martedì 23 ottobre 2012

a step back: D come...


D come dito alzato: doveroso passo indietro nell’alfa-Princi dettato da una recente Princi-“attitude” che, stamattina, mi ha fatto tanto ridere: e, visto quanto sono esaurita ultimamente, mi ci voleva proprio. Si badi bene: trattandosi di signorina ben educata, nulla deve far pensare che il dito alzato sia quello medio. Forse avrei riso anche in quel caso, ma con una nota di disappunto: se a neanche nove mesi già si azzarda a tanto, stiamo freschi. Molto più acculturata, da qualche giorno la Princi gira perennemente con l’indice, talvolta GLI indici, sollevati. Opzioni che possono essere alla base di questo gesto:
 
a.      Come dice il papi, il bisogno/desiderio di fare una domanda, eventualità cui Lui sta pensando già da qualche tempo: per essere precisi risale al momento in cui ha iniziato a spiegarle come si prepara il caffè. Lei, seduta attonita nel seggiolone, sembra prestare attenzione ma, evidentemente, c’è qualcosa che ancora le sfugge se ogni volta il papi termina il sermone dicendo: «Vedo che hai il dito alzato: hai per caso qualcosa da chiedere? Qualcosa non ti è chiaro?»;
 
b.     Forse ricordando libri sfogliati quando eravamo ancora nello status di navetta madre, magari la Princi intende imitare il più celebre gesto della storia dell’arte ispirandosi alla Cappella Sistina. Nulla da eccepire sui suoi gusti estetici ma chissà che non si celi dietro a questo gesto un velato delirio di onnipotenza?
 
c.      Vedendola con l’indice alzato e la faccina seria mi è venuto il dubbio che intenda contraddire qualcosa: e allora ecco che mi è riaffiorato alla mente Frate Cristoforo con il suo «Verrà un giorno…». Ora, poiché spesso si incanta a guardare le mensole zeppe di libri del soggiorno all’evidente ricerca del volume da cui iniziare la sua formazione, e dal momento che su quella più bassa troneggiano I Promessi Sposi che avevo in dotazione al Liceo, posso dedurre che magari, non vista, si sia fatta aiutare da Mr. Billy e dal signor Degas per impossessarsi del tomo e cominciare a spulciarlo. Tremo però al pensiero che, già così piccola, abbia un atteggiamento censorio tanto spiccato.
 

Questa mattina, però, il dito alzato le è servito per qualcosa di più terra-terra; anzi, di terra-aria. Seduta nel seggiolone sull’uscio del bagno mentre finivo di truccarmi, ho iniziato a sollecitarla chiedendole dove fosse Billy, che vedevo comodamente spaparanzato sopra il mobile d’ingresso che si trova, per l’appunto, in corrispondenza della porta del bagno. «Princi, dov’è Billy? Prova a cercarlo». Neanche finita la frase e lei, voltandosi appena appena e alzando lo sguardo me l’ha indicato dritto dritto con il ditino. «Sei troppo avanti, Princi!» e, infatti, capito il complimento, si è subito messa a ridere insieme a me.

domenica 21 ottobre 2012

E come...


E come etciù: voce non prevista dell’alfa-Princi, ben si attaglia a questi ultimi giorni. Già avevamo sperimentato il raffreddore tutti e tre insieme in vacanza: e non era stata un’esperienza gratificante. Perché se, personalmente, un raffreddore mi stende peggio che la febbre a 40° (che in realtà non ho mai provato), alla cucciola provoca un fastidioso connesso: non dorme. E come potrebbe, con il naso tappato che, peraltro, non vuole farsi stappare a suon di nebulizzazioni di soluzione fisiologica? A ben vedere al posto suo forse farei lo stesso: non so se sia più fastidioso non riuscire a respirare o farsi inondare le radici di quel liquido. E così, dopo le notti in bianco per il sonno disturbato a causa dell’orticaria, sono arrivate due notti in bianco per il raffreddore. Forse però a tenerla sveglia è stato il suo stesso russare, degno di un cammello: solo che quello – il cammello – è da solo nel deserto. Perfino i gatti hanno disertato il lettino. Finchè non abbiam pensato a uno stratagemma, rivelatosi vincente: tenerla con la testa un po’ sollevata. Senza pretendere di farla dormire in posizione equina mettendola seduta o direttamente in piedi, abbiamo rubato un cuscino dal soggiorno e voilà: stanotte ha dormito fino alle 6.30 come al suo (e al nostro) solito. L’esperimento è evidentemente piaciuto anche a lei. E speriamo che ora, a tenerci svegli, non sia l’insorgere dei dentini: ha aspettato tanto, cosa le costa attendere ancora un po’ per addentare la sua prima fiorentina?
p. s.: il MAGO ETCIÙ, personaggio dei cartoni animati della mia infanzia – e che da allora, evidentemente è ripiombato nella lanterna da cui era uscito – mi viene in  mente ogni volta che la Princi starnutisce

