domenica 23 maggio 2021

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 Oggi non va.

Finalmente ho ripreso ad allenarmi

Ieri sera ho deciso che avrei provato a riprendere gli allenamenti. Dopo l'assistenza compiti all'una e all'altra, aver rifatto i letti, aver preparato il pranzo e abbozzato la cena, dopo aver asciugato i capelli, acconciato e fatto manicure e pedicure alla Pulci, mi sono allenata. E sono arrivata al termine della mezz'ora di esercizi ancora in piedi, usando anche i manubri da 8 kg e senza fiatone.


Però oggi non va.

Ho fatto la doccia, abbiamo pranzato, ho aspirato, lavato i pavimenti, avviato la lavastoviglie dopo averla pulita, avviato la lavatrice, finalmente disinfettato il trasportino che ha accompagnato Snoopy nel suo ultimo viaggio (meglio che non ci pensi) e ora ho il tempo di sedermi al computer per godermi un po' di solitudine.


Ma oggi non va.

Ogni centimetro di pavimento pulito è abbinato a un pensiero storto, un rimuginare instancabile e pressochè inalterato da vent'anni a questa parte: cosa ho combinato, perchè non lavoro, perchè non ho saputo combattere per trovarmelo, perchè non ho capito quale vorrei fare, il tutto velocizzato dalla fuga dei sogni-desideri-immagini a occhi aperti che avevo, che sono rimasti irrealizzati ma che ricordo perfettamente.


Ergo: sono una fallita.

Vorrei essere come lui, che è riuscito nell'impresa

Vorrei piangere: non posso, rischierei di far crollare l'immagine che di me hanno le Belve e che, tutto sommato, credo positiva.

La giustificazione per questo scoramento è facile da tirar fuori: aprile e maggio mi hanno vista attraversare i covid di tre persone, l'isolamento di quattro, la dad di due seguita dai compiti da raggranellare fra compagni e maestre, poi di nuovo dad per una, le visite dal veterinario e il saluto a Snoopy (per alcuni sarà banale, ma a me ha fatto davvero molto male), poi la ricaduta, la terapia con il suo carico di stanchezza probabilmente amplificato da quanto appena ricordato, l'attuale preoccupazione per la prossima risonanza.


Già, ma sono stufa di darmi giustificazioni e la sclerosi rischia di tramutarsi in questo: una nuova, grossa e tangibile scusa per l'immobilità.

Sarà l'avvicinarsi del mio compleanno a suggerirmi questo implacabile, realistico, pessimistico, angosciante bilancio, ma ecco che questa è una nuova giustificazione.

Cosa farò spento il computer?

O come Degas, mimetizzarmi per nascondermi

Vorrei non fare nulla, è dalle sette di stamattina che vorrei semplicemente galleggiare mentre finora mi sono arrabattata per stare a galla nascondendomi nel “devo fare”.

Sono convinta (e non è una giustificazione) che una giornata così ci stia una volta ogni tanto, immagino sia fisiologica per tutti. E' che mi piacerebbe ridurre questi momenti al semplice aspetto fisiologico, appunto, riuscendo invece a risolvere quella nebulosa che sempre lo accompagna.

Vabbè, per adesso basta. Ho delirato a sufficienza. E scrivere il delirio mi ha aiutato a sgonfiare almeno in parte il palloncino che ho nel petto.

giovedì 20 maggio 2021

Super ricarica di super poteri

 

Avevo dimenticato il sapore metallico, amaro, che compare a mezz'ora dall'inizio del primo boccione e che mi sto portando dietro ancora adesso, a tre giorni dall'ultima goccia.

Avevo scordato anche le notti interrotte, in cui ti alzi dal letto dopo esserti rivoltato, ti stendi sul divano a leggere in attesa di sentire gli occhi appesantiti dalla stanchezza.

Quella stessa stanchezza che appare poco dopo essermi alzata dalla poltrona azzurro-grigia imbottita, ma che ho finto di non sentire, martedì scorso, perchè dopo due ore e mezza passate in solitudine, nell'ambulatorio in cui mi avevano sistemata, volevo vedere il sole, respirare, passeggiare per il centro di Udine dopo gli isolamenti fra covid e zona rossa che negli scorsi mesi mi avevano costretta a tante pareti chiuse.

