giovedì 31 dicembre 2020

Buon anno andato, buon anno che viene

Il regalo che ci siamo fatti:
un set fotografico per noi
ph. c. Ilaria Tassini



E così siamo al resoconto di questo anno.

Fino allo scorso gennaio, gli anni pari erano quelli che preferivo, non so perché. Forse dipende dal fatto che - a parte Lui, una delle mie sorelle e mia zia - tutti i componenti della mia famiglia sono nati in anni pari. Poi sono arrivate le mascherine, i guanti, la quarantena. Ma insieme a loro, per me, sono arrivate tante cose belle.

Come tante SuperMamme, presa dal lavoro non riuscivo più a stare con le bimbe: e quando, durante il lockdown ci sono stati i compiti e il contatto h 24 , mi sono resa conto del “buco” che avevo con le bimbe. Ho iniziato a riassaporare il tempo con loro, e non è stata una passeggiata. Pure la decisione di licenziarmi, su cui stavo meditando da mesi, ha avuto un impatto altalenante visto che ormai c’era l’abitudine di andare dalla nonna quando nel week end lavoravo e ora ero (sono ancora) una presenza ingombrante se ci vado pure io. E poi la mamma dice tanti no, quindi sai che palle.

Il caos del 25 ...ma non solo

La mamma si è anche resa conto di quale disordine regni sempre in casa e di quanto poco incisivi siano i miei continui: «Metti nella cesta dei panni ciò che ti togli, piega il pigiama, metti a posto le scarpe, quando hai finito di giocare riordina prima di prendere un’altra scatola». Penso a me, bambina, e credo davvero di essere stata repressa visto che la compulsione all’ordine mi è stata inculcata sin dai primi anni e credo sia uno dei grandi misteri della mia vita, così come il fatto di aver saputo leggere e scrivere prima di iniziare la scuola, visto che non ricordo molti momenti in cui qualcuno si sedeva accanto a me per insegnarmi delle cose. Al contrario di loro: è un continuo chiedere e rispondere, spiegare, parlare, a volte credo pure troppo.

Recentemente mi ha molto colpita il fatto che una delle maestre della Princi abbia più volte sottolineato quanto sia ottimista. Io? Ottimista? Poi ieri ci riflettevo: in effetti anche adesso fra divieti e solitudini, sto cercando di sottolineare alle bimbe sempre e solo le cose che si possono fare. E di situazioni positive, grazie al covid, ce ne sono state tante. Ho visto le bimbe unirsi e diventare una squadra: merito del loro farsi compagnia, litigare, inventare giochi, complice anche il beltempo primaverile, il fatto che abbiamo il giardino e il saltarello, la quarantena è stata meno pesante. Ci siamo riappropriate della cucina, abbiamo sperimentato nuove ricette, ho finalmente imparato a fare una buona pizza e siamo riusciti a far assaggiare alle bimbe qualcosa di alternativo (e non sto parlando di cucina esotica o fusion ma di semplice platessa, per esempio). Ci siamo inventati occasioni per fare festa, apericene domestiche, inaugurato la serata pizza e la serata schifezze.

Abbiamo triplicato gli spazi di casa trasformandola in una palestra per adulti con area bimbi, in ufficio, in aula scolastica, laboratorio di costruzioni con la monnezza, cioè tutti quei cartoni che se non elimino immediatamente dalla vista si trasformano in case, auto e affini. 
Non so se davvero siamo riuscite a tranquillizzarle, così come non so quali realmente siano i loro pensieri a proposito della SM. Ecco: nei miei ricordi non so se il 2020 sarà in primis l’anno del covid o quello della comparsa effettiva della malattia.
La routine di...salute quotidiana
Dieci giorni fa ho commesso un terribile errore, frutto della troppa fiducia nelle mie capacità rassicuranti. Siamo andate a trovare una vecchia amica a cui ho raccontato tutta la mia vicenda, le bimbe presenti: è stata una chiacchierata tranquilla, senza scene di disperazione, pianto o condanna del destino. Pensavo che il fatto di aver spiegato loro tutta la situazione fosse sufficiente a farla rientrare nella normalità.
E invece, la sera, infilate nel letto, hanno iniziato a piangere disperate. «Avremmo voluto farti cambiare discorso, noi abbiamo paura che ci lasci, non vogliamo perderti». Sono riuscita a non piangere a mia volta, a mantenermi tranquilla e, forse sbagliando, ho raccontato loro la mia storia di bambina e le mie difficoltà, adesso, nel gestire le loro emozioni legate alla SM: non voglio che la vivano con angoscia, ma nemmeno che si debba stare attenti a non parlarne. La SM deve essere la normalità, rientrare in una vita in cui c’è senza esserci: proprio come sta facendo con me, manifestandosi in punta di piedi. Quando penso alle paure che ho rispetto alla malattia sono solo per le bambine: che mi vedano peggiorare, che la vivano con angoscia, che respirino sofferenza. Ho raccontato di quando, ragazzina, ho visto stendersi attorno a casa nostra una tenda grigia, la nonna non faceva che parlare di disgrazia e alla cena per la mia cresima il nonno non smetteva di parlare della malattia della zia.

