giovedì 31 dicembre 2015

Auguri


Niente promesse, desideri, aspettative o bilanci. Semplicemente, auguri.

Auguri a chi stasera e domani lavora e a chi un lavoro non ce l’ha.
Auguri a chi è un precario che deve ogni giorno inventarsi una routine e a chi sa con certezza che entrerà in ufficio alle 9 per uscirne alle 17.
Auguri a chi è in ospedale e a chi malato lo vorrebbe essere per far vedere un dolore interno.
Auguri a chi trascorrerà questa serata in compagnia e a chi la passerà da solo.
Auguri a chi ha una famiglia e a chi è solo nonostante la famiglia.
Auguri a chi ha dei figli rumorosi e a chi non può far altro, al momento, se non sognarli.
Auguri a chi non ha una casa e a chi non sa scegliere fra quella in città, al mare o in montagna.
Auguri a chi trascorre le giornate lontano dai figli e a chi non sa staccarsene per non perdersi un loro respiro.
Auguri a chi è in partenza e a chi vorrebbe fuggire.
Auguri a chi lotta per superare i suoi limiti e a chi non se ne pone neppure il problema.
Auguri a chi la mattina esce di casa come uno zombie con i capelli appiccicati di cereali, il moccolo spalmato sulle maniche e a chi riesce a portare il bambino a scuola truccato e sistemato come se fosse sceso dalla passerella.
Auguri a chi sa prendersi una pausa e a chi non sa dove sia l’interruttore con scritto off.
Auguri a chi ha dei desideri per l’anno nuovo: non perché si realizzino, evento altamente utopistico, ma perché ricordi sempre di averne per puntare ancora più in alto.

Auguri a chi invece desidera semplicemente vivere senza porsi domande, senza angosciarsi e sentirsi inadeguato. E anche a chi ha bisogno di un blog per mettere nero su bianco questi interrogativi.

sabato 17 ottobre 2015

aria di casa mia...?

Scrivo, altrimenti perdo anche questo come tanti altri attimi.
In questo ultimo mese, ovviamente in coincidenza con l’avvio della scuola, la ripresa della mia collaborazione (molto lenta e sporadica, vabbè: ma per me è sempre un impegno mentale), la ricerca di un attività principesca pomeridiana, la ricomparsa dei pidocchi, un periodo di briciolesche e inspiegabili notti in bianco... sono finalmente iniziati i lavori alla casa della mamma-nonna. Non ne ho ancora mai parlato in modo disteso.
Dunque, il la è venuto da Lui in risposta ai taciti interrogativi su cosa avrebbe fatto la mamma-nonna in una casa tanto grande e dispendiosa a livello di bollette. Tra le varie ipotesi: venderla per farla avvicinare a casa nostra in un appartamento, oppure vendere noi e cercare una casa vicino a lei. O, infine, modificare la casa esistente per viverci tutti assieme. Orbene. Sono subito nati dei quesiti dovuti al fatto che:
a.   persino il sacerdote che ci ha sposati durante il corso prematrimoniale ha caldamente sconsigliato una convivenza con i suoceri, di qualsiasi parte fossero;
b.   nei miei pensieri, ho sempre rifiutato quella casa e mi sono sempre opposta a chiunque dicesse che «la soluzione migliore per tutti è che ci andiate a stare voi».

Ma, ovviamente, come per molte altre scelte compiute, ho risposto garibaldinamente: «Obbedisco». Come ha detto qualcuno, ho preso una decisione adulta; senza pensare che già al momento dell’acquisto di quella casa era stato il mio giudizio a pesare facendola comprare perché – anche quella volta, a tredici anni – avevo compiuto una scelta adulta sollevando gli altri membri della famiglia da un pensiero ulteriore a quelli, pesanti, che già c’erano. Ora la decisione adulta era sapere che è un bene stare vicino alla mamma-nonna per le necessità di tutti e che una casa con il giardino è un paradiso per le belve: che infatti vogliono farci uno zoo, con tanto di giraffa che parla.

A parte questo, a parte il mio distacco indifferente dei mesi scorsi – anche perché impegnati nello svuotamento della casa e la ricerca di spazi, per quanto piccoli, per la mamma-nonna nel nostro appartamento – è subentrato il malumore di quest’ultima. Ma non ho capito perché. Credo non lo sappia neppure lei. Parlandone con Lui, ho chiarito nella mia mente che ci sono due diversi livelli della questione.
Quello razionale, per cui ci sarà un’ottimizzazione delle spese e del tempo oltre che una vicinanza positiva sia dal punto di vista logistico che affettivo.

