sabato 26 settembre 2020

qui il vostro inviato dall'interno della rm

 

Perchè mi guardi e non favelli?

Cronaca di una giornata in attesa della risonanza. Ci ho pensato durante tutto il tempo in cui sono stata dentro la polo e, per essere certa di riuscire a scrivere, mi sono alzata alle 6.30 per poterlo fare con comodità. Cominciamo dicendo che certo, ci sono esami molto più invasivi e fastidiosi e chissà come deve sembrare ai bambini che sono costretti a farla periodicamente. Eppure per me la tortura delle rm comincia con

Sete da Morire.

Per tutta la giornata: perchè avevo in mente che 8 ore prima del contrasto non si potesse mangiare ma soprattutto bere nulla. Poi, io ho abbondato e quindi, dopo aver fatto colazione alle 6, non ho toccato niente. Mi sentivo come un beduino nel deserto. In verità, quando finalmente, dopo un'ora di attesa, dal day hospital mi hanno traghettata alla zona della risonanza e ho dovuto firmare tutti i consensi, ho letto che sono sufficienti 4/6 ore: lo terrò a mente per il prossimo giro, per evitare di soffocare nel bere a collo un litro d'acqua una volta uscita nel corrodoio dei sotterranei.

Mi ha accompagnata Lui, che ora ogni venerdì è a casa dal lavoro; le bimbe erano impegnate con la lezione di hip hop e, successivamente, una cena fuori con zii e nonni. Siamo arrivati in neurologia con mezz'ora di anticipo, aggiungiamoci tre quarti d'ora di attesa perchè arrivasse l'asssistente ad accompagnarci, io a bordo della macchinina e lui dietro, a piedi: mi giravo e, tenendomi alle griglie di protezione posteriori, fingevo di essere un animale in gabbia. In fondo, bisogna pur divertirsi e farsela passare.

Così come Lui ha accompagnato me, un omone di mezza età si è fatto accompagnare dalla moglie che spiegava all'infermiere della reception: «Sa, soffre di claustrofobia: la volta scorsa pensavano bastassero delle gocce di ansiolitico e invece hanno dovuto fargli l'anestesia». Il gigante timoroso. Mi ha fatto sorridere di tenerezza.

Hanno chiamato me prima di lui: un medico che sembrava uno scienziato pazzo, come Doc di “Ritorno al futuro”, i capelli lunghetti e scomposti, secco secco, lo sguardo penetrante a punta di spillo, l'apparenza scostante racchiusa anche in quella camminata ciondolante causata forse dai pantaloni della divisa blu talmente lunghi da arrotolarsi fino a metà zoccolo. Mi cambio, esco infreddolita come un vermicello dal camerino, il camice bianco aperto sulla schiena, i calzari blu di plastica ad avvolgermi i piedi nudi. Mi siedo di fianco al grande disegno con il pirata e la principessa dal vestitino rosso che cavalcano una risonanza-razzo proiettata verso le stelle: con il mio tubicino piantato nel braccio dolorante, li ritrovo accoccolati attorno all'ingresso della grande polo.

«Posso chiedere? Potrei avere un lenzuolo durante l'esame? Sa, purtroppo sono freddolosa...».

«Ci mancherebbe che non le diamo un lenzuolo».

Immagine tratta da
https://www.pierinagallina.it/

Dopo aver igienizzato con disinfettante e battute ironiche su questa sanificazione casereccia, lo scienziato pazzo si rivela gentile: mi fa stendere sul lettino, mi mette la pompetta per l'allarme nella mano sinistra, mi sistema le cuffie a mo' di dee jay e spiega un lenzuolo bianco. Penso che se me lo lascia così, le gambe competamente scoperte, mi congelerò: invece lo risvolta con cura sotto il mento, lo allunga fino ai piedi e ci aggiunge un secondo lenzuolo. Non contento, lo rabbocca ai lati: ecco, sono una mummia bianca, avvolta nelle bende e pronta a entrare nel sarcofago.

Al solito, chiudo gli occhi e lui, dalla cabina di regia – per la quarta volta in questo lungo pomeriggio - mi chiede la mia data di nascita e se sia tutto a posto. Sono pronta a partire.