E come emozioni: abbinamento forse scontato al pari di “D come dormire”, in realtà si applica a una reazione che non so se sia altrettanto comune. Le emozioni che abbiamo provato da quando la Princi ha iniziato il suo viaggio sono state immense e più che quelle date dalla percezione della sua presenza con le prime nausee (momenti in realtà poco edificanti, lo ammetto) e dai primi calci allo scoccare del quinto mese, le emozioni più intense le ho provate quando abbiamo diffuso la notizia. Forse incoscienti, non abbiamo aspettato tanto come sembra fare la maggior parte delle coppie: la felicità per l’inizio di questo piccolo e per qualche verso inatteso miracolo era troppa. E lo stesso devono aver sentito e provato le persone intorno a noi: mai dimenticherò il pianto della mamma-nonna (scontato, forse, ma anche no dato che a lei, in segreto, già lo avevo detto), né le facce arrossate ed emozionate del papà-nonno, della nonna2 e della zia Cucciolo; così come mai scorderò la reazione di felicità pura e sincera di una coppia di amici che, anche per questo, ora ci manca ancora di più.
E lo zio che voleva stappare lo spumante alle quattro del pomeriggio, e il cugino V. che ancora mi intenerisce mentre, con le sue manone, accarezza le minuscole guanciotte della Princi. Ma, oltre alle emozioni degli altri, tante e infinitamente profonde sono le emozioni che ci regala quotidianamente la panzerotta (tanto per chiamarla come fa la zia Cucciolo): le sue prime smorfie, tanto vicine a sorrisi anche se in tanti ci dicevano non fosse possibile ad appena due mesi; i suoi vocalizzi, che ora riempiono le stanze, la strada, i centri commerciali con acuti improvvisi quanto divertenti; i suoi sguardi perplessi e pieni di gioia; il suo abbandonarsi a mo’ di koala quando non sta bene e ha bisogno di coccole; il suo cercarci con gli occhi e sporgendo la testa quando ci nascondiamo per farle cucù; il suo continuo e spesso destabilizzante bisogno di averci vicini. Ma, soprattutto, il fatto che quando la guardo o, da sola in auto, l’immagine del suo volto bussa alla mia mente, sorrido e mi metto a piangere: pensando che sia troppo bella, troppo felice, insomma, troppo per me.
 
E come “E adesso?”: è senz’altro il primo pensiero che ho avuto quando sono rimasta per la prima volta sola con lei. Cosa devo fare con questo fagotto? Ma è stato pure il pensiero, (ancora molto attuale) di quando mi trovo sola in casa, davanti al fasciatoio, con un esserino di tre, quattro, ora nove chili che ha espulso una quantità di prodotti pari a tre volte il suo peso: inondando – ovviamente - body, pantaloncini, maglietta e se le andava pure i calzini. A “E allora?” non si risponde in alcun modo se non con l’azione: ti carichi il fagotto in braccio, nudo come un verme, sperando che nel tragitto dal bagno alla cameretta non si esibisca in ulteriori performance, e cerchi il necessario per rivestirlo/a. Oppure aspetti qualche minuto e sarà lui/lei a dirti cosa fare: la quiete ha durata variabile ma breve ed è interrotta da pianti più o meno sonori che sono altrettante richieste. Come interpretarle? Secondo me c’è un diffuso quanto tacito patto tra le ostetriche per buttare fra i rifiuti, assieme alla placenta, il manuale delle istruzioni di questi “cosini”. E, quindi, ognuna impara come agire a suo modo, a sue spese, ma anche a suo favore e con i suoi tempi. E, poi, fortunatamente il momento dell’ ”E adesso?” dura i primi mesi: basta che la polpettina impari a star seduta che cambia la prospettiva sua sul mondo ma anche quella della mamma, non più impensierita dal «cosa faccio con questa ameba che sta lì ferma, sembra mi guardi ma dicono che non mi veda: ma se piange ogni volta che mi allontano un attimo?».
 