Per cui, uscita dall'ospedale, ho iniziato a camminare verso la stazione. Mi sono riempita gli occhi di volti, persone finalmente sedute nei ristoranti, un minimo di leggerezza: fino all'ultimo tratto di strada, difficile da percorrere. Ammetto di aver consultato google nel timore di aver sbagliato percorso. Ero come un nomade nel deserto che vede l'oasi allontanarsi sempre più, un maratoneta a cui manca da percorrere “solo” il quarantesimo chilometro, quello più duro.

Un formicolio alla gamba, leggero ma costante; il silenzio che dall'alluce sembra stia avvolgendo tutta la parte anteriore del piede. Piccole cose che ho valutato per più giorni, finchè anche Lui non si è accorto che camminavo in modo diverso dal solito. Ancora adesso penso che forse non fosse necessario sottopormi a questi cinque giorni di cortisone, magari ho esagerato, sono stata troppo frettolosa.

Eccolo, uno dei problemi della sclerosi: insinuarti il dubbio. Le visite si basano su sfioramenti di gambe e braccia: «Sente di più a destra o a sinistra? Sente una gamba più pesante dell'altra?». A volte è difficile rispondere, così come è complicato capire se quella sensazione che percepisci sia un sintomo da segnalare o meno. Ma dopo qualche giorno ho pensato che il formicolio non fosse normale, non è qualcosa che dovrei sentire o, perlomeno, è qualcosa che nell'altra gamba non c'è.

La conferma è venuta dalla visita, immediata: prima di portare il nostro Snoopy ad addormentarsi (sì: in questo periodo condito di isolamenti, covid, vaccini, nuova quarantena e dad, non ci siamo fatti mancare nulla) ho chiamato il day hospital, sono stata richiamata un paio di ore dopo dalla neurologa e alle 14.30 ero in reparto.

La mattina dopo si comincia: prima un tampone, poi le analisi del sangue e via di boccione.

Sono preoccupata?

Sì: chi andrà a prendere e portare le bambine a scuola oggi e nei prossimi giorni, come vivranno loro questa “novità”, come riuscirò a star loro vicina se la stanchezza sarà eccessiva?

Quel martedì, così come nei giorni seguenti, la mente si muove per concepire tutti gli incastri possibili per la gestione della quotidianità. Il giorno successivo vado e torno da sola in treno, stavolta però il tragitto da e per la stazione è in autobus.

Poi mi rendo conto che invece devo forzatamente fare ciò che non vorrei: chiedere aiuto, disturbare. Per farmi accompagnare e tornare indietro, per dare un minimo di vivibilità alla casa.

E mi sento in colpa, terribilmente in colpa quando, giovedì, mi concedo il lusso di essere figlia anziché mamma: e allora indugio sul racconto dei tre buchi prima di trovare la vena giusta, della stanchezza.


Intanto le bimbe ascoltano e si preoccupano. La sera, piangono. Ho sbagliato: devo ricordarmelo che non posso permettermi di mostrare troppa stanchezza, troppo voltastomaco, troppo mal di testa e che dovrei coprire quei lividi sulle braccia perchè devo pensare a quanto ci soffrono.

Ci soffrono al punto che «Non dai un bacio a mamma? Non mi saluti?».

«Ho paura di farti male».

Una fitta, secca e profonda al cuore. E allora per esorcizzare queste paure le bende si riempiono di scritte, le mani di “tatuaggi”, fino al biglietto con cui, l'ultimo giorno, hanno accompagnato i muffin che abbiamo sfornato in quantità industriali tutta la domenica pomeriggio. Infornavo e mi appoggiavo al bancone. Infornavo ed ero orgogliosa di queste piccole donne coraggiose. Infornavo e pensavo: domani spero di poterle andare a prendere a scuola. Così ho fatto. Ed erano serene.