La nostra Vigilia
Non so se abbia fatto bene a parlare con loro come fossero bimbe grandi. Quello che so e sento è che hanno paura, soprattutto la Pulci: continua a dire che vuole stare con me, che non vuole lasciarmi, che mi ama tanto… e ammetto che è comunque bello sentire questo affetto. Così come ammetto di essere felice per come stanno passando queste feste: finalmente con le persone a cui tengo davvero, finalmente senza vincoli, con la Princi che ha fatto razzia di cose nostre in giro per casa per poi impacchettarle e regalarcele, con la Messa di mezzanotte spostata alle cinque e mezza e in cui ho sentito un clima di festa nonostante stessi per svenire dietro la mascherina perché cantavo. L’unica cosa che mi è mancata è stato il pellegrinaggio a vedere i presepi, magari andare al cinema, lo shopping quando e come si vuole. Però niente ansia da cosa facciamo a Capodanno, chi invitiamo, chi andiamo a trovare. Noi cinque, con giornate da costruire quotidianamente; i gatti, il divano, i film natalizi, ieri sera “Hachiko” con noi tre donne avvolte nella coperta in una valle di lacrime: non so se facesse più piangere o ridere questa scena.

Il più be regalo che ho ricevuto

Stamattina ginnastica, compiti, pulizie: una normale mattina per un giorno normale. Perché, nonostante in molti se lo stiano augurando, domani che saremo nel 2021 non cambierà nulla rispetto a oggi. Però è vero: tutti continuiamo, sempre, a credere che domani, in un altro luogo, quando saremo grandi, quando saremo magri, quando ci andrà via quel brufolo, tutto sarà migliore.

Buon anno. Con tanti Calzettoni.



domenica 27 dicembre 2020

SuperMamma o anche no

 


Sono in incredibile ritardo con tutti i pensieri che avrei voluto mettere per iscritto e che adesso, indubbiamente, andranno persi. Avrei voluto registrare quasi in diretta questo Natale; ma prima ancora avrei voluto fissare i pensieri, le emozioni e le reazioni che ha suscitato in me e negli altri larticolo pubblicato su “Il Piccolo” esattamente 11 giorni fa.

Una sorta di coming out nato dall’articolo che io stessa ho scritto per il mensile “Gorizia News & views” con cui collaboro e in cui ho unito generalità sulla sclerosi con le attività della sezione locale di Aism fino ad arrivare all’autocitazione della mia storia e di mammaconicalzettoni. Qualcuno non sapeva e ha così scoperto, lasciandomi pensieri nel privato di un messaggio su whatsapp. E, all’autore dell’articolo successivo, deve aver risvegliato i ricordi di una vita di conoscenza e stima fra la sua e la mia famiglia: una vicinanza nata quando il nonno ha avviato la fabbrica, dove suo padre ha lavorato, e arrivata fino a quella strana vacanza al mare in Toscana in cui ci ha visti alle prese con le difficoltà di mia zia nelle ultime fasi della malattia. Poi, voglio crederlo, l’idea dell’articolo penso sia nata anche da una sorta di stima nei miei confronti.

Mi ha colpito il fatto che la prima persona a segnalarmi la pubblicazione sia stato un assessore comunale. Ho colto l’occasione al volo per chiedere un aiuto, un coinvolgimento dell’istituzione nelle attività di Aism. Quando ho accettato di raccontare la mia storia l’ho fatto forse perché lusingata da questa attenzione, senza chiedermi quali ne sarebbero state le conseguenze per me e gli altri, senza pormi un obiettivo. Non mi sono chiesta, e di questo mi sono resa conto solo pochi giorni fa, con un discreto senso di colpa, cosa potesse significare per le bimbe.