E come en dehors/en dedans: i puristi del francese mi perdoneranno se inserisco questa voce sfruttando la “E” della preposizione ma, a dir la verità, giunta alla lettera D è stata la zia ad honorem a ricordarmi che avrei potuto inserire queste due voci. Adesso sembra essersi un po’ calmata, ma attorno ai tre mesi la Princi, semi-sdraiata nell’ovetto, ha iniziato ad allenare gli addominali per sollevare le gambette e roteare i piedini contemporaneamente: e, tanto per gradire, mentre li ruotava azionava anche l’alluce di entrambi. Un pomeriggio, sola con lei in città, ho iniziato a dirle: «Ma, Princi, cosa fai? En dehors, en dedans…» .Sarà stato il tono della mia voce divertita, sarà stato che imitavo il suo movimento con le mani, ma ha iniziato a ridere fragorosamente procurandosi il singhiozzo. E lì, devo ammetterlo: più che una mamma, sono stata una ex ballerina oltremodo orgogliosa: nonostante i rimproveri della mamma-nonna e della nonna-bisnonna per questo incipit di lavaggio del cervello riguardante la danza.

mercoledì 17 ottobre 2012

cronaca di tre giornate bestiali


Stoppiamo un attimo l’alfa-Princi per venire all’attualità. Ci sono state alcune giornate bestiali, anche in senso letterale. Da dove cominciare? Direi da lunedì quando, al momento di andare a letto e chiudere la tapparella della Princess’ room trovo la prima delle tante sorprese di queste ultime 72 ore: il mio borsone della piscina sopraffatto da una pipì felina.Azz, esclamiamo Lui e io all’unisono a rischio di svegliare la Bella (da poco) Addormentata. Subito accusiamo del misfatto Mr. Billy, in genere refrattario ad accogliere ospiti, e ora ancor più ostile dato che da qualche giorno è costretto in casa (insieme, ovviamente, al sig. Degas) a seguito delle lamentele della vicina che se li è trovati tra i piedi. Vabbè, cerchiamo di essere comprensivi: in effetti lunedì diluviava e non hanno potuto beneficiare nemmeno del quarto d’ora d’aria sulla terrazza…

Martedì mattina. A seguito di una notte di sonno quasi ininterrotto (evvai!!) arrivo al lavoro dopo aver lasciato la Princi e i fratelli pelosi con la Nonna2. Trrrin. Arriva un sms. «Qui tutto bene a parte degas che ha vomitato sul divano. Ho pulito, metto a lavare il telo?» ‘Azz, esclamo per la seconda volta nel giro di poche ore. Telefono per capire la situazione: pare che il sig. Degas abbia avuto una ricaduta della gastroenterite di un mese fa. Non ci voleva proprio, soprattutto ora che la stagione comincia a essere avversa all’asciugatura dei panni che, quindi, sostano sullo stendino per settimane intere costringendomi a vestire la Princi con pantaloni che ormai evidentemente le stringono rendendola simile a una salsiccia.
 