E un livello emotivo, che purtroppo tende ora a prevalere. A me ha fatto sempre rifiutare quella casa proprio per il motivo di cui sopra: è come la visualizzazione del momento esatto in cui sono stata costretta a diventare adulta, mentre dal punto di vista sentimentale “la” Casa, la MIA Casa, era e continuerà per sempre a essere quella in cui sono cresciuta, quella in cui non conoscevo i problemi degli adulti, quella in cui vivevo come Laura della “Casa nella prateria”, immaginandomi protagonista di mille splendide avventure. La casa nuova, invece, è stata subito associata a momenti cupi, che me la facevano osservare da fuori con ribrezzo per l’ipocrisia dei suoi muri bianchi, luminosi, a contrasto con il pesante grigiore che assaliva chiunque entrasse. Come se sull’ingresso fosse scolpito il dantesco «Lasciate ogni speranza o voi che entrate».
Tuttavia, proprio perché ormai anagraficamente dovrei aver ben varcato la soglia dell’età adulta, ho accettato. Ma non mi sono lasciata troppo invischiare da come sarebbe stato il portone d’ingresso, la distribuzione delle camere, il tipo dei serramenti. Era ed è ancora Lui a decidere e pensare a tutto, ed è fantastico nel farlo. Se qualche decisione l’ho presa – perché mi è toccato – è stata in qualche modo pilotata, dopo giorni in cui mi ripeteva cosa avrei dovuto scegliere. E non solo perché quando mi parlava dovevo fronteggiare caprinci e dondolare Briciolina mentre spadellavo e rimescolavo pentole.
Tuttavia ora qualcosa sta cambiando.
I lavori sono entrati nel vivo, una situazione spinosa si è risolta grazie a un mio contributo, è iniziata l’eccitante fase di scelta di piastrelle, mobili e affini tanto che lunedì abbiamo mollato le belve alla mamma-nonna e alla cuginetta G. per scegliere cucina e cameretta.
E mentre la ragazza del mobilificio progettava parlando di ante, cappa, controsoffitti, la mia mente immaginava la vita in quelle stanze. Con le bimbe ormai adolescenti. A litigarsi i trucchi appoggiati sul bordo della scrivania e scambiarsi cappotti e minigonne prese a prestito nell’armadio dell’altra. «Forse servirebbe anche un comò», ho azzardato pensando allo spazio per i collant e per i segreti che dovranno difficilmente nascondere ai miei occhi. E quelle piccole porzioni di parete lasciate libere dalla selva di mobili di cui le abbiamo circondate le ho viste intrise di poster (ma andranno ancora di moda?), cartoline di spettacoli, biglietti di concerti.
Poi ci ho pensate in cucina, appollaiate sugli sgabelli a ridosso del bancone a bere il caffelatte una accanto all’altra.
Adesso, lo ammetto, non vedo l’ora di vederci vivere in quei nuovi spazi.

Noi quattro, la mamma-nonna nella porta accanto, Mr. Billy e il signor Degas e magari il cane Banana sognato dalla Princi.

giovedì 8 ottobre 2015

e un mese ce lo siamo tolto

E il primo mese di scuola è andato.
La Princi non si gira nemmeno più quando la saluto. Anzi, spesso devo richiamarla per farmi salutare. Immagino sia perché le piace un sacco, ma cosa faccia lì dentro non è dato sapere. A volte credo che frequenti una setta o faccia parte della carboneria.
«Cosa avete fatto oggi?»
«Non te lo posso dire»
«Chi era il tuo grande?» (al suo asilo i piccoli hanno il tutor: anche sapere cosa faccia questo tutor è un mistero della fede)
«Non te lo posso dire»
«Cosa avevi per merenda?»
«Melanzane»
E quest’ultima domanda è motivata dal fatto che di solito ricordo di leggere solo il menù del pranzo, che so se e quanto ha consumato perché viene segnalato sulla bacheca. Almeno una pseudo-certezza, visto che spesso quello che è scritto non coincide con quanto, a fatica, mi riferisce.

Quest’ultima settimana abbiamo poi sperimentato i benefici del tempo pieno. Vinti i miei sensi di colpa per quello che interpretavo come un abbandono dato che non c’è proprio una necessità per cui resti più ore a scuola, mi sono resa conto che:
a.          Nemmeno si accorge di essere rimasta per più tempo a meno che non glielo faccia notare;
b.         anche quando la ritiro al pomeriggio (sembra di parlare di un capo in lavanderia!) ha comunque l’energia di restare a giocare fuori da scuola incurante delle condizioni atmosferiche;
c.          va a dormire prima e senza fare troppe storie, addormentandosi dopo un solo libro anziché dell’intera Treccani.


Ma i sensi di colpa sono comunque in agguato, per ogni situazione e per il suo contrario. Per esempio sono molto forti nei confronti di Briciolina. Teoricamente, con la Princi a scuola dovrei avere perlomeno tutta la mattina da dedicarle. In realtà la lascio spesso con la mamma-nonna, ora fortunatamente più a portata di mano dato che da agosto condivide gli 80mq del nostro appartamento in attesa che venga ampliata casa sua per ospitarci tutti. E così, con grande ed evidente piacere di entrambe, la abbandono per andare in palestra perché almeno la mattina sono relativamente meno distrutta e meno incline a scantonare. Oppure per fare la spesa. Oppure per varie ed eventuali commissioni che ogni giorno spuntano come funghi. E quando sono a casa, ci sono comunque le faccende, il pranzo e la cena da preparare, la Princi da far sentire coccolata soprattutto se è stata più ore a scuola...
Poi, diciamocela tutta: come mi accadeva con la Princi, pure con Briciolina mi sento incapace di giocare. Se viene lei con un libro, ok. Se devo inventarmi qualche gioco da fare insieme, non so dove sbattere la testa: e così ringrazio il fatto che sia molto emulativa e abbia già da tempo iniziato a giocare assieme a sua sorella. Che schiaffeggia per poi subito avvicinarsi e baciarla. Che da una settimana circa ha iniziato a chiamare “Ia”. Che vuole seguire a ruota uscendo dal seggiolone quando lei si alza da tavola alla fine della cena. È una bella peperina, pronta a sfoderare ettolitri di lacrime di coccodrillo appena cade o qualcosa le va storto, ma si tende a perdonarla per i suoi occhioni e i ricciolini che le invadono il collo e che ci chiediamo di continuo da chi abbia preso.

