lunedì 24 novembre 2014

ci vuole coraggio


Anche oggi dovrei approfittare del belvino (il belve-riposino) per fare altre cose. Ma se non scrivo scoppio.

Forse dovrei smettere di illudermi di poter riprendere una vita mia: in queste ultime settimane, è un po’ come se mi sentissi loro ostaggio.
Penso che da lunedì potrei riprendere la palestra; penso che potrei riprendere a collaborare con qualche giornale; penso che potrei/dovrei e mi piacerebbe molto andare alle inaugurazioni delle mostre (escluse ovviamente quelle che presento): e non appena penso queste cose, non necessariamente tutte insieme, succede qualcosa.

Non credo riuscirò a riassumere in un unico post ciò che è successo dal 14 a oggi: probabilmente mi serviranno più puntate perché oltre al resoconto oggettivo, c’è il resoconto emotivo. Che è un casino da dipanare, pieno di tutto e del contrario di tutto.
Intanto iniziamo: poi, ovviamente, molto dipenderà dal tempo che mi concederanno le mie datrici di lavoro.

Venerdì 14 novembre
Doveva essere una giornata di festa per il nono complimese di Briciolina che però ha pensato a un festeggiamento alternativo.
La mattina siamo andate dal pediatra, principalmente per assecondare il mio innato pessimismo: mica può avere solo la febbre, no? Meglio farle controllare le orecchie che non si sa mai, visto che solo un mese prima aveva avuto l’otite. La febbre, alta, l’aveva già da mercoledì sera: la sera, cioè, dal giorno in cui Briciolina mi aveva accompagnata a saccheggiare la biblioteca e già in quell’occasione mi era parsa strana perché insolitamente ameba durante tutto il tragitto in passeggino. A conferma della mia ipotesi, la sostituta del belve-pediatra ufficiale ha notato un principio di otite ma mi ha consigliato di attendere a darle l’antibiotico: attendere che peggiorasse, senza sapermi specificare in cosa consistesse un peggioramento.
Durante il pranzo e il primo pomeriggio, Briciolina era sempre più mogia finchè, verso le 16.30, ci siamo piazzate tutte e quattro sul divano (belve, io e mamma-nonna) per vedere Cenerentola. Ecco: io sono sicura che cambiare le mie abitudini porti male, così come divertirmi: perché ogni volta che lo faccio, succede qualcosa. E infatti, era la prima volta da quando la Princi ha iniziato a vedere i cartoni in dvd, che mi sedevo al suo fianco per vedermene uno dall’inizio alla fine. Ma arrivate solo alla scena degli uccellini che aiutano Cenerentola a vestirsi, Briciolina comincia a emettere strano suoni. Mi alzo con lei in braccio, decisa a darle l’antibiotico. Non trovo la siringa che dovrei usare per darglielo. I suoni si moltiplicano, chiamo la mamma-nonna, comincio ad andare nel panico e lei con me.

Briciolina per qualche momento non c’è più.
Ridotta a un bambolotto, sussulta, continua con quegli strani suoni ha degli scatti a ognuno dei quali mi va in frantumi un pezzo di cuore. Non riesco a usare il cellulare per chiamare il pediatra, per chiamare Lui. La mamma-nonna telefona allo zio per dirgli di venire subito e lui, per fortuna, ha la lucidità di dirle di chiamare il 118. L’unica cosa che sono riuscita a mettere a fuoco in quei momenti era infatti che non avrei potuto portarla a Gorizia perché hanno eliminato la pediatria; e, altrettanto chiaramente, ho realizzato che se mi fossi messa in auto per portarla a Ialmicco ci saremmo ritrovate a Reggio Calabria dato che già in momenti normali, ogni volta che ci vado, mi perdo per strada.
Mi chiedono cosa fa la bambina, mi dicono di spogliarla e cercare di raffreddarla. Appena la porto sul fasciatoio inizia a urlare e continua per le prossime due ore, ininterrottamente: il medico del 118, nonostante gli avessi raccontato dell’otite, ipotizza abbia mal di gola. Dopo due ore di strilli era effettivamente verisimile.
Metto le scarpe, esco così, con i vestiti da casa forse sporchi, la preoccupazione per Briciolina e la paura di cosa possa aver capito la Princi: che continua a vedere Cenerentola ma piange quando la saluto spiegandole che la sua sorellina sta male.
Il viaggio in ambulanza dura un’eternità: la preoccupazione, ma pure il traffico di fine giornata lo rendono indescrivibilmente lungo. La strada è un colabrodo, piena di buche e piccoli risentimenti che fanno sussultare Briciolina risvegliandola dai microsonni in cui precipita.
Poi ho capito.
Ho capito che in quel cicciobello che sussultava ho rivisto la zia, incosciente fra le braccia della nonna nell’unica (fortunatamente) crisi a cui ho assistito. nelle mie urla insistenti per richiamarla, per svegliarla, c'erano le sue esortazioni, rassicurazioni e premure verso di lei. Ho rivisto una situazione in cui si sono trovati degli amici. E in quell’ambulanza in cui sono entrata stringendo un fagottino con il solo body avvolto in una coperta, gli occhi di tutti i passanti puntati addosso, ho visto le volte in cui su quell’ambulanza sono entrata io.

