venerdì 13 dicembre 2013

quel che resta di due giorni

Rieccomi a casa: il rispetto della prescrizione del riposo è durata il tempo del tragitto in auto con il Papà-nonno; il tempo di leggere “La Bella Addormentata” avvinghiate sulla poltrona; il tempo di cambiare un pannolino (operazione che ha richiesto più tempo di tutte le altre messe insieme visto il mood “anguilla sgusciante” che accompagna sempre questo momento); il tempo di arrivare per manina in camera insieme a Winnie Pooh e Ih Oh. Stop. Per addormentarsi, la Princi ha preteso come sempre di stare in braccio e rigorosamente in piedi. Insieme ai due pelouche (per cui, quando le dicevo di appoggiare la testolina sulla mia spalla, non poteva riuscirci) e alle canzoni di De Gregori per far da sottofondo a un categorico ondeggiare.
Vabbè: ma per un’oretta e mezza, magari due di sonnellino – capaci di evitare frigne serali – questo sacrificio ci stava. Anche perché le prescrizioni dei medici verso il riposo sono state vaghe. Giuro però di non giocare su questa vaghezza. Giuro che metto la testa a posto e comincio a pensare seriamente anche alla Pulci: che comunque, finora, ha dimostrato di avere il caratterino forte che le garantisce il nome che abbiamo (o meglio: ho) pensato di regalarle. Rigorosamente top secret fino all’allunaggio.
In questi due giorni e mezzo di sosta e siesta ho ripreso a scrivere, finalmente. L’ho fatto sul mitico quadernino rosso che mi ha accompagnato anche nei momenti precedenti l’arrivo della Princi: quindi ora trascriverò tutto. Cominciamo dalla fine; con l’avvertenza che fingerò di essere ancora distesa  e nullafacente in ospedale.
Giovedì 12 dicembre 2013
Cosa mi resta di questi due giorni:
-       nel mio delirio di Super-Mammismo mi si è (pericolosamente) rafforzata la convinzione di essere l’unica a sapere cosa sia bene per mia figlia. Per quella che c’è già, ovvio: se sapessi il bene di quella che è in viaggio non sarei qui. Ed è questa la prima volta in cui penso/scrivo/mi riferisco alla Princi con l’appellativo di “figlia”, che evito forse per evitare di sentirmi mamma e quindi davvero adulta;
-       mi restano due piedini morbidi e profumati proprio come quelli dei neonati grazie alle quintalate di crema che ci ho spalmato nel tentativo di recuperare quella mai messa negli ultimi due anni;
-       mi resta il rapporto di poco amore e molto odio verso il monitoraggio, che solo con l’ostetrica E. non ha mai perso il segnale del battito della Pulci;
-       come se questi giorni avessero rappresentato la linea di start, mi resta l’avvio dei galoppamenti incessanti e pericolosi della Pulci, concentrati di sera e di notte: pericolosi perché spero non sia il preavviso di nottolate all’indomani dell’allunaggio;
-       mi resta la scoperta o forse semplicemente la riconferma dell’amore e dell’amicizia di chi ci sta intorno e che, in vari modi, in questi due giorni c’è stato;
-       mi resta la rinnovata consapevolezza di un pessimo rapporto con gli ovuli e con l’anatomia del mio corpo;
-       la riconciliazione con un accessorio finora considerato inutile: la vestaglia. Che ho portato con me solo per aver sentito alle mie spalle la voce della Nonna-bisnonna che mi intimava di prenderlo;
-       mi resta l’immagine di come saranno le visite che mi farà la Princi ad allunaggio avvenuto: andrà alla ricerca di giocattoli nelle stanze di pediatria, ma soprattutto scasserà il telecomando del letto chiudendoci dentro a sandwich me e la Pulci;
-       mi resta il senso di accudimento e la sorpresa di essere ancora nella mente delle ostetriche nonostante la mia (forse apparente?) invisibilità;
-       due riviste e un libro letto;
-       una notte (su due) quasi intera e tranquilla di sonno;
-       il timore di non farcela fuori di qui;
-       il necessario riposo, non tanto fisico quanto emotivo: perché negli ultimi giorni mi sono sentita come una pentola a pressione, pronta a esplodere per un nonnulla con nervosismo, ansia e un desiderio di piangere talvolta impossibile da contenere;
-       pensieri, tanti, su cosa/come fare e dove andare una volta uscita: per non innescare le future gelosie della Princi preservando tuttavia l’integrità mentale di tutti e quella fisica della sottoscritta con navicella;
-       meno paura del cibo: in questi giorni, può sembrare un paradosso dato che ero in ospedale e non al Ritz, ho mangiato di più. Non tutto ciò che avevo nel vassoio, ma anche cose che in genere evito o non mi preparo perché per me sola non ne vale la pena (leggi: il purè) o che, se abbinate, rifuggo a gambe levate. Mentre ho pure mangiato dolcetti. E senza eccessivi sensi di colpa, come se avessi già partorito e avessi bisogno di energie supplementari per allattare o riprendermi dal travaglio. Fatto sta che stamattina, quando l’infermiera mi ha terrorizzata preannunciando l’intenzione di pesarmi, alla fine ha rischiato che le saltassi al collo: ma per baciarla. Perché ero quasi due chili in meno di venerdì. Sarà che era un’altra bilancia (ma sempre digitale); sarà che oggi l’odiosa operazione è avvenuta prima di colazione ma – ovviamente – voglio credere a quest’ultimo peso: perché mi ha messa di buonumore più dell’idea di tornare a casa.