Parto infatti per un viaggio di pensieri che si riveleranno più lunghi della durata dell'esame: voglio concentrarmi su ciò che succede per scriverlo nel blog, rumori, sensazioni, tutto. Mi dico che magari la prossima volta chiederò il permesso di portarmi carta e penna o un registratore per realizzare un reportage dall'interno.

Qualche attimo di sospensione. Intanto immagino di essere un'astronauta nella sua navicella. Poi, invece del countdown, inizia il frastuono: la sirena-allarme, quel cloc-cloc assordante nonostante le cuffie, un martello pneumatico che sta togliendo i sanpietrini dal manto stradale: li vedo, quei vecchietti assiepati lungo la rete a sorvegliare i lavori. Un rumore diverso: a cosa assomiglia? Ah sì: sembra la macchina del caffè, quella bianca per le cialde che abbiamo in cucina. Ma si tratta di un caffè lungo, interminabile. Si ferma grazie alla sirena che annuncia la fine del turno di lavoro.

Chissà cosa stanno facendo le bimbe... La Princi a quest'ora sarà sotto la doccia, la Pulci sarà in bagno insieme a lei a spazzolarsi: le vedo, quelle pesti. Vedo i loro occhioni enormi, le ciglia lunghe. Come sono belle.

Oh cavolo, adesso inizia a vibrare tutto: ha avuto un bel coraggio il dottore a dirmi di stare immobile, qui sembra ci sia il terremoto, un rollio talmente forte da provocarmi un brivido di freddo nella schiena. Già, il freddo: come quello del liquido di contrasto mentre risale il braccio. Significa che siamo già a metà esame. Di nuovo: allarme, rollio, martello pneumatico, macchina del caffè...

Bimba-con-calzettoni
sul camion della
fabbrica

Una volta, nonostante il casino, mi sono quasi appisolata dentro la polo, ma oggi non posso: ho troppe cose a cui pensare. Fra cui: perchè proprio a me? Sta per scendere una lacrima, ma poi capisco che non sono più lì: mi sento come fossi nella fabbrica del nonno. Sono la bambina-con-i-calzettoni che cammina fra le conche che arrotolano su se stesso quel fiume scuro: e il rumore è smorzato e reso più sopportabile dal profumo penetrante della cioccolata. Sono al sicuro, al centro del corridoio con il pavimento rosato, sotto gli occhi vigili degli operai che mi sorvegliano: il mio mondo perfetto.

Tutto si ferma, anche il rumore.

«Ecco: abbiamo finito»

Lo scienziato pazzo è già lì vicino a me, pronto a togliermi il caschetto. Se non fosse perchè penso a Lui nel corridoio a sorvegliare il via vai dei portantini in bici e sulle macchinine, se non fosse perchè penso che è passato tanto tempo e la mamma sarà senz'altro preoccupata, vorrei restare lì un altro po' a pensare, a percepire quella sicurezza: magari sforzandomi sento davvero l'odore di cioccolata.

Mi alzo con il tubicino nel braccio: sembro uno Snorky. Vado a cambiarmi e poi mi risiedo sulla poltrona in attesa che l'infermiera mi tolga tutto. Il dottore di tanto in tanto passa, mi guarda con la sicura eppur timida baldanza di chi sa di nascondere la propria gentilezza e competenza sotto un aspetto che le persone, a prima vista, valutano poco rassicurante. Esco con un cerotto minuscolo, che dovrei tener premuto ma ovviamente non lo faccio: per cui il sangue comincia a inondarlo e mi sporca la manicha della camicia.

Come quando andavamo a Udine per Lui, per le sue visite e le sue terapie, trasformiamo lo scorcio di questa giornata in qualcosa “per noi”: non la prevista passeggiata in città a causa della pioggia che sta iniziando a cadere, ma un giro al centro commerciale dove decidiamo anche di cenare. Come due scemi, in auto iniziamo a prendere in giro la polo imitandone i rumori: tuc-tuc-tuc-tuc-tuc-tuc, gneeee, clonk clonk.

Ridiamo. Camminiamo. Ceniamo.