Recentemente è stato più volte postato su facebook un articolo che inizia dicendo che per essere mamme bisogna avere degli stomaci forti. Non per l’odore dei pannolini che accartocci dopo aver spalato montagne di cacchina santa; non per ripulirti della minestrina che ti viene sputata addosso; non per fingere di non vedere i rigurgiti e le sbavature che ti rigano la maglia nuova di boutique. E neanche per gli insulti che prendi dai due anni in su ogni volta che dici un no: perché quelli, almeno nel mio caso, vengono fortunatamente ricompensati dalle due-tre volte al giorno in cui la Princi mi si avvicina sussurrando «mamma, ti voglio tanto bene».
Ci vuole stomaco d’acciaio per fronteggiare i loro malesseri: dalla febbre e/o le urla che seguono il primo vaccino, ai nasi con moccoloni che sgorgano a ogni stranuto, ai graffi per le prime cadute, alle malattie più serie. Ho pensato tanto alla nonna: al cuore grande che deve aver avuto per sopportare il dolore di vedere sua figlia entrare e uscire dall’ospedale, mille volte senza capelli, con il capo segnato da cicatrici che sembravano autostrade. E le crisi, vederla consumarsi, non poter più camminare, vedere. L’ho pensata e mi sono sentita così inadeguata rispetto a lei per essermi lasciata abbattere così da una semplice convulsione: semplice, perché questa settimana (mi ha spiegato la pediatra dell’ospedale) ne abbiamo visti quattro di casi simili; semplice, perché è molto comune nei bambini fino ai 5 anni. Semplice, già: ma per un genitore insostenibile da vedere.

Da quando sono nate le belve, sane, perfette, ho sempre temuto che potesse e possa succedere qualcosa che intacchi la loro salute e perfezione. Non si può vivere nella paura o pensandoci continuamente, dice Lui; ma per me non è così, perché temo che appena abbasso la guardia, la sorpresa – brutta, ovviamente – è dietro l’angolo.

giovedì 13 novembre 2014

avventura sentimentale

Sfidando la pioggia, ieri mattina sono andata a Udine con Briciolina.
Missione: saccheggiare la biblioteca di buona parte dei libri che mi possono aiutare in un mio prossimo ingaggio lavorativo.
Come già successo in una missione analoga, con medesima destinazione, affrontata assieme alla Princi circa un anno e mezzo fa, è stata una piccola avventura e un viaggio sentimentale.
Avventura perché ho dovuto comprimere il da farsi in poco meno di due ore, quelle comprese tra il deposito della Princi a scuola e mezzogiorno, ora in cui il Big Ben sistemato nello stomaco di Briciolina inizia a suonare, indipendentemente da quando abbia fatto merenda.

In parte avevo predisposto tutto dalla sera precedente: messo in borsa il quaderno con i riferimenti bibliografici, tirato fuori le giacche pulite per le belve, pensato a come vestirle. Perchè quando si hanno bambini, ogni minimo spostamento si trasforma in un trasloco con un bagaglio variamente ingombrante e buono per le quattro stagioni. E così poi ieri mattina, visto che non stava diluviando, appena ho mollato la Princi ho imbarcato Briciolina e siamo partite.