Al solito, ho divagato: avrei voluto rendicontare questo inizio d’anno con la ricerca di un’attività sportiva, l’inizio della battaglia contro i pidocchi, gli interrogativi su cosa stiano imparando e invece sono andata da tutt’altra parte. Riparerò. Forse anche io a settembre.

lunedì 14 settembre 2015

autunno: si inverdiscono le vite

E oggi anche noi abbiamo ricominciato la scuola.

Una volta non era un evento, o forse non me lo facevano percepire come tale o forse essendo bambina non sentivo il gran rumoreggiare che si fa adesso intorno a qualcosa che è naturale, normale, direi scontato. Mi pare che oggi si tenda a drammatizzare e ingigantire troppe cose, magari perché – come ho sentito dire in alcune occasioni – non ci sono più i riti di passaggio di un tempo e quindi abbiamo bisogno di rendere tali dei comuni momenti di crescita o di mettere in negativo fatti altrettanto normali.
Come i compiti delle vacanze: io li facevo, da sola, così come da sola ho sempre fatto quelli per casa, senza bisogno che mia mamma sapesse cosa o quanto o come dovevo fare e dando sempre ragione ai maestri se ne avevo tanti. «Bene così!» ricordo che aveva risposto alla mamma di una mia compagna che si lamentava per le pagine e pagine di verbi da coniugare che ci aveva assegnato una supplente. E in effetti, seppur non ne ricordo il nome, la ringrazio perché così ho imparato a usare correttamente congiuntivo e condizionale. Magari tutto ciò accadeva perché mi è sempre piaciuto andare a scuola, tanto che pure ora vorrei fare corsi su corsi di lingue, informatica e chissà che altro. Magari tutto ciò accadeva perché ero parecchio secchiona. Chissà. Sta di fatto che quest’estate (due mesi soltanto, a dire il vero, essendo terminato l’asilo a fine giugno) la Princi dapprincipio non ne voleva sapere di disegnare sui libri delle vacanze nonostante le piaccia un sacco pasticciare con pennarelli, matite e cerette. Poi, come per magia, ha iniziato a chiedere lei di fare i compiti: e così ogni giorno se ne andava una pagina fino a completare entrambi i fascicoletti. Ammetto di essere stata molto orgogliosa: un orgoglio pari a quello che provo quando la vedo aiutare Briciolina, stringerla, tentare di imboccarla e viceversa.
Tra i vari suoi soprannomi, Mini minor si è recentemente conquistata anche quello di Portobello per le riuscite imitazioni della sua mentore.

Comunque, tornando all’inizio della scuola, stamattina mi sembrava trascorsa una vita da quando mi affannavo per prepararci tutte e tre, rifacendo pure i letti e riordinando dalla colazione, pur di arrivare a scuola in orario. Ma quando mi sono ritrovata a uscire dal cortile, mi è sembrato di averlo fatto pure il giorno prima. E una volta arrivate, tutto uguale e tutto nuovo. Cerco di ricordare com’era andata lo scorso anno, cosa dovevamo portare e penso poi che sicuramente lo scoprirò.
Ma poi, siccome di solito per uno strano virus contagioso le cose accadono tutte contemporaneamente, ecco che l’inizio della scuola coincide con mille altre riprese o nuove avventure.

Innanzitutto, il lavaggio del cervello fatto dal momento del suo concepimento in avanti ha fatto sì che domani la Princi proverà la sua prima lezione di danza. Difficile esserne felice e basta: da un lato noto in lei una certa predisposizione (ma chi non lo direbbe del proprio figlio?), d’altro canto vorrei onestamente che si sentisse libera di scegliere se le piace o meno. Solo che al di là dei commenti che posso fare, ci sono atteggiamenti e modi di dire inconsci che difficilmente riuscirò a tenere sotto controllo. Intanto, però, su suo spontaneo suggerimento, proverà anche ginnastica ritmica, in teoria sempre questa settimana. Settimana che però non vorrei fosse troppo ricca di emozioni che potrebbe scaricare in crisi di stanchezza: in mezzo agli impegni certi (già molti per tutti quanti) si è infatti infilato un inatteso invito di compleanno.

Riprese. Anche io sto tentando di riprendere a fare un po’ di movimento. Ne vedo l’impellente necessità. Questi ultimi mesi sono stati molto duri sotto questo profilo. I momenti in cui decido di lasciarmi andare ad aperitivi, gelati o feste, sono ancora e sempre in conflitto con le restrizioni che cerco di darmi e che purtroppo restano senza risultati. Sono piuttosto avvilita per questo, anzi, mi sento avvolta da un umor nero che mi dico di poter dissolvere solo grazie a dell’attività mirata. E stasera comincerà la nuova stagione di aerobica pure per me: conto in una maggiore assiduità grazie alla presenza in casa della mamma-nonna che, oltre all’aiuto oggettivo, sembra silenziare i sensi di colpa.
Riprese. Sono mesi che lo aspetto, ma forse finalmente ci siamo. Mi mancava, mi impaurisce, mi incuriosisce. Non un vero e proprio lavoro, ma un lavoro di cui ho bisogno per ossigenare il cervello, per dare aria ai pensieri e togliere la ruggine alle parole. Non scrivo oltre. Sono ancora, spero per poco, nella fase waiting for Godot.
Nuovi inizi. Dopo mesi trascorsi veloci come giornate, finalmente ci siamo: mercoledì i muratori inizieranno a plasmare la nostra nuova casa. Felice? Emozionata? Non so. Credo – almeno per ora - indifferente. Spero la trasformino come ha promesso Lui, in modo che ne risultino trasformati i ricordi che l’accompagnano.