E vabbè, che ci vuoi fare? Torno a casa e trovo i copridivano già stesi assieme al borsone, diventato verde causa cedimento del colore dei teli: bon, aveva i suoi anni, lo posso anche cambiare sebbene ci fossi affezionata dato che quotidianamente mi parlava della mia ultima stagione da ballerina. Nonostante la stanchezza o forse proprio per fronteggiarla, carico la Princi sul passeggino e andiamo in ludoteca nella speranza che si sfinisca permettendoci poi di cenare con tranquillità, di vedere Criminal Minds e, soprattutto, di dormire. Speranza vana: il momento della frigna comincia giusto quando ci mettiamo a tavola e prosegue anche dopo con Lui che finge di non sentire e di non pensare che, forse, vada cambiata e impigiamata. Ok, ci penso io: chiudo il ferro da stiro appena acceso, me la carico in braccio e la deposito sul fasciatoio. Sorpresa: dal collo si dirama un rossore con bubbone che si estende sul torace e fino alla spalla. In un attimo, dopo averla liberata da un pannolino pesante mezza tonnellata, la prepariamo e la carichiamo in auto: destinazione Pronto soccorso. Mentre lei, appena toccato il seggiolino, raggiunge il mondo dei sogni, a noi sembra di vivere un deja vu che, una volta arrivati a destinazione, ci fa esclamare rivolti a lei: «Ma cavolo, Princi: lo fai apposta? È come quando sei nata: avevo appena finito di stirare e volevamo vedere CSI. Stasera dovevo (più che volevo) stirare, c’era Criminal Minds e invece …niente!». Una sorriso sdentato è la migliore risposta possibile.
Nonostante la mia fantasia fosse già corsa a pensare che avremmo trascorso la notte in ospedale e che avrei dovuto avvisare la mia collega per sostituirmi al lavoro, nella realtà la diagnosi è molto più semplice:  orticaria. Non si sa né il perché né il percome, ma comunque tutto si risolve con 5 gocce di antistaminico, un paio d’ore di gita fuori porta, una Princi appagata dalle tante coccole e sorrisi che le vengono dispensati. A una serata finita tanto rapidamente è seguita una notte interminabile, con un botta e risposta fra i suoi e i nostri risvegli. Alle 3, in particolare, comincio a percepire un odore penetrante… ‘Azz (e tre): Mr. Billy ha colpito ancora e stavolta sulla nostra coperta di pile che viene quindi subito raggomitolata e deposta in bagno. Anche qui si propone un deja vu, che ci riporta ai primi tempi della gravidanza quando l’incontinenza del micio era conseguente alla mia tempesta ormonale: «Sarai mica incinta?» abbozza Lui ridendo. Beh, sarebbe il secondo caso in 2012 anni in cui lo Spirito Santo ci ha messo qualcosa di diverso dallo zampino.

A differenza delle altre mattine il suono della sveglia mi sembra il canto dell’usignolo che viene finalmente a interrompere l’agitato rivoltarsi nel letto. Oddio, ma forse sto ancora dormendo? No: quel campo di battaglia è proprio il nostro soggiorno, disseminato di giochi e giochini, di giornali strappati e pagine volanti che ostruiscono il passaggio al punto tale che per raggiungere il tavolo e fare colazione temo di aver azzoppato Pluto, scomposto le penne di Paperino e rovinato il vestito di Minnie.
 
La giornata non si è aperta nel migliore dei modi: già avevo preventivato di andare dal pediatra e quindi ora, oltre a prepararmi e preparare la Princi, devo pure far fronte a questo disastro ambientale, comprensivo di ciocche di peli e gomitoli di polvere che sembra non pulisca da mesi (e non son trascorse neanche ventiquattro ore dall’ultimo passaggio dello swiffer). Da dove cominciamo? Princi in spalla, vado in bagno per avviare la lavatrice con dentro la famosa coperta di pile. ‘Azz (e quattro): che puzza che viene dalla lettiera dei gatti. Ops, non è la lettiera. Da accovacciata che ero, la testa inserita nell’oblò, mi alzo e vedo ben spalmato fra pavimento e tappeto un abbondante ricordino felino. E no, questo è troppo. Corro in salotto, la Princi sempre in spalla e prendo a calci quello che capita trattenendomi per non imbattermi nei gatti: è così che, alla fine, ho iniziato a far ordine.  Ma, lo ammetto: se avessi avuto con me Snoopy o Alf li avrei aizzati contro questi stupidi gatti! Comunque un risvolto positivo in tutte queste sfighe c’è: ho deciso che, per far fronte a tanto stress, mi regalerò un massaggio dalla mia estetista di fiducia.

domenica 14 ottobre 2012

D come (parte seconda)

