o, se proprio si vuole ignorare la mamma (spesso scambiata per incubatrice ambulante e termoautonoma), “Come sta il …” inserendo al posto dei puntini uno degli infiniti nomignoli che spesso vengono coniati al momento per indicare il bimbo.

Insomma: così come la gravidanza è un fatto naturale, lo è anche parlare di pancia; non per questo, però, è bello, corretto, piacevole. Per tutte ma soprattutto per chi, quella pancia, ha cercato fino a qualche mese prima di piallarla in ogni modo: consentito o meno.