Torniamo a casa e aspettiamo che tornino le bimbe. Sono le undici e mezza quando le caccio dal lettone dove si sono infilate per leggere ognuna il proprio libro come sto cercando di fare io. Abbiamo parlato, cercato di progettare i prossimi due giorni che però sono troppo brevi per farci stare tutto ciò che vorremmo.

Ma intanto saremo insieme.

E, visto che sono riuscita a scrivere tutto quasi esattamente nel modo in cui lo avevo immaginato, sono anche felice.

Oggi non voglio pensare alla telefonata o alla mail dell'ospedale per la visita di controllo.

Oggi no.

Forse no.

Spero di no.

Un pochino sì.

Ma cercherò di annullare quel pensiero.

domenica 20 settembre 2020

Ricordo ancora il primo giorno a scuola

 

Ultimi spritz di libertà

Quindi: ce l'abbiamo fatta.

Una riunione on line meno di ventiquattr'ore prima del suono della campanella e la scuola è ricominciata. Anzi, come si dice adesso: è ripartita.

Del resto queste notizie date sulla linea di partenza hanno avuto senso: fino all'ultimo momento le procedure di accoglienza e gestione delle eventuali emergenze e dei nostri bimbi potevano subire delle variazioni.

Per dovere di cronaca accennerò allo smarrimento genitoriale di fronte a una situazione che muta da scuola a scuola e che viene aggiornata di ora in ora, tanto che per noi il divieto di lasciare qualsivoglia cosa sotto il banco si è già trasformato in un messaggio whatsap che avvisava di portare tutti i libri a scuola, previa scaricamento della loro versione digitale su cellulare o tablet. Che poi, se i libri ce li avessero sempre con sè, è tempo sprecato. Ovviamente tempo dei genitori che si devono pure incazzare con password che non funzionano e simili.

Per noi adulti si respira aria di lager quando sentiamo dire che i bimbi, al momento della ricreazione, possono beneficiare di un quadrato in giardino: per loro, credo sia solamente importante poter giocare con i propri compagni di classe e anzi, forse ne beneficia il loro sentimento snobistico di non mescolarsi con i più piccoli o con i colleghi delle altre classi.

All'ingresso
Certo: è strano accompagnarli tutti mascherati, aver aggiunto negli zaini la bustina con gel e maschera di ricambio e, nel nostro caso, pure un rotolo di carta igienica (non si sa se causa covid o ristrettezze della scuola). Ma, sempre per dovere di sincerità, come non rimanere allibiti, perplessi, frastornati o divertiti dalla rigidità del rispetto delle regole all'interno del recinto scolastico – destinata a mio avviso a spegnersi gradualmente nelle prossime settimane – e il lassismo cui figli e genitori si lasciano andare al di fuori di quello, anche giustamente? Perchè diciamolo: se la situazione dei contagi è grave, è grave ovunque e a ogni ora ed è insito nel genoma umano il mancato rispetto delle norme affidato alla sola coscienza individuale e al senso di responsabilità dei singoli.

Detto ciò, e ribadita pure l'incongruenza fra i proclami sull'importanza della riapertura e la chiusura delle scuole dopo soli tre giorni causa referendum, parliamo della nostra ripartenza.

Una ripartenza segnata dall'inizio della scuola primaria della Pulci che, fino alla stessa mattina del 16, ha continuato a dire che lei avrebbe fatto scuola da casa. Andiamo bene.

La colazione del rientro

Il primo giorno di scuola, ma anche i due successivi, entrambe si sono svegliate prestissimo ma fortunatamente siamo passate dalle 6 del mercoledì alle 6.20 del venerdì. Per incentivarle alla ripresa avevo preparato crepes alla nutella per colazione, riempito pennarelli etichette e tutto il materiale scolastico di cuoricini stampigliati accanto ai loro nomi e hanno pure voluto entrambe indossare gli orecchini con le coccinelle come buon auspicio. E nonostante la preoccupazione e l'agitazione per il fatto di rivedere i compagni, la mattina del primo giorno, durante la colazione, la Princi si è ammutolita e fatta tutta seria.

«Che succede?»

«No..., niente... È che stavo pensando a quel bambino, Stefano: lui non tornerà a scuola. I suoi compagni saranno un po' tristi.»