Avrei voluto fare altre tappe in città: ma oltre mezz’ora è andata per trovare un parcheggio adatto alle dimensioni della Bestia: la volta precedente, infatti, avevo ancora l’auto media taglia. Altra mezz’ora è andata per raggiungere il centro dal parcheggio oltre che per scaricare passeggino, insaccarci Briciolina e metterla sottovuoto visto che stava gocciando: ed è stata praticamente la prima volta in cui ho usato la plastica protettiva dato che la Princi non ha mai voluto emulare un wurstel e quindi, se pioveva, o si stava a casa o la si portava per brevi tragitti in braccio. A dire, l’utilità di avere almeno due bimbi: ciò che non abbiamo usato con la prima o che lei ha bellamente sdegnato (anche a livello di giocattoli) sembra far impazzire la seconda, costringendo la Princi a riconsiderare tardivamente le proprie posizioni, tanto da indurla a provare l’ebbrezza del box, con buona pace di Briciolina che ci starebbe volentieri se non venisse travolta dalle gambe a fenicottero della sorella.

Arrivate in centro, pausa merenda: dribblando gli avventori in piedi al banco, ci siamo addentrate per accompagnare il suo yogurt a un ottimo marocchino. Poi, la meta. Eccoci nella biblioteca bambini, uno spazio bellissimo la cui funzionalità – come peraltro nella sezione moderna – si è bloccata al limite della mia condizione di mamma con bimba in braccio. Capisco che tutti i libri di cui avevo bisogno fossero a scaffale aperto e ne avevo già la collocazione: ma darmi una mano a cercarli e tirarli fuori, visto che da una parte dovevo tenere nove chili di canguro saltellante che allungava spaventosamente le manine verso tutto ciò che guardavo e lei intercettava?



Vabbè, ce l’ho fatta: orgogliosa soprattutto per aver portato Briciolina in un luogo tanto speciale. Anche se penso di aver creato due mostri. Al ritorno, infatti, per convincere la Princi a desistere dal correre nell’aiuola di fronte alla scuola visto che pioveva, le ho detto di avere a casa due sorprese per lei: e se una era il suo primo invito a una festa di compleanno (e, dalla felicità, ci stava andando a fare il pisolino insieme), il secondo erano appunto i libri. Libri che ho preso per me, ma che devo testare su di lei per preparare i due incontri sull’arte destinati ai bambini della scuola primaria, commissionatemi nell’ambito di un festival letterario a inizio dicembre. E così ci siamo piazzate sul divano e abbiamo iniziato a leggere la biografia a fumetti di Leonardo, poi – dopo il riposino – abbiamo ripreso da Raffaello. E stamattina, dato che le ho detto che non avremmo potuto leggere perché dovevamo prepararci per la scuola, si è appollaiata da sola sullo sgabello della cucina per riprendere la lettura di Leonardo. Ora devo solo attendere il suo risveglio per appuntarmi eventuali acuti commenti sugli altri autori e libri.
Ah, no: oggi si torna in biblioteca, ma per ritirare il dvd di Cenerentola. Ok: il mostro forse l’ho creato ma sotto le spoglie di una principessa.

mercoledì 12 novembre 2014

le buone scuse per essere mamma

Continuiamo sulla scia di “essere mamma perché…”.
Ci sono molti vantaggi, a dire il vero, perché essere mamma ti dà ottime giustificazioni per una serie di eventi.
Hai un bimbo, nella fattispecie due, quindi puoi:

