Mercoledì: lo aspetto per
tutta la settimana. Questa è la serata in cui posso incontrare i detective
Benson, Amaro, Flinn. Ma ho bisogno di scrivere, un bisogno impellente,
assoluto. Altrimenti scoppio a piangere, senza freno. E oggi ho già iniziato a
farlo diverse volte.
Reduce da un week end
impegnativo: un sabato costellato di capricci alternati, con l’apice toccato da
Briciolina al centro commerciale dove ho temuto chiamassero il Telefono
Azzurro. Niente di chè, l’avevo solo allontanata dal negozio di giocattoli dove
aveva preso in ostaggio un Bugs Bunny e un passeggino per bambole. La domenica
è andata meglio, con l’attesa della gita a Trieste per lo show di Masha e Orso:
non un granchè, a dire il vero, soprattutto per la discutibile mise del corpo di ballo, con le ragazze
in calze autoreggenti e i ragazzi strizzati in tutine simil tirolesi che
lasciavano poco all’immaginazione. Ma le bimbe si sono divertite: hanno ballato
sulle nostre ginocchia per l’intera durata dello spettacolo e abbiamo cercato
di prendere a pugni un discreto numero di bambini e genitori per avvicinarci ai
pupazzoni una volta calato il sipario.
Piccola chef al lavoro |
Poi è iniziata la
settimana: tutti i programmi mentali sulle cose da fare l’indomani si sono
dissolti di fronte ai lamenti di Briciolina che, la sera di domenica, non
voleva saperne di dormire, nella notte si è svegliata le solite due-tre volte
finchè di mattina ho capito che poteva avere un’infezione urinaria. Quindi:
mattinata dal pediatra. Il tempo di pranzare per correre poi a prendere la
Princi. E per tutto il pomeriggio (sola con loro) tira fuori giochi,
risistemali, sclera, lascia che la Princi si lanci nell’idea di lavare il
pavimento del salotto perché la sera ci sarà la festa per papi (?), prepara i
muffin per la festa (così li testiamo in vista del bis compleanno), lascia
leccare i cucchiai, lasciale impiastricciare di cioccolato che spalmano sul
pavimento, lanciale entrambe sotto la doccia prima che chiazzino tutta la casa,
comincia a preparare la cena e per avere un attimo di pace dispensa pentole,
pasta, pomodorini e mestoli per farle giocare.
Una piccola porzione dei libri che vorrei/dovrei leggere |
Martedì lascia la Princi a
scuola fino alle tre e mezza, così puoi leggere e iniziare a prepararti in
incredibile ritardo per la visita guidata di sabato prossimo. E quando riporti
a casa la Princi con la vaga idea di andare poi tutte assieme in ludoteca in
attesa del colloquio con le maestre, ecco la crisi, replicata pure oggi con l’aggravante
della presenza di Lui. Ecco: ieri sono riuscita a mantenermi straordinariamente
calma, oggi inizialmente un po’ meno perché la crisi è iniziata a casa di un’amichetta.
Non esagero se dico che mi sembrava di contenere una bambina schizofrenica, o
autistica. Non esagero se dico che ho temuto si potesse fare veramente del male
strofinandosi e grattandosi come faceva. Non esagero se dico che mi sento
impotente, fallita. Perché non so cosa fare per evitare questi momenti, dovuti
(ormai lo sappiamo) a stanchezza. Il punto è che vorrei/avrei bisogno che
stesse a scuola fino al pomeriggio per abituarsi alla mia minor presenza in
vista del lavoro che dovrei iniziare nelle prossime settimane. Ma non sono certo
nello spirito adatto per intraprendere questa avventura. D’altronde se
rinunciassi so che prima o poi, magari inconsciamente, lo rinfaccerei alle
piccole.
Che non se lo meritano,
anche se mi stanno risucchiando ogni energia.
Anche se mi fanno sentire
spremuta come un limone.
Anche se le giornate
ruotano attorno alla ricerca del loro benessere: che però non è mai abbastanza,
evidentemente.
Anche se imputo a loro
la forma sformata che ho.
E questo mi riporta alle
prime lacrime della giornata, a stento trattenute. Oggi ho finalmente esaurito
gli ingressi nella vecchia palestra: quella che ho iniziato a frequentare
appena abbiamo iniziato a convivere; che mi ha vista cercare le perfezione in
vista del matrimonio; che mi ha vista affogare la preoccupazione per la
malattia di Lui nelle ore di acquagym; che mi ha permesso di respirare e
incontrare persone in carne e ossa mentre ne incontravo a bizzeffe, mute, sui
libri durante il dottorato; nei cui specchi ho incrociato il mio sguardo di
disappunto quando cercavo di bilanciare con l’allenamento il progressivo
sbocciare dei pancioni. Una vita, anzi, tante vite che si chiudono. E io che
ancora non mi percepisco pienamente mamma.
Ma lo sono.
E cerco di fare il
meglio che posso. Il che non significa necessariamente che sia il meglio per
loro. ma non so neppure quale sia il bene per me. Sarei tentata di buttare all’aria,
rimandare tutti gli impegni di lavoro che si profilano all’orizzonte ormai non
troppo lontani. Ma non è giusto: sono arrivati senza che neanche li cercassi e
mi pentirei. Ma al momento ho in testa solo quel pianto straziante, quelle urla
che non sempre ho la pazienza di arginare nel modo giusto. E intanto il cuore
va in frantumi. E vorrei una mano sulla spalla, vorrei ricordare le parole di
chi mi dice che con loro sto facendo un buon lavoro: ma soprattutto vorrei
crederci. Per oggi, intanto, mi accontento di pensare che il momento più
esaltante della giornata è stato mettermi la crema sui piedi.