L’obiettivo si è poi delineato man mano che amici, semplici conoscenti, molti sconosciuti mi hanno scritto su facebook, instagram, messenger dopo aver letto la storia.

Nonostante ritenga di essere un bluff, posso fare qualcosa per rendermi utile.

Il punto, infatti, è che tanto clamore ha iniziato a sembrarmi eccessivo e certe dichiarazioni, che pure mi hanno fatto piacere, mi sono sembrate fuori luogo. «Sei un esempio, sei una donna coraggiosa»: bello sentirselo dire e leggerlo ma...mi sono sentita e continuo a sentirmi “falsa”.

Perché la malattia c’è ma non si vede. E certo, meglio che sia così per me, per la mamma, per le bimbe e per Lui. Ma mentre leggevo quei commenti riferiti a me, che nel frattempo ero andata in auto, da sola, a Udine, che sono andata in centro a ritirare le stelle di Natale e poi a far la spesa al centro commerciale; mentre li scoprivo nel mio profilo, ho trovato la testimonianza di una donna, mamma di due bambini, che ha scoperto di avere la leucemia mentre aspettava il terzo e il suo post parto è stato uno slalom fra la chemio, le nausee e gli ormoni impazziti. E allo stesso tempo, mentre leggevo quei commenti alla mia storia, sulle pagine Aism sfilavano foto di mamme in carrozzina. Facile essere un modello, essere coraggiosa quando ci si muove da soli, si imposta la giornata sulla lezione di ginnastica, le pulizie di casa e i compiti delle bambine con il solo impegno di ricordarsi una pasticca mattina e sera. Ma quelle che in tutto questo devono incastrare le flebo per la terapia?

Sono una SuperMamma? Sì, ma come lo sono tutte.

Sono SuperMamme quelle che preparano il latte ai propri figli urlanti, con gli occhi ancora chiusi perché avrebbero bisogno prima di tutto di un caffè, ma anche quelle che non possono preparaglielo perché all’alba sono già uscite per entrare in fabbrica.

Sono SuperMamme quelle che si destreggiano fra i capricci alimentari dei bambini cercando di impiattare cibi sani senza scontentare completamente la loro voglia di schifezze e quelle che scongelano i sofficini all’ultimo minuto.

Sono SuperMamme quelle che in una mattinata riassettano la casa, preparano il pranzo, fanno la spesa e quelle che a malapena riescono a farsi la doccia perché devono prendersi cura dei loro bimbi.

Sono SuperMamme quelle che sanno quali compiti devono svolgere i cuccioli prima ancora che siano usciti da scuola e quelle che, a sera, chiedono da una stanza all’altra se hanno preparato lo zaino per il giorno successivo.

Sono SuperMamme quelle che tornando dal lavoro entrano direttamente in cucina perché «Quando si mangia che ho fame?», quelle che entrano dalla porta sfilandosi le scarpe e la giornata di lavoro, quelle che lasciano il malumore fuori dalla porta per farsi travolgere dai «Ci sei mancata».

Sono SuperMamme quelle che hanno figli di una bellezza da copertina, preoccupate che siano sempre puliti ed educati e sono ancor più SuperMamme quelle che li vedono combattere con i limiti imposti da una malattia che potrebbe migliorare o lentamente portarli via: ma loro continuano a sorridergli.

Sono SuperMamme quelle che hanno un compagno amorevole al loro fianco e quelle che si rannicchiano in un angolo perché chi gli sta vicino non sa cosa sia l’amore, quelle che possono scegliere a quale nonno/zia/cugina lasciare il cucciolo e quelle che lottano con l’orologio per arrivare in tempo al nido.

Sono SuperMamme quelle che, riordinata la cucina, vorrebbero spalmarsi sul divano ma non vogliono rinunciare alle storie della buonanotte.

Tutte le mamme sono SuperMamme: l’ho scoperto in questi nove anni costellati di corsi preparto, ludoteca, parco giochi, scuola materna, primaria, scarpe per bambini, giocattoli, cartoni animati…

Tutte le mamme sono SuperMamme: quelle che vanno in palestra e quelle che ci rinunciano, quelle che vanno dal parrucchiere e quelle che si tagliano i capelli da sole, quelle che seguono il proprio istinto e quelle che seguono le “istruzioni” di pediatri e pedagoghi.

