Due
giorni fa parlavo con un collega dell'opportunità e dei motivi
per cui festeggiare il Natale e il Capodanno. Siamo arrivati
all'amara conclusione, più o meno condivisa se si ha un animo
tendente a credere alla bellezza del 25 dicembre, che si faccia per
convenzione. L'ultimo dell'anno, in particolare, è un
pretesto per far festa ed è, personalmente, una di quelle date che
mi hanno sempre messo angoscia al pari di Pasquetta e Ferragosto: se
non fai nulla di speciale, sei tendenzialmente uno sfigato, un border
line rispetto alla maggioranza che partecipa a una grigliata sotto il
ponte, si imbarca nella classica gita al mare, o partecipa a una
festa che poco conta quanto abbia in comune con il veglione di
fantozziana memoria.
Ma,
in effetti, cosa festeggiare a Capodanno?
Un
altro anno che ci porta alla maturità (leggi: vecchiaia)?
Le
bimbe che crescono e si allontaneranno ancora un po' da noi? La
Pulci, peraltro, ha già capito che diventar grandi è una fregatura
e di tanto in tanto si mette a piangere sperando di tornare la
neonata della foto appesa sul suo letto. Ricordo di aver fatto una
cosa simile, nel passaggio dal 1986 all'87: non volevo che l'anno
vecchio mi lasciasse e ho iniziato a piangere disperatamente sotto
gli occhi attonitamente severi del nonno e della nonna che non
capivano i motivi di quel capriccio. Forse, se si fossero ricordati
di quell'episodio qualche anno più avanti, mi avrebbero dato retta
visto che in quel momento eravamo ancora – familiarmente parlando –
in una situazione di serena staticità.
Gli
ultimi giorni sono stati pesanti: la Princi con l'influenza mi tirava
giù la pelle lamentandosi di ogni cosa e chiedendo la mia vicinanza,
mentre una sensazione di vuoto cosmico affettivo mi avvolgeva, vuoi
perchè speravo di avere l'occasione di fare piccole gite in quei
giorni di clausura, vuoi perchè ho iniziato a far bilanci e a
interrogarmi, appunto, sull'opportunità di festeggiare l'arrivo del
nuovo anno.
Che
andasse festeggiata la fine di quello vecchio era fuor di dubbio: gli
anni dispari non mi sono mai piaciuti e il 2019 ha avuto come
unici, e certo epici, momenti positivi, il matrimonio della zia A. e
il viaggio a Londra.
Ma
da quella vacanza siamo tornati con il pensiero, più mio che altro,
per quell'evidente gonfiore apparso sul collo di Lui. Mesi di
visite, attese, esami. Angoscia. Ripeto: soprattutto mia, Lui è
sempre stato sereno e questa è la sua grandezza: lo è stata adesso
così come dieci anni fa. Per me invece ha significato ripiombare
indietro, proprio a quando, dieci anni fa, scoppiavo a piangere
mentre guidavo al pensiero che potesse essere travolto dal Linfoma.
Invece, dopo mesi di terapie, è stato Lui a travolgerlo. Nella mia
mente però non facevano altro che tornare le parole del radiologo
sulla possibilità che la combinazione di chemio e radio potesse
portare a una recidiva a distanza di anni. E non potevo non pensare
che ne fossero trascorsi dieci, tanti quanti quelli passati dalla
prima comparsa della malattia nella zia e la sua recidiva.
Gestire
queste emozioni nella normalità di compiti, lezioni di ginnastica e
chitarra, crisi di stanchezza per l'impegno scolastico,..., non è
stato semplice. Tanto più che a questo pensiero si sono aggiunti gli
accertamenti per i miei mal di testa: risonanza, risonanza con
mezzo di contrasto, prenotazione di visita dalla neurologa e la quasi
conferma di una nuova sfida che mi/ci attende nel 2020 per
accompagnarci negli anni a venire.
Sono
terrorizzata e cerco di non farlo vedere. Avrei voglia di spaccare
piatti mentre assecondo i pensieri della Princi sul fatto che “le
sfortune”, come lei le ha chiamate, siano ormai passate. Vorrei
parlare, sfogarmi, ma voglio al tempo stesso evitare reazioni
catastrofiste come quella che potrebbe avere la Mamma-nonna e quella
troppo ottimistica di Lui. Quindi, tengo dentro. E quasi esplodo. E
penso che festeggiare il nuovo anno non significhi nulla, perchè i
giorni non devono essere date scritte sul calendario per essere
festeggiate nè tantomeno credo che le settimane e i mesi a venire
possano essere diversi.
Eppure
ci crediamo, tutti.
Crediamo
nel fatto che, magicamente, sia un nuovo inizio.
Un
reset, un punto zero da cui ricominciare a vivere, sognare,
realizzare.