E per ora, come novità, mi pare possano bastare.

mercoledì 2 settembre 2015

Biancaneve reloaded

Un paio di giorni fa, la Princi mi ha chiesto di raccontarle la storia di Topolino. Ma ammettiamolo: Lui in questo è molto più bravo di me, inventa delle storie che riuniscono Mr Billy (il nostro gatto) con Masha e orso passando per Spiderman. E così le ho suggerito le solite “La bella addormentata” o “Biancaneve”: ed ecco gli aggiornamenti a cui ho sottoposto quest’ultima con i commenti e le correzioni della Princi.
1.      Intanto, siccome Briciolina pareva non essere d’accordo sulla scelta della favola, le ho chiesto se preferisse la storia di Gigi. Alla sua risposta affermativa, ho dato questo nome al finora anonimo guardiacaccia. Volevo pure fargli guidare una moto, ma la Princi ha preferito la tradizione: quindi, Gigi è arrivato nella radura con Biancaneve in sella al cavallo Philippe. Che sarebbe quello del papà di Belle, ma per la Princi Philippe è il cavallo per antonomasia (e, per inciso, i puledri sono i philippini).
2.     Oggi Grimilde ha promesso a Gigi come ricompensa un cellulare nuovo e un tablet, così da poter avere gli aggiornamenti via twitter delle pozioni della strega.

3.     «Biancaneve si fa scortare alla casa dei sette nani da scoiattoli, uccellini, cerbiatti, zebre e giraffe...».
«Ma no!! Le giraffe e le zebre non ci sono!»
«E chi c’è?»
«Gli animali del bosco! Le zebre e le giraffe abitano allo zoo
L’investimento fatto per visitare lo zoo ha evidentemente lasciato i suoi frutti.
4.     Biancaneve arriva in una radura dove c’è una casa piccina piccina, con una porta piccina piccina, un camino piccino piccino e, dentro, un tavolo piccino piccino, sette sedie piccine piccine e una gran confusione. Quindi inizia a ripulire ma prima salta in groppa all’elefante: alla subitanea ammonizione, corretta in un «Biancaneve salta su una bicicletta motore» è oggi seguita l’indifferenza per il fatto che vada al supermercato a comprare lo sgrassatore, la scopa, lo scopettone per le ragnatele e tutto ciò che le serve per dare una sistemata alla casa di quei sette zozzoni.
5.     Finito di pulire, Biancaneve apre il frigo e deve fare la spesa al F. e si ferma poi dal pasticcere C. per comprare una torta. Poi, stanca, si mette a dormire sui lettini dove sono scritti i nomi dei sette nani: il primo, per la Princi, è DOTTOLO.
6.     Quando i sette nani vedono Biancaneve, ascoltata la sua storia si commuovono e le propongono di tenerla al sicuro da Grimilde; in cambio lei farà la sguattera (e ieri mattina la Princi urlava sguattera alle colleghe bambine del parco giochi...)
7.     La mattina dopo prepara la colazione con cereali, Nesquit (!), iugort, biccotti di cioccolato e prepara pure i cestini con il pranzo: un panino con il salame, un bicchiere di vino e un’aranciata.


Altri aggiornamenti e ammodernamenti potranno essere via via aggiunti. L’importante è che poi il finale venga proclamato da entrambe (tra poco saremo in tre) a una voce: e vissero per sempre felici e contenti. Ma forse anche il finale dovrà subire dei ritocchi: magari sarà Biancaneve a guidare il cavallo e a proporre un contratto prematrimoniale al Principe in cui venga precisato che la spazzatura la porta fuori lui, che il possesso del telecomando sarà equamente regolato e che almeno una cena e un pranzo a settimana sarà lui a prepararli.