Insomma: mi sono sentita un grande bluff perché la malattia c’è ma non si vede. E mentre lo pensavo ho realizzato che il problema di AM (Alluce Muto) è che in realtà lui si fa sentire: perché quando si sta bene, non ci si ricorda che per camminare si sta mettendo un piede dietro l’altro. Invece, a ogni passo, Lui fa percepire la propria stranezza.

E mentre pensavo che non sono affatto una SuperMamma, coraggiosa, forte, quasi eroica, ho realizzato che lo siamo tutte: solo, in misura diversa.

Ecco: le cose che volevo dire, seppure in modo caotico, ci sono quasi tutte. E’ il problema di essere una SuperMamma che lascia indietro ciò che le piacerebbe fare perché fagocitata dal dover fare.

venerdì 4 dicembre 2020

Colloqui

 


Questa è stata una settimana di colloqui.

E, per inciso, pure la settimana in cui sono arrivata al tetto massimo della terapia.

Ma pure la settimana in cui, per tre giorni consecutivi, ho riassaporato il brivido del mal di testa: pulsante, incessante notte e giorno, tenace pure con le pastiglie che solitamente mi davano sollievo. Così, ho smesso di benedirlo per il fatto che dai controlli per capirne le cause si è scoperta la SM e ho ripreso con gli accidenti a suo carico.

I primi colloqui sono stati con le maestre.

C'era una volta la N di nave
ora è la volta di N di NUTRIA (?!?)

Rigorosamente on line. Con gli scorci di aule deserte, di librerie affollate, di mensole rivestite di soprammobili e portafoto, di rasserenanti fondali caraibici talmente belli da sembrare veri. Per la prima volta in quattro anni di scuola più tre di asilo, ha potuto partecipare anche Lui: imbarazzato, più per le soddisfazioni avute che per la stranezza di questa esperienza di lontananza comunicativa. Ma anche di vicinanza: ho molto apprezzato l'interesse delle maestre per sapere come la Princi sta vivendo questo momento. Appena ieri mattina ho invece realizzato che le maestre della Pulci non ne sanno nulla, perchè neppure abbiamo avuto modo di conoscerci e ai colloqui non ho creduto di doverlo dire, ma forse sarebbe stato il caso di rimediare: e così, dopo qualche giro di messaggi, la maestra mi ha chiamato e, tanto per tirarmi su di morale, mi ha detto che la vede spesso triste. Un po' è il suo carattere, quello di essere nebbiosa fuori casa, un po' chissà.

E qui subentrano i secondi colloqui, quelli con la psicologa. Curiosamente, non stiamo parlando di come mi senta io ma di come posso aiutare chi mi circonda ad affrontare questa situazione: nello specifico, le bimbe e la mamma-nonna.

In questi giorni mi sono spesso interrogata su come vorrei che vivessero e, una volta cresciute, ricordassero questo periodo. La coincidenza con le limitazioni per il Covid porta spesso la Princi a confendere i due disagi e, certo, il secondo accentua le difficoltà nell'accettare il primo. Se si potesse uscire senza condizionamenti, fare passeggiate, andare al cinema sarebbe indubbiamente meno pesante.

L'inizio del primo romanzo della Pulci

Mi illudo che abbiano metabolizzato la SM, che mi vedano davvero come una SuperMamma attiva nonostante tutto. Poi, però, arrivano delle piccole bombe, come l'altra sera. Sono andata dalla mamma-nonna, mi sono fermata a parlare un po' con lei e, chiusa la porta alle spalle, la Pulci con faccino triste: «Ero preoccupata che ti era successo qualcosa». E, tanto per dirla tutta: «Io ho paura di quello che ti succede. Perchè penso che stai male». Sono sempre di più, poi, le volte in cui mi abbraccia e sussurra: «Voglio stare sempre con te. Non voglio lasciarti mai». Mentre la Princi, quasi una volta al giorno, mi chiede come sto e, quando le rispondo « bene», con fare inquisitorio incalza: «Sicura??». Ognuna di queste frasi è una coltellata.

Ho cercato di essere il più sincera possibile con loro, ovviamente cercando di non spaventarle. Eppure, nonostante le dica «La mamma è quella di sempre: vedi che faccio ginnastica, faccio le pulizie, la spesa... se non stessi bene non sarei andata da sola a Udine e al supermercato oggi!», secondo la Princi «Sento che qualcosa è cambiato: che non sei più tu».