 
D come dare la vita: è uno dei tanti modi di dire che accompagnano la nascita, ma è pure una grande verità. Dare la vita non significa solamente agevolare l’allunaggio dello shuttle: significa piuttosto che la tua vita viene presa, impacchettata e imperituramente regalata a quell’affarino. Come detto a proposito della cozza sullo scoglio e della doccia, ogni tuo passo sarà d’ora in poi compiuto a un numero variabile di gambe a seconda che il cucciolo venga spostato a bordo di seggiolone, box, che gattoni o cammini. Ogni tua esigenza verrà messa in secondo piano rispetto alle sue: il suo pannolino da mezzo quintale si cambia prima che tu faccia la pipì che stai trattenendo da due ore per scorrazzarlo, la sua fame viene prima della tua anche se lui ha mangiato due ore fa e tu otto, il suo freddo/caldo viene prima del tuo imminente scioglimento o ibernazione perché, seguendo l’esempio di San Martino, gli hai donato tutti i tuoi vestiti. Per ribadirlo in breve, la tua vita non è più tua ma sua, come tutto: la casa, invasa da fasciatoio, lettino, box, seggiolone, giochini sparsi con un aggiornamento mensile degli accessori che lo devono accompagnare nella crescita; l’auto, ridotta da cinque a due posti perché i restanti servono per ospitare navetta e poi ovetto e poi ancora seggiolino oltre, naturalmente, al vario corredo di giochi per l’intrattenimento nei tragitti più o meno lunghi; il cellulare, dove devi avere ben in vista i numeri di emergenza, del pediatra, della ludoteca, della piscina e di tutti i parenti cui è affidato il pupo; i siti internet preferiti, che ora vedono in testa le pagine dedicate a gravidanze, nascite, complementi d’arredo per cuccioli, ricette per bambini e chi più ne ha più ne metta; lo scaffale con i libri di cucina, dove troneggiano ormai solo ricettari per svezzamento; … E, non ultima, la tua testa: dove risuonano le urla inspiegabili con cui si è svegliato alle due di notte, sconfitte però dalla costante immagine del suo sorriso non appena ti vede.
 
 
D come dica: so di aver già accennato a questo strano fenomeno ma in sede di alfa-Princi è bene ribadirlo. Quando la Princi aveva più o meno due mesi, stremata da un suo continuo, sottile e penetrante lamento (ovviamente: mentre stavo facendo la doccia) non so per quale strano caso e per quale balzana, distorta e forse diseducativa idea ho provato a intonare quella canzoncina. Già, proprio la sigla del programma che Lui, ogni sera, mi costringeva a vedere e di cui sopportavo solo la parte finale: proprio quella in cui “Dica?” veniva ripetuto fino all’ossessione. Non l’avessi mai fatto e, se me l’avessero raccontato, non ci avrei mai creduto: il piagnisteo si è bloccato e al suo posto han cominciato a manifestarsi smorfie divertite. Da allora la sigla de “I soliti idioti” è diventata il nostro asso nella manica per i momenti di crisi, ma non solo: si è trasformata nel mio cavallo di battaglia sottoposto a continue revisioni e aggiornamenti. Ho infatti coniato delle varianti in cui si rispecchia tutta la famiglia: e la Princi le apprezza al pari dell’originale. Interrogandoci dal punto di vista sociologico-evolutivo-pediatrico su questa malsana predilizione siamo pervenuti a una conclusione: la preferenza della Princi per questa musichetta è dovuta al fatto che Lui, nelle due settimane di congedo per paternità seguite all’allunaggio, la cullava in piedi proprio davanti alla tv che trasmetteva “I soliti idioti”.
 