1.     uscire con i capelli sparati nelle direzioni più impensabili: potrai dire, o tutti crederanno, che la colpa sia delle innumerevoli volte in cui ti sei alzata e ricoricata per sedare i pianti delle belve. In realtà ti sei rigirata nel lettone pensando a come riuscire in due ore a concentrare spesa, pulizie, ricerca di un regalo, lavorare al computer, dar la merenda alla piccola, e chi più ne ha più ne metta; oppure hai pensato a come uscire viva da un fine settimana di inviti a cene/pranzi; oppure hai provato tutte le combinazioni possibili per incastrare un puzzle di scuola materna/sistemazione della mini/palestra/rientro con pranzo della mini/recupero della maxi;
2.    uscire con una riga di fondotinta sulla guancia stile Ultimo dei mohicani (realmente successo): puoi dar la colpa al fatto che la grande ha aggiunto un suo tocco di creatività al tuo viso, mentre la verità è che ogni mattina ti trucchi a rischio strabismo perché con un occhio guardi la piccola affinchè non tenti un volo d’angelo dal fasciatoio, con l’altro controlli i nascondigli di tutta la casa in cui la grande sta disseminando creme, assorbenti e saponi e ogni tanto provi a buttare verso lo specchio il terzo occhio, che ti è spuntato da quando sei diventata mamma; verità bis: la luce del bagno non è ottimale per truccarsi;
3.    uscire con la maglia e/o i pantaloni e/o la giacca macchiati (nella migliore delle ipotesi si tratta di un all inclusive di tutti questi capi): realmente successo pure questo,  appena due giorni fa, ma nella mia sincerità ho svelato il motivo reale. Che, da due mesi a questa parte, è il raffreddore che rimbalza dalla mini alla maxi e ritorno; mentre da quando è arrivata mini, la causa ulteriore è la sua tendenza allo sbavamento continuo, fonte di scie da lumaca sugli abiti di tutti: credo dovrei rifondere la Mamma-nonna con un bonus in lavanderia dato che, appena nata, Briciolina in una settimana le ha svuotato l’armadio facendole riempire il cestello della lavatrice e costringendola a una pausa dal baby sitting perché rimasta a secco di cambi. Poi però i veri motivi possono essere diversi: non hai smacchiato a dovere la maglia, hai rubato la merendina della piccola e nella fretta di mangiarla ti sei sbrodolata, hai partecipato a un happy hour dai risvolti disastrosi (opzione altamente improbabile nel mio caso);

4.    uscire con scarpe nere, borsa blu, giubbotto marrone: Arlecchino ti farebbe un baffo e la colpa potrebbe essere della mancanza di tempo. Importante è – e lo dici anche agli altri – che le piccole siano vestite come bon bon, in perfetta tinta. In verità è un’ottima scusa se – ed è questo  il mio caso – non hai mai imparato ad abbinare i capi del tuo armadio perché quan’era il tempo in cui potevi impararlo ti sei disinteressata del tutto alla cosa e ora avresti bisogno di visite continue a Giovanni Ciacci per un total new look;
5.    non leggere: perché con le bimbe, la casa e Lui – alias il bimbo – proprio non riesci ad aprire uno di quei libri tanti accattivanti che, se hai un attimo di silenzio e li fissi, sembra reclamino le tue attenzioni. In verità, se anche le belve non ci fossero, leggeresti poco perché troveresti tante cose da fare fuori casa. Ma è un’ottima scusa;
6.    non scrivere: idem come sopra. Ma in questo caso non troveresti l’occasione di scrivere per non dover affrontare emozioni, pensieri, paure;

7.    non stirare: perché quando tiri fuori l’asse da stiro le belve si svegliano, perché quando sei lì che stiri una ti striscia fra i piedi e l’altra ti ruba lo straccio. Vero, verissimo: ma a questo aggiungiamo che non è la mia passione e che certe cose si possono riporre negli armadi anche senza una passata di ferro. Con buona pace della Nonna-bisnonna che ora mi vede dall’alto e senz’altro mi fulmina con gli occhi. 

martedì 4 novembre 2014

le ragioni per essere mamma

Stamattina, reduce da una nottata in semi bianco, ho dovuto confrontarmi con un ciclone: il ciclone Princi. A cui si è aggiunto, tanto per non farsi mancare nulla, il tornado Briciolina.
E allora penso.
Penso se valgo come mamma anche quando tiro un urlo più del dovuto. Penso come arginare e prevenire queste crisi per le quali vorrei interpellare un esperto del Pentagono. Penso che mi manca qualcosa: mi manco io. Io con i  libri che vorrei leggere, le mostre da visitare, i viaggi da fare, i film da vedere al cinema, gli spettacoli da godere a teatro, la palestra, gli aperitivi con gli amici, il tempo di buttare una montagna di vestiti sul letto per decidere quale mettere. E allora penso ancora: che forse se mi dedicassi a queste cose magari sarei più serena e passerei meglio il tempo con le belve. Poi mi guardo attorno e penso infine: già, ma chi vogliamo prendere in giro? Chi ci pensa a lavatrici, pappe e cene da preparare, vestiti da ripiegare, lavastoviglie da caricare? Così adesso, che finalmente (ma chissà per quanto) le belve dormono, invece di:
a.      Stirare;
b. Smacchiare magliette e/o bavaglini e/o asciugamani intrisi di cibo di dubbia identificazione;
c.      Leggere l’ultimo libro di Flavio Caroli;
d.   Leggere il numero di settembre di Art Dossier che giace appunto da due mesi, ancora intonso, sul comodino;
e.      Spazzare;
f.      Fare il cambio stagione nell’armadio (il mio, ovviamente);
g.     Cucire i pantaloni principeschi che stamattina, scarpe già ai piedi, ho visto scuciti