stanchezza da struzzo

Sono certa che quando Lui lo saprà, mi dirà che sono una pazza a non essere andata a riposare visto l’alto tasso di nervosismo, conseguente a stanchezza, che oggi ha fatto scendere ai minimi storici la mammitudine. Ma credo che scrivere sia un buon modo per scaricarmi: e poi, ora che vorrei riprendere a farlo sistematicamente, approfitto volentieri del riposino delle belve. Con buona pace del resto che dovrei fare.
Perché tanto stanca?
L’ho accennato ieri. Ho alle spalle due notti in bianco causate dal vociare, cantare, strimpellare e giocare a calcio di un’orda di ragazzi (spero fossero ragazzi) proprio sotto le nostre finestre. Se si fosse replicata la stessa scena anche stanotte, ero pronta a gettare un secchio di acqua gelata a chi – per inciso – mi ha fatto arrivare troppo assonnata all’appuntamento settimanale con “Criminal minds" impedendomi di gustarmi gli ultimi episodi e, soprattutto, di vedere la fine di quello lasciato in sospeso lo scorso martedì. Beh, a dire il vero, la Princi ci ha messo del suo perché ieri non ne voleva sapere di addormentarsi nonostante Lui le abbia raccontato diversi sbadigli intervallandoli a copiose favole: o forse era il contrario. Così a un certo punto Lui ha ceduto e me la sono vista ripiombare in salotto, e mi sono dovuta violentare cambiando canale e azzerando ancora una volta ciò che mi sarebbe piaciuto pur di evitarle scene truculente condite da un linguaggio poco principesco. Il tutto è successo proprio nel momento clou della risoluzione del caso che volevo vedere; e quando ha deciso di dormire, l’episodio era alla fine e di fronte ai successivi i miei occhi hanno ceduto.
Così, oggi sarei già stata indispettita; ma dopo gli urlatori della strada e la Princi, pure Briciolina ha voluto dare il suo contributo a mazziare la mamma. Per cui stanotte mi sono dovuta alzare due?, tre?, tot? volte per sedare il suo pianto a suon di acqua e crema gengivale: sentendomi poi chiedere da Lui, a colazione, dopo poche ore, se avessi dormito bene e come mai non fosse così. Non più indispettita. Mi sono proprio dovuta trattenere per non mollargli un pugno in faccia.
Bene. Basta?
No, non basta.
Stasera devo presentare una mostra e devo ancora rivedere gli appunti per prepararmi un discorso: vabbè che di solito riesco a raccogliere le idee in breve tempo, ma è sempre un evento che vivo con un po’ di agitazione. Intuendo che non sarei riuscita a occuparmi delle belve nel modo più sano e tranquillo, nonostante la fatica che comunque avrei fatto per trascinarmi giù dalle scale con il carico delle bimbe e del loro borsone approntato con merende e quant’altro,  per la mattinata ho proposto il parco giochi.
Ma, evidentemente già proiettata al clima artistico della sera, la Princi ha voluto dipingere: ovviamente dopo che solo ieri avevo riposto i pennelli che stazionavano da una settimana nel lavello; ovviamente dopo aver già fatto il bagnetto a Briciolina incastrandola nel lavandino. Quindi, via di pennelli, dripping, fogli staccati dall’album alla velocità della luce e pavimento che si sporcava alla velocità dell’energia einsteniana. Lo ammetto: mi diverto pure a vederle pasticciare fingendo di non pensare a cosa mi aspetti dopo e mi è dispiaciuto quando Briciolina ha scandito un perentorio «GNO!» trovandosi le mani pitturate perché credo sia un’attività che le faccia crescere, sviluppare la fantasia e che – forse – avrei voluto fare ma non mi è stato mai permesso. Però oggi c’era anche il pensiero degli impegni da assolvere e, non ultimo, quello di come avremmo trascorso il resto del giorno dato che erano appena le nove di mattina quando l’atelier ha chiuso i battenti. E oggi, come detto, è una di quelle giornate in cui fatico con il pensiero ad alzarmi dal letto, in cui mi sto ancora crogiolando, ma non per dormirci, semplicemente perché non vorrei fare nulla; una di quelle giornate in cui mi sento uno struzzo 


che non riesce ad alzare la testa perché impantanata negli imbrogli della quotidianità, intrisa di contrattempi e sfighe che non sarebbero tali ma tali vengono percepite. Perché pensi «Ok, adesso mi godo almeno questa doccia!» e dopo un attimo vedi entrare Cip e Ciop in bagno perché «Mamma, devo fare la pipì! Ma faccio da sola» e Junior la accompagna stringendo una bambola al petto e guidando il carrello della spesa. Allora ti metti a cucinare, cosa che effettivamente di solito è una piacevole fuga da piagnistei e urli: ma ti cade un po’ di sale per terra e pensi che oggi non va, che sei proprio maldestra, non sei capace di far nulla mentre è solo un po’ di sale che sì, dicono porti sfortuna, ma hai immediatamente provveduto ad aspirare.


Così finora il momento migliore è stato addormentare le belve: non solo perché posso farmi cullare dallo sciabordio della lavastoviglie alle mie spalle, ma perché ultimamente mi diverte molto raccontare la fiaba alla Princi. Fiaba che è sempre la stessa, ma quotidianamente arricchita di particolari. Eccola.
ps: perdonate il lay out del post: nel frattempo le belve si sono svegliate e alternativamente devono salirmi in braccio!

lunedì 31 agosto 2015

ci vuole il caos per partorire una stella (anzi, due)

Eravamo…
Briciolina, ormai qualche tempo fa
Eravamo neanche ricordo più dove. I mesi sono trascorsi così rapidamente che ancora stento a credere che quell’esserino un po’ rachitico e scuro, con la testolina piena di capelli color dell’ebano (sì, proprio come quelli di Biancaneve) sia la stessa pallina sgambettante che oggi, appena rientrata, non la smetteva di venirmi incontro a braccia aperte urlandomi «Mamma!». Così come non mi sembra vero che sia già trascorso il primo anno di scuola materna e che ieri abbia già riprovato i grembiulini alla Princi per vedere se le vanno troppo corti dato che cresce come se a colazione le dessi il fertilizzante.