D come De Gregori: fortunatamente a riportare la Princi a gusti musicali più elevati ci ha pensato la mamma che le ha fatto conoscere De Gregori già quando era nel pancione. Anche in questo caso, in realtà, si è trattato di qualcosa di inatteso. Rientrando da Trieste, la Princi (ancora ben chiusa nella sua navicella madre) ha pensato di anticipare l’ora dell’aerobica a cui solitamente si dedicava la sera, dopo cena, appena mi schiaffavo sul divano. Per farmi compagnia e per dar sfogo a un insolito buonumore, ho iniziato a cantare “La donna cannone” seguendo la musica del cd di sottofondo. Stop.
Improvvisamente Jane Fonda ha fermato i suoi piegamenti, d’un tratto Carla Fracci ha ultimato la pirouette in cui si stava impegnando. Allora il volume dello stereo è cresciuto in maniera proporzionale ai repeat che ho ascoltato fino a casa. Anzi, che abbiamo ascoltato: perché è stato in quel momento che mi sono resa definitivamente conto che c’era qualcuno in viaggio con me. E così, il mio piccolo “Raggio di sole” (canzone che, ovviamente, le ho subito dedicato) ha riscoperto poi De Gregori qualche settimana dopo l’allunaggio quando, da sole a casa, ho provato a calmarla facendole riascoltare quella musica. Lei ha capito e ricordato; e anche ora, quando la voglio addormentare, le dedico quelle parole piene di tenerezza: «E con le mani amore, con le mani ti prenderò, e senza dire parole nel mio cuore ti porterò». La stanchezza della Princi la misuro in base alle strofe o al numero di volte in cui devo cantare entrambe le canzoni prima di vederla crollare: non so se a De Gregori farebbe piacere sapere dell’effetto soporifero della sua musica ma, forse, sarebbe felice di avere una fan così piccola. Eppure, penso ogni tanto mentre canto passeggiando nella penombra con lei accasciata sulla spalla modello koala, il merito di tutto questo va ai miei zii: è grazie a loro, infatti, che conosco queste poesie. E, anche io, le ho conosciute da bambina.
 

D come (parte prima)

D come dormire: banale? Forse, ma mai troppo. Chi è mamma da poco lo suggerisce come un mantra: «dormi adesso che puoi, a me lo dicevano di continuo e invece…». E invece prima dell’allunaggio non si dorme mai abbastanza. Sembra quella frase letta tanti anni fa su uno dei cartigli di una famosa marca di cioccolatini e che, ancora bambina, non capivo perché piacesse tanto alla Rossa: «Se gioventù sapesse, se vecchiezza potesse». Ormai quando lo sbarco è avvenuto non c’è più nulla da fare se non recriminare sul sonno perduto. Però… se è vero che contemporaneamente al giro vita aumenta anche il sonno e la latergite invade anche chi, come me, non è mai stata una dormigliona, in realtà il punto è un altro. La questione non è infatti che bisognerebbe fare le scorte di pisolini in previsione di nottate insonni, magari gravate da coliche o improvvisi quanto inspiegabili risvegli urlanti.
Il punto è che, quale che sia il vostro ritmo, quello diventerà il ritmo del cucciolo. Quindi: chi è nottambula - perché abituata a festini protratti fino all’alba o a leggere fino al sorgere del sole – non speri di collassare prima dell’ora in cui era solita farlo prima anche se è talmente stanca da cambiare il pannolino al gatto e riempire il biberon di crocchette. Viceversa chi – come la sottoscritta – ha preso l’abitudine di alzarsi con il sorgere del sole per condividere con Lui almeno il momento della colazione, metta pure da parte il desiderio di poltrire nel letto a fronte di una notte agitata, dovuta forse alla presenza dei propri cromosomi nel DNA del cucciolo, gravato già in fasce da problemi esistenziali che gli/le impediscono di dormire beatamente. A chi rientra in entrambe le categorie un consiglio: deponete il coltello che impugnate ogni qualvolta una mamma vi dice che il suo piccolo dorme dalle nove di sera alle sette di mattina, dopodichè mangia e viene rimesso a nanna «perché mica posso alzarmi a quell’ora». E a chi lancia questi annunci una domanda: ma se anche svegliandomi alle 6 non riesco a uscire di casa prima delle 10.30 per rendere presentabile la Princi, me e la casa, voi come fate?
 