Invece di tutto questo e altro che ora non mi viene in mente, scrivo.
Scrivo le ragioni per essere mamma.
Perché è inevitabile: quando sei sul punto di chiamare a raccolta l’Uomo Ragno, Hulk, Mrs. Doubtfire, Mary Poppins e magari Rossi e Hotchner di Criminal Minds per entrare nella mente delle belve e capire come uscire viva dal panico del momento, pensi ai motivi buoni per cui ti ritrovi a fare la doccia insieme alla Barbie e non a Lui, con una bimba che gattonando ha rovesciato il bidoncino dell’immondizia pieno di pannolini sporchi e l’altra che sta apparecchiando il suo scalino per raggiungere il water con tutti i contenitori e le padelle che è riuscita a rubare dalla cucina.
Quindi vediamo. Essere mamma vale la pena per:
perché una mattina su sette la Princi ti da’ il buongiorno buttandoti le braccia al collo o confessandoti che «È bello C. P!» (il suo compagno di scuola) anziché piangere strillando alle 5.45 perché vuole il latte;
perché quando, in meno di un’ora e mezza, riesci a: preparare la colazione per tutti, sparecchiare, far lavare i denti alla Princi, lavarle il viso, dare il biberon e cambiare Briciolina, farti doccia e capelli, vestirvi e uscire di casa ognuna con il suo giubbotto e non a giacche invertite pensi di essere un dio;
perché una mattina a settimana la Princi ti chiede se si va a scuola aspettando ansiosa una risposta affermativa: e quando la vedi dare la mano alla maestra o alla sua amichetta salutandoti tranquilla, pensi di aver fatto un buon lavoro, perché sa che ci sei e che le vuoi un’infinità di bene;
perché quando torni a casa e rifai il letto facendo cucù a Briciolina, lei ride con gli occhi, poi con il sorriso e ti si spalanca il cuore. Se poi comincia con le sue cantilene, è la fine: ti sciogli sul momento;
perché quando dormono entrambe, apprezzi di più il silenzio surreale che cala sulla casa anche se non sai di quanta autonomia si tratta;
perché ti senti responsabile di ogni complimento per la bellezza dei loro occhi o per come si comportano, anche quando urlano «Mamma devo fare la cacca» nel mezzo del bar;
perché fino al momento di andare a scuola tutte le cose che fanno e dicono sono quelle che tu hai loro insegnato: e allora se conoscono Chagall, sanno esibirsi in un arabesque o confondono il titolo “Gnam gnam style” con whats ap vuol dire che ascoltano ciò che dici;
perché alla fine di un capriccio, la Princi mette il suo musetto vicino al tuo per dirti «Mamma, ti voglio tanto bene» stringendoti in un gigantesco abbraccio;
perché ci sono dei momenti in cui già si assapora l’intimità e una sorta di complicità fra donne(che durerà ancora per un anno?!);

perché la casa può essere un bordello di disordine ed essere al limite della denuncia alle autorità sanitarie per i nugoli di polvere che si rincorrono fra le stanze, ma sei giustificato: hai dei bambini;
perché puoi vestirti come i Puffi, sempre uguale per gli ultimi mesi della gravidanza e i primi del post parto perché non hai null’altro che ti stia addosso senza sembrare una salsiccia;
perché quando ti svegli la terza volta in una notte, per la settima volta a settimana, perché la tua piccola sta male, mentre cammini su e giù per il corridoio la senti solo, esclusivamente, tutta tua e senti le sue manine sulle tue spalle, abbandonate per dirti che sei l’unica cosa di cui ha bisogno.

Poi la mattina ti svegli: e se hai tempo di farlo, vedi il riflesso del tuo visto grigiastro nello specchio, con due mezzelune viola sotto gli occhi e i capelli sparati che non ti serve neppure il gel per rialzarli. E sei di nuovo lì, nuda in mezzo al bagno, a chiederti perché una strilla e l’altra punta i piedi per entrare nella doccia.