mercoledì 20 gennaio 2016

angoscia

Mercoledì: lo aspetto per tutta la settimana. Questa è la serata in cui posso incontrare i detective Benson, Amaro, Flinn. Ma ho bisogno di scrivere, un bisogno impellente, assoluto. Altrimenti scoppio a piangere, senza freno. E oggi ho già iniziato a farlo diverse volte.
Reduce da un week end impegnativo: un sabato costellato di capricci alternati, con l’apice toccato da Briciolina al centro commerciale dove ho temuto chiamassero il Telefono Azzurro. Niente di chè, l’avevo solo allontanata dal negozio di giocattoli dove aveva preso in ostaggio un Bugs Bunny e un passeggino per bambole. La domenica è andata meglio, con l’attesa della gita a Trieste per lo show di Masha e Orso: non un granchè, a dire il vero, soprattutto per la discutibile mise del corpo di ballo, con le ragazze in calze autoreggenti e i ragazzi strizzati in tutine simil tirolesi che lasciavano poco all’immaginazione. Ma le bimbe si sono divertite: hanno ballato sulle nostre ginocchia per l’intera durata dello spettacolo e abbiamo cercato di prendere a pugni un discreto numero di bambini e genitori per avvicinarci ai pupazzoni una volta calato il sipario.
Piccola chef al lavoro
Poi è iniziata la settimana: tutti i programmi mentali sulle cose da fare l’indomani si sono dissolti di fronte ai lamenti di Briciolina che, la sera di domenica, non voleva saperne di dormire, nella notte si è svegliata le solite due-tre volte finchè di mattina ho capito che poteva avere un’infezione urinaria. Quindi: mattinata dal pediatra. Il tempo di pranzare per correre poi a prendere la Princi. E per tutto il pomeriggio (sola con loro) tira fuori giochi, risistemali, sclera, lascia che la Princi si lanci nell’idea di lavare il pavimento del salotto perché la sera ci sarà la festa per papi (?), prepara i muffin per la festa (così li testiamo in vista del bis compleanno), lascia leccare i cucchiai, lasciale impiastricciare di cioccolato che spalmano sul pavimento, lanciale entrambe sotto la doccia prima che chiazzino tutta la casa, comincia a preparare la cena e per avere un attimo di pace dispensa pentole, pasta, pomodorini e mestoli per farle giocare.
Una piccola porzione dei libri che vorrei/dovrei leggere
Martedì lascia la Princi a scuola fino alle tre e mezza, così puoi leggere e iniziare a prepararti in incredibile ritardo per la visita guidata di sabato prossimo. E quando riporti a casa la Princi con la vaga idea di andare poi tutte assieme in ludoteca in attesa del colloquio con le maestre, ecco la crisi, replicata pure oggi con l’aggravante della presenza di Lui. Ecco: ieri sono riuscita a mantenermi straordinariamente calma, oggi inizialmente un po’ meno perché la crisi è iniziata a casa di un’amichetta. Non esagero se dico che mi sembrava di contenere una bambina schizofrenica, o autistica. Non esagero se dico che ho temuto si potesse fare veramente del male strofinandosi e grattandosi come faceva. Non esagero se dico che mi sento impotente, fallita. Perché non so cosa fare per evitare questi momenti, dovuti (ormai lo sappiamo) a stanchezza. Il punto è che vorrei/avrei bisogno che stesse a scuola fino al pomeriggio per abituarsi alla mia minor presenza in vista del lavoro che dovrei iniziare nelle prossime settimane. Ma non sono certo nello spirito adatto per intraprendere questa avventura. D’altronde se rinunciassi so che prima o poi, magari inconsciamente, lo rinfaccerei alle piccole.
Che non se lo meritano, anche se mi stanno risucchiando ogni energia.
Anche se mi fanno sentire spremuta come un limone.
Anche se le giornate ruotano attorno alla ricerca del loro benessere: che però non è mai abbastanza, evidentemente.
Anche se imputo a loro la forma sformata che ho.

E questo mi riporta alle prime lacrime della giornata, a stento trattenute. Oggi ho finalmente esaurito gli ingressi nella vecchia palestra: quella che ho iniziato a frequentare appena abbiamo iniziato a convivere; che mi ha vista cercare le perfezione in vista del matrimonio; che mi ha vista affogare la preoccupazione per la malattia di Lui nelle ore di acquagym; che mi ha permesso di respirare e incontrare persone in carne e ossa mentre ne incontravo a bizzeffe, mute, sui libri durante il dottorato; nei cui specchi ho incrociato il mio sguardo di disappunto quando cercavo di bilanciare con l’allenamento il progressivo sbocciare dei pancioni. Una vita, anzi, tante vite che si chiudono. E io che ancora non mi percepisco pienamente mamma.
Ma lo sono. 

E cerco di fare il meglio che posso. Il che non significa necessariamente che sia il meglio per loro. ma non so neppure quale sia il bene per me. Sarei tentata di buttare all’aria, rimandare tutti gli impegni di lavoro che si profilano all’orizzonte ormai non troppo lontani. Ma non è giusto: sono arrivati senza che neanche li cercassi e mi pentirei. Ma al momento ho in testa solo quel pianto straziante, quelle urla che non sempre ho la pazienza di arginare nel modo giusto. E intanto il cuore va in frantumi. E vorrei una mano sulla spalla, vorrei ricordare le parole di chi mi dice che con loro sto facendo un buon lavoro: ma soprattutto vorrei crederci. Per oggi, intanto, mi accontento di pensare che il momento più esaltante della giornata è stato mettermi la crema sui piedi.