Già: sono io, ma anche no. Perchè, pirandellianamente: sono io e la SM è un accessorio? O sono la SM ed Eliana è un accessorio? E posso davvero fare tutto ciò che voglio? Devo accettare i limiti della stanchezza o devo combattere contro di loro? E chi mi incontra adesso vede me o Lei? E quando mi presento a qualcuno devo dire «Ciao, sono Eliana» oppure «Ciao, sono Eliana e ho la SM»?

Ri-conoscersi: come se finora avessi davvero imparato a conoscermi, senza SM.

Già: perchè faccio anche difficoltà a credere che sia io la mamma sorridente di cui parlava l'ostetrica durante l'ora di massaggio neonatale con la Princi. «Guardate i vostri piccoli e sorridetegli. A te non serve lo dica perchè sorridi sempre».

?!?

«Signora, io non sapevo di questa cosa ma le dico di avere coraggio e di non perdere il suo sorriso»

«No, la signora sorride sempre!»

?!?

Fra l'altro, è stata la settimana spruzzata dalla neve: e sono tornata a emozionarmi bambina, nonostante il mal di testa e la “gita” in ospedale.

Ed è stata pure la settimana in cui in tanti mi hanno chiesto come sto: delicatamente, in punta di piedi. E, loro sì, mi hanno regalato un sorriso.

lunedì 30 novembre 2020

Christmas is coming to home

 


Abbiamo resistito pure troppo. Poi, ieri abbiamo ceduto. Intendiamoci: non siamo fra quelli che “l'albero va fatto l'8 dicembre”. L'albero, sin da quando ero bambina, si faceva quando se ne aveva voglia.

In effetti, però, pure a me sarebbe piaciuto anticipare già alla scorsa settimana: ma ci vuole l'atmosfera giusta.

La collaborazione. La tranquillità. Una giornata senza pensieri e senza programmi se non quello di accendere le musiche natalizie la mattina per spegnerle la sera.

E così la domenica l'abbiamo dedicata a alberi e addobbi, con una casa disseminata di oggetti e oggettini accumulati negli anni, lavoretti di scuola materna ed elementare, ricordi di viaggi indimenticabili.

Ciò non significa che questo basti: da adesso a Natale si può ancora aumentare il numero di punti rossi oro e bianchi sparsi nei vari angoli.

Sarà divertente poi, a gennaio, la caccia al tesoro per ritrovare tutto e rimetterlo nei box di plastica da portare in cantina: dovremo esaminare minuziosamente ogni angolo della casa, magari ripassarci più volte.

Questo sarà un post di foto: non saprei descrivere meglio la giornata di ieri.

Un misto di felicità, nostalgia, ricordi di bambina e pure qualche momento di tristezza per ciò che è e sarà.



Ovviamente, le protagoniste della mattinata sono state loro e sono state anche molto brave. Hanno pazientemente atteso la fase più noiosa, quella della preparazione.

Un plauso va pure a me per l'insolita calma con cui ho predisposto la piattaforma per il presepe (ancora da realizzare) e aperto i singoli rami dell'albero. Poi, agli addobbi ci hanno pensato loro.



In autonomia invece, dopo pranzo, mentre loro si arrampicavano sul nespolo, ho addobbato l'abete a doppia punta del giardino: con tanto di musiche a tema sparate dal telefonino. 
Lui, nel frattempo, sistemava le luci a caduta dal terrazzo del primo piano.

Novità di quest'anno, gli addobbi aerei: sperimentati per Halloween, i faretti hanno trovato un nuovo utilizzo per appenderci le decorazioni.



L'orologio con cappellino è stato invece un repeat del 2019... 


ma non abbiamo risparmiato nessun angolo della casa...


 

neppure il bagno, dove ho sistemato lo zerbino, riconvertito in tappetino per il lavandino!!


Che dire dell'angolo Peanuts sull'albero? Ho avuto la fortuna di accaparrarmi un paio di questi durante le svendite di una cartoleria cittadina, ringiovanendo il parco “Peanuts morbidosi” già esistenti in casa.



Come detto, niente è sfuggito all'addobbo....

Niente, e nessuno: neppure Snoopy ha potuto sottrarsi all'atmosfera natalizia!!





domenica 22 novembre 2020

Due settimane

 

E così le prime due settimane sono andate.

Durante la prima, ho tenuto le pastiglie lontane dalla cucina, da dove ho tolto anche il biglietto da visita dell'Aism e altri appunti che ricordassero la malattia: avevo pensato che non dovesse entrare troppo nella nostra vita.

Poi però ho iniziato la doppia somministrazione e, per timore di scordarmi la pillola la mattina, le ho infilate fra la mega tazza con le cialde di caffè e il contenitore delle spezie.