Già: e pure i genitori. E a tutti loro abbiamo pensato anche il pomeriggio seguente, quando cercavo di spiegarle che le sue crisi di ansia, i problemi che per lei sono insormontabili, a confronto con altre situazioni sono piccola cosa. Certo, ho aggiunto per onestà: poi uno sta male e pensa che non gli interessa delle sofferenze degli altri, per quanto gravi. Però le sto provando tutte per cercare di incoraggiarla e, a volte, credo di parlarle anche troppo e che nessuno ha mai parlato tanto con me per cui, “ai miei tempi” bisognava arrangiarsi.

Dopo la scuola...

Ma sto divagando. Per quanto riguarda la Pulci, all'entrata del primo giorno ha avuto la splendida sorpresa di trovare la maestra della materna ad accompagnare lei e i suoi amichetti dell'asilo dentro la classe per abbozzare quel progetto di continuità che il Covid ha bloccato nei mesi passati. E, all'uscita, ha trovato mamma, papà e nonna che pur incalzandola su come fosse andata non hanno ottenuto risposta: muta, in uno stato comatoso che si è risolto in una mega dormita appena entrata in auto in direzione Mc Donald. Altra dormita al ritorno e collasso finale sul lettone accanto al papà una volta arrivati a casa.

Nei due giorni successivi ha orgogliosamente proclamato di avere tanti compiti da svolgere e che la maestra di inglese l'ha interrogata chiedendole come si dica “cavallo”: e siccome lo scorso anno a Londra si era accuratamente informata su come si dicesse water, le abbiamo suggerito che poteva svelare pure quello alla maestra e ai compagni, o anche “scoiattolo”.

L'uscita del primo giorno

Poi, grazie alla maestra, ha imparato a lavarsi le mani: nel senso che «Mamma, la maestra ha detto che bisogna fare anche così, strofinare con le unghie», cosa che se le dico io, di lavarsele, manco il sapone si mette. E, allo stesso modo, la Princi reduce dalla lezione di educazione civica, materia che proclama con grande orgoglio, mi ha istruita sul fatto che le mascherine non vadano gettate a terra: speriamo che l'autorità superiore della maestra abbia fatto capire che nemmeno altre cose vanno abbandonate come rifiuti.

Certo, la felicità della novità o di rivedere gli amici si sono scontrate con la stanchezza dei ritmi di cui riappropiarsi, di una routine ormai persa e da ricostruire, nella quale rientrano pure le lezioni pomeridiane di hip hop a cui vanno incontro con grande entusiasmo nonostante le costringa a raggiungere la scuola di danza a piedi (non una grande distanza, ma per due bimbe tendenzialmente pigre sembra di raggiugnere il Catai).

E la stanchezza non ha colpito solo loro: pure per me non è stato facile sebbene la cosa più complicata sia nascondere la difficoltà del momento, fingersi moderatamente pimpante e mantere la calma nelle situazioni da 911.

In questa settimana mi sono approcciata per la prima volta alla sezione locale dell'Aism, ho avuto la data per la risonanza di controllo, sono stata (e sono) blandamente preoccupata per il ripresentarsi dei sintomi che precedevano le emicranie dello scorso anno, che non vorrei indicassero un peggioramento della situazione. Continuo poi a parlare e a incazzarmi con il mio alluce muto perchè non ci prova neppure a riprendere a parlare quando lo osservo con riprovazione in palestra. Così a volte, fra uno squat e un plank, mi viene da piangere per la rabbia. Ma poi mi dico che è solo un alluce. E in questi mesi ho camminato, saltato e giocato anche senza la sua approvazione.

martedì 15 settembre 2020

Unlock

 


Care belve,

il momento che tanti aspettavano, temevano, si auguravano arrivasse, è finalmente giunto.

Domani ricomincerete la scuola. Per te, Pulci, sarà un nuovo inizio: chissà quanta emozione nascondi dietro quell'atteggiamento falsamente spavaldo che si scioglie poi nella quotidiana supplica serale «Voglio stare con te!».