Tante cose, piccole e grandi sono successe: ma mi rendo sempre più conto di quanto siano relativi i concetti di piccolo e grande. Al pari del valore da attribuire alle cose. Se nel periodo A. B. (Ante Bimbe) uscire e fermarsi a prendere un aperitivo era qualcosa che si poteva fare senza programmazione e poco importava se gli spritz fossero accompagnati da stuzzichini, ora è necessario prevedere dove potremmo fermarci sulla base delle dimensioni della ciotola delle patatine: perché dalla loro quantità dipende la previsione del tempo in cui si potrà restare seduti in una condizione di vigile tranquillità. Allo stesso modo, prendendo spunto da quanto accaduto un’ora fa, pur essendo stanca a causa degli schiamazzi sotto la finestra che mi hanno tenuto sveglia tutta la notte (è stata dapprima improvvisata una finale di Champions, poi una strimpellata alla chitarra che non era affatto una serenata), mi sono molto divertita ad addormentare le belve con una favola. Tanto per cambiare, se non era La bella addormentata era Biancaneve: ed entrambe, ciascuna a suo modo, completavano le frasi e partecipavano al racconto, costantemente arricchito di particolari che immergono questa svampita che accetta di fare da governante a sette uomini (sette!! ma dico io: come si fa??) in un mondo contemporaneo in cui il frigo è vuoto e deve correre dal pasticcere C. per una torta alle ciliegie.
La quotidianità della nostra famiglia vista dalla Princi
Ecco. Se non ricordo dove eravamo, so che questo è il dove siamo ora. Sono immersa in una quotidianità che, come aveva predetto un caro amico alla nascita della Princi, è ogni giorno uguale e ogni giorno diversa. Una quotidianità in cui, per quante energie tu ci metta, per quanti sforzi tu faccia, è sempre perfettibile.
Perché potresti fare di più, soprattutto se vedi/leggi/senti cosa fanno le altre mamme, che ti sembrano sempre maggiormente efficienti, felici, moderne, al passo con le mode sull’educazione dei bambini.
Perché poi pensi a cosa vorresti tu e vedi che è in fondo alla scala degli impegni della giornata, schiacciato fra il riordinare del post pranzo e la sveglia dal pisolino.
Perché poi pensi «chissà cosa vorrebbero loro»: e allora pensi che non le hai portate al mare, al parco, o in chissà che luogo fantasticamente divertente e ti accusi di essere pigra, egoista.
Poi però pensi che questa realtà è quanto riesci a fare. Perché comunque ci sono i loro ritmi da rispettare per evitare di impazzire se sono troppo stanche; ci sono il pranzo e la cena da preparare; le lavatrici da fare, stendere e nella migliore delle ipotesi stirare perché non le vuoi far uscire piene di patacche; la casa da pulire perché sennò oltre alle patacche sui vestiti troveresti chili di polvere che finirebbe pure nello stomaco di Briciolina dato che continua a mettere le mani in bocca; e oltre a dover pensare e attendere alle varie funzioni fisiologiche, ci sono poi i libri che ti chiedono di leggere, i travestimenti a cui ti chiedono di partecipare, le storie che pretendono di ascoltare.
Quindi ora siamo/sono   Immersa/inglobata/risucchiata/felicemente impantanata in una quotidianità che è la loro quotidianità.
L'indimenticabile figlio del Perozzi

Mi domando spesso se sia giusto, per me e pure per loro: soprattutto alla luce dei post di mamme che escono con le amiche o i compagni o che vanno tranquillamente in palestra, dall’estetista e pure al lavoro. Forse dovrei trovare il coraggio di delegare di più, sia la casa sia le bimbe. Ma l’istinto di perfezione ha la meglio, rafforzato dall’adagio (quotato da “Amici miei”) parte seconda “Bimbi e grulli, chi l’ha fatti se li trastulli”. D’altrocanto, quando l’altro ieri la Princi mi ha ammonito con un «Faccio da sola» quando si stava sistemando i capelli ho pensato che, come accennavo in inizio di post, stanno crescendo.
E poi che farò? 
 E noi quando facciamo la spesa ci mettiamo a leggere
Ora vorrei fermare nella memoria ogni loro gesto, parola, smorfia. Vorrei tenere sempre a mente il loro muoversi alla Cip e Ciop, con Briciolina come un’ombra nell’imitare orgogliosamente la Princi.

Non so se fosse questo ciò che avrei voluto scrivere; so solo che mi manca il tempo di riportare nel blog tutti i miei pensieri e pure questo mi dispiace. Ma appena riesco a trovare il modo di farlo, resto un attimo nella condizione da panico per il foglio bianco perchè vorrei riempirlo dei racconti di quanto accade ma pure dei pensieri che accompagnano gli eventi. E mi ci vorrebbe una giornata lunga il doppio.

venerdì 7 agosto 2015

Addio mobili (della cucina)

Senza dubbio dovrei fare altro: ma questo post ho iniziato a costruirlo nella mia testa ieri sera, anche se ancora non ho affrontato l’argomento “cambio - casa” in modo sistematico.



Ma oggi la cucina se ne va: e quanto mi è stato pesante non “salutarla” con un ultimo pranzo oggi, prima della dipartita. Purtroppo però il caos da sgombro che regna nella casa della mamma-nonna unito al caldo mi hanno sconsigliato questa avventura, se non altro per non stressarmi in conseguenza dell’irritabilità delle bimbe. D’altronde sono rare le volte in cui si riesce a salutare chi se ne va. Purtroppo.