D come doccia: è uno dei tanti lussi che ci si concede dopo l’allunaggio e di fronte al quale, almeno una volta al mese, ti chiedi se sia necessario farla. E’, inoltre, uno dei momenti che meglio rivelano come la tua vita non sia più quella di prima, completamente depauperata di qualsiasi forma di privacy. Cozza sullo scoglio, si diceva in un precedente post. Ogni volta che apri il rubinetto capisci che d’ora in poi non sarai più, più, più sola. Perché anche quando chiudi la porta del bagno e quella del box doccia e spari l’acqua al massimo nella speranza di non sentire il pianto di quell’esserino (anche se lasciato in braccio al papà o alla nonna)…beh, quel pianto comunque lo senti e allora pensi che forse per i prossimi X mesi sarebbe meglio non lavarsi: e certo, a essere Robinson Crusoe potrebbe essere una valida alternativa. Son passati un po’ di mesi quindi non ricordo esattamente come l’abbia pensato ma, trovandomi nella necessità e nell’immenso desiderio di abbrustolirmi sotto la doccia, ho sistemato la Princi nella sua carrozzina e l’ho portata sulla porta del bagno. E lì è rimasta in questo tempo, passando dalla carrozzina alla sdraietta e da quella al seggiolone. Non so come sia successo ma una mattina, dopo i primi giorni in cui ero aiutata dalla nonna2 e della zia cucciolo, ho provato a fare da sola e son stata fortunata: la Princi dormiva, ha dormito per tutto il tempo della doccia e ha continuato anche un po’ dopo. Ma non è stato come prima del suo arrivo: allora come oggi, è come se alla chiusura del box doccia corrispondesse l’avvio di un timer che segna il countdown per un improvviso quanto generalmente immancabile scoppio di bomba (alias pianto). In realtà sono piuttosto fortunata: ho scoperto abbastanza presto che il suono dell’acqua così come quello del phon, dell’aspirapolvere e della cappa del fornello conciliano il sonno della Princi. E quindi, altro che Robinson: fra l’altro la Princi è attratta da tutto quanto avviene nel bagno e sia pertinente alla cura di sé, lavaggio dei denti compreso e, in questo caso, forse è semplicemente perché ha capito che si tratta di un’incombenza da cui è ancora esente.
 
D come depilazione: non che sia rimasta allo stato “giardino dell’Eden” per i nove mesi della gravidanza ma uno dei momenti più attesi in ordine di importanza era proprio, dopo quello del parto, il momento in cui avrei finalmente potuto tornare a stappare il tubo della crema depilatoria. Pare infatti che la crema (ma come tutto ciò che ruota attorno a gravidanza e post parto le opinioni sono molto divergenti e variegate) sia un trattamento nocivo per il pargolo. Credo però che lo sia anche nascere e vedersi davanti una mamma baffuta: se già a due anni vi dirà smarrito di ricordare due facce baffute che gli hanno sorriso appena venuto al mondo sarete sicure di avergli creato un forte choc.
 
D come denti: dalla precocità con cui ha iniziato a imitare un lama, presto sostituito da una lumaca a causa delle scie lasciate sul pavimento di tutta la casa, la Princi ha lasciato intendere a tutti che già dai cinque mesi avrebbe sfoggiato una dentiera tale da far impallidire uno squalo. E invece eccoci a otto mesi e mezzo ancora in attesa di veder biancheggiare le sue rosee gengive. Intendiamoci: da un lato ogni sera vado a letto con il timore di trascorrere tutta la notte in bianco per lo spuntare del primo incisivo (e chissà perché i denti devono arrivare di notte: neanche che i bambini fossero tutti emuli di Dracula…). Dall’altra parte la guardo e penso che sia bellissima così, con quella bocca sdentata che forse si aprirebbe in sorrisi meno ampi se fosse occupata dai dentini. Intanto, però, quasi quotidianamente Lui, io e la mamma-nonna le passiamo un dito sulle gengive per sentire se ci sono novità; all’esito negativo corrisponde la preghierina della Princi (per mia bocca): “Caro Gesù Bambino, fai spuntare questo dentino!”
 

mercoledì 10 ottobre 2012

di impegni, egoismi, pause e rewind

L’alfa-Princi ha subito una notevole battuta d’arresto e molte sarebbero le cose da scrivere relative a quest’ultimo periodo: dalla latitanza del pediatra rispetto allo svezzamento, ai miei (sempre più ampi) buchi di memoria contro i quali è straordinariamente sceso in campo anche il medico di base, alle difficoltà nella gestione bilanciata di Princi-casa-lavoro, agli impegni sempre più fitti della Princi che richiederebbero l’acquisto di un apposito I-Princi-phone. Insomma: un normale periodo di alti (pochi) e bassi (molti) dovuti questi ultimi soprattutto alla ripresa in forze di un mio pessimo rapporto con me e fra me e la tavola.
 