Cercherò di essere forte, di mostrarvi occhi felici, di non trasmettervi preoccupazione: no, non per il virus, verso il quale continuo a preservare l'atteggiamento fatalista e distaccato di tutti questi mesi. Tenterò di non svelarvi il timido sgretolarsi del mio cuore perchè d'ora in poi non ci saranno più la colazione lenta inframezzata dalle partite a carte e le lotte mattutine per farvi uscire lasciando a metà il gioco che vi eravate inventate giusto cinque minuti prima, dopo ore passate a bagolare. Non potremo più tirar tardi la sera a vedere la tv, a farci ridurre in miseria dalla Princi a Monopoli o a sorvegliare gli imbrogli di papà a Uno. Non più apericene, feste per i cugini/fratelli/nonni/genitori di Dudu che, essendo un coniglietto, ha una famiglia infinita. Non inviti infrasettimanali o cene fuori a parte nel week end. Limitati ai momenti di emergenza-stanchezza saranno i pisolini pomeridiani e i fine settimana li dovremo organizzare intorno all'impegno dei compiti.

Ultima domenica di inconsapevole libertà 
Insomma: mi mancheranno tutti i momenti che abbiamo trascorso appiccicate in questi sei mesi, mesi che sono volati lenti e che vi hanno regalato centimetri e, diciamolo, qualche chiletto in più; ma soprattutto vi hanno donato un modo nuovo di esprimervi, un linguaggio raffinato e colto che spesso ci lascia basiti.

Senza il lavoro, ho cercato di riprendere in mano le redini della vostra educazione ma, forse perchè non più abituate alle regole scolastiche, mi è sembrata una battaglia persa: i vostri vestiti invadono ogni angolo di casa, così come i glitter dei colori che spremete ovunque e le ciabatte/scarpe che non si trovano mai. E, se a Cecina lo facevate spontaneamente immedesimandovi alla perfezione nel ruolo di bambine educate e servizievoli, chiedervi di apparecchiare e sparecchiare è qualcosa di paragonabile a mandarvi a lavorare in miniera.

Emblema del tempo lento
Mi mancheranno le giornate del tempo infinito che non basta maiper leggere, riposare, uscire, giocare, scrivere, tanto che per farlo stamattina mi sono alzata alle 5.30. Mi mancheranno le nostre chiacchierate, le vostre frasi a effetto dette all'improvviso, le vostre riflessioni, le ore fintamente interminabili che non si sa come riempire mentre lo stiamo già facendo. Abbiamo cucinato come non ci fosse un domani, a volte pulito e riordinato insieme, piegato i panni stesi, fatto ginnastica seguendo le mie lezioni on line, cercato di imparare i rudimenti della danza classica, ho provato con alterni risultati a farvi amare programmi tv di quand'ero bambina, vi ho riempito le orecchie dei Queen e avete conosciuto la musica di Ennio Morricone, avete sfondato il saltarello, imparato a tuffarvi e a stare sott'acqua, avete – anzi: abbiamo – conosciuto tanti nuovi amici. Doveva essere un'estate triste e limitata mentre è stata una delle migliori che abbiamo vissuto finora.

Mi mancherete voi, sempre lì a disposizione: per un abbraccio, un sorriso, un bacio schioccato nel vuoto, una protesta perchè voglio pettinarvi o vi mando a lavare i denti, una discussione su come vestirvi o una sgridata per tutto il bagnoschiuma che usate.

Certo: non state partendo per la guerra.

Il vecchio...
Ma ieri pomeriggio abbiamo preparato le valige per il vostro nuovo viaggio verso una scuola che, tanto per ripetere un'espressione abusata in questi mesi post lockdown, sarà la stessa eppur diversa.



il nuovo

Immagino che vi mancherò pure io, eppure per il vostro bene non potrò dirvi quanto sarà difficile anche per me prepararci la mattina e riprendere gli orari di un tempo che sembra molto lontano. E lo è, se pensiamo che nel frattempo, senza che succedesse realmente ma vedendolo accadere solo attraverso lo schermo di un pc o del cellulare, avete imparato chi fosse l'Homo Ergaster (e ho colmato una mia lacuna che, stando ai piani scolastici attuali, era effettivamente enorme) e siete state promosse dalla scuola materna alla primaria. Sono mancati tanti momenti belli ed emozionanti che sarebbero stati in programma: le recite di fine anno, lo spettacolo di hip hop, la festa di passaggio per la conclusione dell'asilo... ma, se ci fossero stati, avremmo avuto meno abbracci, discussioni, sorrisi, litigate, tempo per noi.