E così, eccomi a salutare la cucina a modo mio: scrivendo. Sarà difficile pensare a “casa” senza di lei, avendola sempre vista al suo posto nonostante il suo posto – negli anni – sia cambiato più volte; e lei ha saputo adattarsi ai nuovi spazi, più piccoli o grandi che fossero, senza smettere mai di assolvere ai suoi compiti (eccezion fatta per la lavastoviglie). Quella cucina probabilmente ha visto i miei primi passi, sicuramente ha conosciuto i miei deliranti balletti del sabato sera a imitazione della Cuccarini e della Parisi. Sul suo tavolo ho imparato a leggere e ho fatto i miei primi compiti: “le forbici birichine”, che mi hanno vista insieme alla mamma e alla nonna china sui giornali a cercare dettagli simpatici per un collage. Quella cucina mi ha vista mangiare tutto e poi rifiutare ogni cosa, ha conosciuto le rare intemperanze del nonno, i pianti della zia arenata sui testi di psicologia, l’annuncio dell’arrivo di mio cugino. Sulla poltrona sistemata tra tavolo e mobili ha visto consumarsi e spegnersi chi se n’è andato e ha cercato di assorbire, a fatica, le lacrime di chi è rimasto.

Su quel tavolo ho festeggiato i miei compleanni più belli e anche quelli più brutti, non festeggiati ma semplicemente trascorsi. Di fronte a nonna ho discusso di amori, università e lì ho poggiato le mie tesi. Davanti a quei mobili sono passata con l’abito da sposa: e se hanno retto a tutto questo e a 37 anni di utilizzo, a malapena sono riusciti a mantenersi in forma a seguito delle scorribande di Princi e Briciolina: e l’arrivo della prima, guarda un po’, l’abbiamo annunciato proprio in cucina. In quella cucina nei cui mobili d’angolo mi nascondevo dopo aver tolto padelle e padelline; in quella cucina che ho tanto odiato quando odiavo ciò che conteneva. In quella cucina in cui la mamma e la nonna piegavano le lenzuola e avrei voluto tuffarmici dentro e dove, la mattina, eri sicuro che – alzandoti – avresti trovato la radio sintonizzata sulla Rai e la nonna che stirava. E io leggevo, forse per la centesima volta, uno dei Topolino custoditi nella cassapanca: e pensavo che nulla sarebbe mai cambiato e niente di brutto sarebbe mai potuto succedere. La cucina che, nel bene e nel male, con la tv sempre accesa anche se non c’era nessuno a guardarla, è comunque sempre stata il focolare di casa nostra.
Grazie per esserci stata, per avermi vista crescere e avermi dato l’impressione che tutto sarebbe stato solido, sempre e comunque.

Salutarti è un po’ come rendersi conto, una volta di più, che il tempo passa e devo farmene una ragione.

martedì 21 luglio 2015

cambio aria

Quanto mi manca scrivere qui sul blog! Sarebbe un modo per sfogare le tensioni cui inducono le due belve, i continui pensieri su “farò bene, farò male, chissà come fanno le altre”, un modo anche per fermarmi e rendermi conto una volta in più che sì, quella mamma che dà regole, mette in punizione, si intenerisce a vedere le sue bestioline giocare sono io. Purtroppo però il tempo è sempre poco, e continuo a chiedermi come facciano le altre mamme, che magari lavorano pure, a leggere o tenere aggiornato il proprio blog, a gestire mille profili/gruppi su facebook. Non so se abbiano tutte la governante: in momenti di scoramento per la mia incapacità a gestire più di tutto, mi convinco sia così.

Comunque al momento un “lavoro” ce l’ho pure. Ed è quello indicato dalla foto: lo svuotamento della casa di mamma per iniziarci i lavori di ampliamento in modo da trasferirci accanto a lei. E’ una soluzione che non ho ancora capito se e quanto mi piacerà. Al momento ho scoperto la soddisfazione che si prova nel riuscire a vendere ( o meglio: svendere) mobili e oggetti tramite la rete e l’incredibile senso di liberazione che mi regala andare in discarica a liberarmi di ciò che proprio non si vuol tenere; oltre alla soddisfazione di riuscire a viaggiare su e giù per le scale con scatoloni di peso pari al mio.
Le belve mi e ci fanno spazientire spesso in questa situazione, complice il caldo che le e ci innervosisce parecchio; ma in realtà sono piuttosto brave, considerando che non siamo ancora riusciti a imballarle, etichettarle o farle soccombere sotto i quintali di libri che spuntano da ogni dove.
Quotidianamente si presentano situazioni e pensieri che vorrei riportare qui e che formulo già pronti per essere postati: poi, purtroppo, ci sono le piccole da lavare, da costringere a far pipì e mangiare (la senior), da consolare se si tombolano a terra (junior), i pranzi e le cene da preparare, la casa da mantenere in un assetto umano e vivibile… e ogni tanto mi guardo allo specchio e penso che dovrei darmi un’occhiata in più.