Un modo, certo distorto, di chiedere aiuto dove la distorsione è dovuta all’incapacità di verbalizzare un disagio che in realtà non so a cosa sia dovuto. Per dirla come la dice Lui: «Hai tutto, cosa ti manca?». E qui già un’amplificazione di sensi di colpa perché è vero, ho tutto: ho Lui, una casa, un lavoro, tre cuccioli… (e già: bisogna conteggiare anche i pelosi, pure loro attualmente in crisi perché costretti a non uscire più causa mantenimento di rapporti di discreto vicinato. Pare infatti che Mr. Billy e il Sig. Degas abbiano deciso di cambiare lavoro passando dal magazzino dei termoidraulici al garage della nostra confinante addentrandosi poi in casa sua, evidentemente alla ricerca di una giusta ricompensa per aver risistemato la legna. «Potevano almeno rubarle qualche salsiccia dalla cucina», è stato il commento di Lui).

Ma manca sempre qualcosa, qualcosa di indefinibile e sempre sfuggente, ben delineato da Beckett in “Waiting for Godot” (e ancora ringrazio la prof di Inglese del Liceo per avermelo fatto leggere). E’ quel qualcosa che – tanto per rimanere in tema - ti fa vedere l’erba del vicino sempre più verde facendoti dimenticare che, per gli altri, il vicino potresti essere tu: tu che hai - per l’appunto - un Lui, una casa, un lavoro, tre cuccioli, una vita sociale decente pappe permettendo e, non ultima, una catena familiare di tutto rispetto. Anzi: parafrasando un sms della zia-Cucciolo (l’ultimo di una lunga catena di botta-risposta) di fronte al quale stavo per ritrovarmi naufraga in un lago di lacrime…
«Beh…diciamo che adesso il fatto di essere una famiglia così variegata e allargata ha molti risvolti positivi…tante persone in più che vogliono bene a Lui, te e alla Princi… e pronte a spupazzarsela non solo se la mamma lavora, ma anche se vuole (giustamente) pensare un po’ a se stessa!»
Mmh…è una delle amletiche questioni di questo periodo e che, probabilmente, mi accompagnerà fino alla maggiore età (se non oltre) della Princi: qual è il confine fra le sue esigenze/bisogni/richieste e i miei? Quanto è giusto sacrificarsi? Ed è giusto parlare di sacrificio dato che comunque se lei c’è è perché abbiamo fortementissimamente voluto che ci fosse e dato che ogni suo sorriso cancella l’ora in meno che si è dormito di notte, l’ora in più che si è stati seduti a tavola per imboccarla, il minuto scarso che si dedica a doccia/capelli/depilazione/trucco/parrucco e i 30 frequenti secondi che si impiegano a scendere le scale per procacciarsi la pizza per cena (e qui scatta il ringraziamento a chi, qualche anno fa, ha aperto la pizzeria proprio sotto casa nostra)?
 

Dubbi che farebbero impallidire persino Amleto e che tendono a pendere a favore dell’una o dell’altra posizione a seconda di chi si ha di fronte: la nonna che teme tu stia trascurando e/o malmenando la nipotina perché le hai rivolto un no secco per impedirle di rovesciarsi addosso lo stendibiancheria; la neo-mamma che, come te, ha un sogno nel cassetto: trasformare la sua vita in un lettore cd da mettere in pausa, magari con un piccolo rewind per tornare  a quando nel salotto ci poteva ballare abbracciata al suo lui senza che la colonna sonora fossero le musichette dei giochi che calpesta a ogni mezzo passo, o magari anche solo riandare a quando era una navicella-madre desiderosa di illudersi che le attenzioni di cui era circondata fossero per lei e non solamente per il cucciolo in arrivo…
Ma il rewind dovrebbe essere temporaneo, limitarsi a un momento per tirare il fiato: personalmente non potrei mai fare a meno degli occhioni della Princi, delle sue manine che si tendono verso di me per aiutarla ad alzarsi, delle sue piccole ma lunghissime dita che mi accarezzano le guance, dei suoi sorrisi pieni di pura gioia anziché di denti. E ogni volta che le sto lontana mi manca, sempre di più: forse è per questo che, ogni tanto, prendersi una pausa sarebbe la soluzione migliore e più sana per entrambe.