Senza dubbio, come tutti, vi ricorderete il 2020.

Spero ve ne ricorderete anche perchè ci ha dato la possibilità di essere più famiglia di prima, permettendoci di azzeccarci l'uno all'altro al punto che, forse, sapere di avere una Super Mamma è stato più tollerabile.

Diciamolo senza mascherina: a noi il lockdown è pure piaciuto.

giovedì 3 settembre 2020

Sembra il Mare

 


Sempre nella Mente.

Per motivi diversi, in uno degli ultimi post ho scritto di un “prima” e un “dopo”.

In quell'infinitesimale succedersi di istanti insignificanti che è la vita, ce ne sono alcuni destinati a diventare immortali, paradigmatici, a creare un discrimine senza ritorno fra un modo nuovo, diverso e generalmente peggiore di svolgersi dell'esistenza e quello che lo precedeva e che, a posteriori, consideriamo normale/migliore.

Magari non sarà così per tutti e, in cuor mio, lo spero: ma una diagnosi di malattia, qualcunque essa sia, è qualcosa che penetra nel tuo intimo.

Sta in Mezzo.

A tutto. A tutti. Sempre.

In molti, dopo aver saputo della mia SM, hanno scritto messaggi accorati che ho accolto con un misto di piacere e fastidio.

Perchè io sono sempre io, proprio quella che hai mandato a cagare senza problemi il giorno prima di lavarti la coscienza con il tuo compatimento.

Però sono anche diversa. Perchè ho questa cosa in più, che al momento non è necessariamente nè brutta nè tantomeno bella. Ma c'è.

E il fastidio che ho provato è dovuto al fatto che sto andando avanti con la quotidianità: le bimbe da portare al centro estivo per poi ascoltarne le picole vittorie giornaliere; i gatti da accudire; la mamma con cui parlare; Lui da coccolare; la casa da pulire; la cena da preparare; gli amici da vedere; le gite da organizzare; le seghe mentali sul lavoro da trovare o forse no.

Come sempre, riempio le giornate di cose da fare per non pensare. Eppure

Sembra il Mare.

Il pensiero va e torna, di continuo. Sono diventata ancora più attenta a cosa accade al mio corpo, a percepire ogni alterazione di sensibilità, formicolio, rossore, prurito. Continuo a ripetermi che è colpa della legge del contrappasso. Ho tanto studiato, letto, fatto ricerca, parlato, spiegato e adesso ho qualcosa che colpisce il sistema nervoso a partire dal mio cervello. Ma poi: non è ridicolo che sia capitata a me, dopo 15 anni di danza, una malattia che può comportare difficoltà proprio nel movimento? Eppure, forse è grazie alla danza che, nei mesi scorsi, sono riuscita a sentire ciò che doveva dirmi quell' alluce prima di diventare muto. Anzi: invertendo il significato cronologico storicamente nascosto in questa sigla, dal momento della diagnosi in poi potrei parlare di

AC.

Alluce di Cartone. Perchè è così che lo sento, anzi: è così che NON lo sento.

Sempre Meno

è la forza che ho nel braccio destro. Quei pesi che solo pochi mesi fa, durante gli allenamenti casalinghi da lockdown, riuscivo a sollevare senza problemi, adesso rimangono a mezz'aria, lasciandomi indispettita verso quelle cellule che, chissà perchè, hanno perso la loro corazza. Poi, la stanchezza: certo, cammino ogni giorno per un'ora, poi torno a casa e comincio la routine domestica, poi magari ci sono delle commissioni...insomma: non è che mi risparmi. Però sento spesso la necessità di fermarmi e, se generalmente non lo faccio, è perchè vorrei che qualcuno mi togliesse le batterie. Al che, gli risponderei:

Sei Matto?

Camminerò finchè potrò farlo. Accompagnerò le bambine finchè riuscirò a guidare. Pulirò, cucinerò, stirerò finchè ce la farò. Non è il momento di fermarmi. Se mi fermo, vince il pensiero

Sono Malata.

Ma non voglio farlo vincere. Finchè avrò le forze per combatterlo.