mercoledì 6 maggio 2015

crescere

Uno degli ultimi disegni della Princi: la famiglia di Mulan

Al solito, dovrei fare altro: ma sono rimasta indietro di un troppo che urge in modo prepotente e che, in parte, è il motivo per cui ho tempo di scrivere.Oggi è infatti il secondo giorno in cui la Princi resta a scuola anche al pomeriggio. Bella roba, potrebbe dire qualcuno:la lasci di più proprio alla fine dell’anno. Il punto è proprio il lasciarla: cosa che se non avessi così tanta voglia di scrivere e se Briciolina non si fosse appena addormentata, correrei a prenderla. Ci pensavo già da tempo, all’eventualità di farle sperimentare pure il pomeriggio: ma dopo i mesi di malattia quasi ininterrotta, la ripresa è stata piuttosto difficoltosa e forse ne abbiamo degli strascichi nei frequenti risvegli notturni con finale salto nel lettone che ancora si stanno verificando ( e che ormai avvallo tacitamente per poter dormire almeno un po’). 
I guardiani della cameretta 
Poi però qualche settimana fa è comparso sulla vetrata d’ingresso l’annuncio di un laboratorio sul riciclo effettuato in tre pomeriggi: e allora l’idea ha preso più corpo, sostenuta anche dalla maestra S. secondo cui lasciandola in giornate normali c’era il rischio che si addormentasse visto che spesso, tornata a casa, se ne va da sola in cameretta per due ore di catalessi. Lo sciopero di ieri ha fatto anticipare il laboratorio di un giorno, a sorpresa: e così lunedì mattina mi sono trovata a decidere su due piedi, anche se a favore del tempo prolungato giocavano gli impegni che avevo e chi mi avrebbero costretta a delle corse per recuperarla senza mandare in crisi la mamma-nonna. Ed eccomi nell’atrio dell’asilo con lei davanti che se ne frega altamente di cosa le sto dicendo mentre io continuo a rassicurarla: «Amore, oggi farete un’opera d’arte, ma di pomeriggio, quindi la mamma viene a prenderti più tardi, va bene? Ok? E quando vengo sarà ora di merenda, non vengo subito dopo pranzo come sempre … vengo all’ora di merenda e magari andiamo a prendere il gelato.» Parola magica che risveglia la sua attenzione: subito inizia a richiamare bidella e compagni urlando «Dopo vado a prendere il gelato!!». E io che quasi quasi stavo per mettermi a piangere. Come starei per fare ora. Perchè mi sento una mamma degenere, come l’avessi abbandonata in mezzo alla strada anziché in un posto dove – tra l’altro – si diverte e si è divertita pure nel tempo prolungato. Perché sta crescendo troppo rapidamente, e non so se sono pronta.
La prossima volta che mi chinerò ad allacciarle le scarpe, alzandomi mi renderò conto che ha diciotto anni. E quella volta dirà seriamente di non sopportarmi come ha iniziato a fare quando è stizzita perché la rimprovero o perché è troppo stanca per addormentarsi. E chissà cosa dirà a quel tempo del mio modo di vestire (che chissà come sarà) visto che già ora mi critica se non metto la gonna o una maglia bella come la sua: che ad averne, di maglie belle come le sue, le metterei pure. È che ora comincio a non servirle più: e se finchè sei indispensabile non vedi l’ora che raggiungano l’autonomia, poi quando riescono a fare da soli, e te lo dicono pure, ci rimani male. E allora adesso, fra i mille momenti di corsa e i doveri della giornata, mi regalo ogni tanto qualche secondo per indugiare nei suoi occhioni, per cercare invano di fissare quello sguardo nella memoria dato perché spesso mi accorgo di aver dimenticato le sue espressioni di bimba più piccola.
Crescere: sta crescendo lei, stiamo crescendo noi come genitori e stiamo invecchiando come persone. Non sono pronta a tutto questo, ma temo non ci sia soluzione. La vita è una malattia da cui si guarisce solo con la morte, diceva Italo Svevo: e purtroppo è così.

Crescere: fare i conti di quanti anni sono passati da quando frequentavi l’università, da quando hai conosciuto quella ragazza con una foresta di capelli mossi e scuri che, come te, si schiacciava fra il finestrino, uno schienale e la folla di vecchietti bestemmianti sul numero trenta per andare a lezione di Letteratura Italiana. Una vita fa, anzi, parecchie vite fa: perché nel frattempo sei diventata una laureata, una lavoratrice precaria con molteplici contratti e mansioni, una moglie, una dottoranda, una dottoressa di ricerca disoccupata che si è inventata il mestiere di mamma. E che quando ha scoperto di stare per diventarlo, ha ritrovato quell’amica. E finalmente, dopo tre anni di «Dai, dobbiamo vederci», l’ha rivista davvero; e A., invece che riconoscere me, ha riconosciuto la Princi senza averla mai incontrata prima.

Crescere: fare i conti con i propri errori. Colossali, a volte. Pesantissimi anche quando compiuti per leggerezza e senza accorgersene. Poi succede qualcosa: succede magari che qualcuno cresce prima di te e ti viene incontro perché tu sei schiacciato dalla paura. Paura di un rifiuto, che sarebbe troppo difficile sopportare perché la voglia di rivedersi e di riavvolgere il nastro sarebbe talmente tanta che ogni poco ritrovi quella persona nei sogni. A questi tre anni di mammitudine è sempre mancato qualcosa, era come se questa entusiasmante, terrificante esperienza non fosse completa. E così ora, una settimana fa, ho scoperto come sarebbe stata e sarebbe dovuta essere: distanza chilometrica permettendo, ci saremmo ritrovate più volte sedute sul divano a parlare di cuccioli, di Lui, di noi. Come sarebbe stato rivedersi? Ci ho pensato lungo tutta la strada: cosa avrei detto? Ne avremmo parlato o sarebbe stato meglio far finta di niente? Non c’è stato bisogno di pensarci, solo di superare l’attimo di incredulità per riconoscere in quei quattro genitori gli amici di prima, quelli di sempre, come se la birra appoggiata anni prima fosse la stessa che stavamo sorseggiando ora. E come se in quell’abbraccio silenzioso, lungo, avvolto da lacrime reciprocamente non viste, ci fosse tutto il non detto di questo tempo.