Lunedì scorso sono andata a Udine per il primo colloquio con la psicologa, un appuntamento previsto dal percorso educativo del day hospital e di cui ero convinta di non aver bisogno: hoil blog, mi sfogo scrivendo, ho la mia famiglia, la ginnastica da casa, il quotidiano che – risucchiandomi - mi permette di non pensare continuamente a Lei.

Invece qualche giorno prima ho iniziato ad aspettare con trepidazione questo incontro.

È solo una pastiglia, che si corre il rischio anche di dimenticare.

È solo un mezzo piede cartonato, che ti permette comunque di camminare, correre, saltellare per mano alla Pulci.

Ma l'impatto psicologico c'è. Certo, ci sono centinaia di patologie croniche che richiedono una terapia quotidiana per essere tenute sotto controllo.

Però è il fatto di non avere più il controllo del mio corpo che non mi va. Di non sapere cosa succederà e di temere, a ogni formicolio, a ogni fastidio alla vista, che si tratti di una ricaduta.

Nei primi giorni di terapia, ho avuto spesso la tentazione di fermarmi e piangere, fermarmi e riposarmi, fermarmi e dormire. Ma non ho potuto farlo: per le bimbe, che non voglio vivano questo periodo percependo le mie difficoltà più di quanto non facciano; per la mamma, che altrimenti avrebbe amplificato il problema con un'inondazione del salotto. Una sera ho costretto Lui ad ascoltarmi, senza sapere nemmeno cosa dire ed essendo sicura che la sua comprensione non sarebbe stata completa. Non per mancanza di sensibilità: piuttosto, per senso pratico. Sei stanca? Il tuo corpo si abituerà pian piano alla terapia. Sei affaticata? Fermati a riposare. Ma per me, stendermi sul divano è una sconfitta; fermarmi, significa poi cercare il doppio della forza per rialzarmi e vincere la sensazione delle gambe di pastafrolla.


Dopo la seduta con la psicologa, trascorsa senza che nemmeno finisse di rivolgermi le domande di routine perchè sono partita a razzo con tutti i pensieri del periodo e non solo, ho ritirato la copia delle ultime risonanze in caso che le prossime debba farle in ospedali diversi. Così, mentre tornavo a casa, pensavo che stavo viaggiando con le mia testa e la mia colonna fallate chiuse nella borsa. Appena arrivata, avrei aperto le buste e guardato le immagini perchè chissà, magari finora si erano tutti sbagliati e quelle macchie non c'erano. E poi, come quando era stato male Lui, ho fantasticato sull'ipotesi di affondare le mani nella mia testa, nella mia schiena, per togliere quelle zone oscure e riportare tutto alla normalità.

Ovviamente, una volta inseriti i dischetti nel computer, non ci ho capito un accidente e le zone sane erano per me tutt'uno con quelle presumibilmente fallate.

Parte della delusione di questo periodo è l'impossibilità di trasformare i viaggi all'ospedale in “gite” a quel centro commerciale fuorimano in cui sono secoli che non mi rifugio: la zona gialla di cui ci ha dipinti il Covid impedisce questo momento di svago che potrebbe trasfigurare il vero motivo della trasferta.

Ma in verità questa tinta canarino ci sta anche regalando più momenti in famiglia.

Lui è in smart working, le bimbe non hanno attività pomeridiane per cui si ritrovano a doversi inventare più giochi da fare insieme, la Princi sta scrivendo una sceneggiatura da far interpretare ai compagni di classe, la Pulci si allena costantemente a scrivere. Abbiamo stabilito due sere a tema, la serata pizza e quella schifezze, che iniziano con noi tre che ci trucchiamo o smaltiamo le unghie e finiscono o sono precedute da uno spalmo familiare sul divano a guardare la tv, anche i primi film natalizi.

Ed è in questi momenti che me le prendo strette strette vicino a me, mi immergo nelle loro guanciotte, annuso il loro profumo, sorrido ripensando alle domande curiose che mi sottopongono e alle risposte divertenti che cerco di dare mentre fanno i compiti.

Poi, sarà stata una coincidenza, ma proprio quel lunedì sera la Princi non riusciva a dormire.

In verità erano trascorsi solo cinque minuti da quando si era infilata nel letto, ma lo stesso le abbiamo detto di raggiungerci sul divano. Me la sono presa in braccio come quando era infilata nelle morbidose tutine rosa, lei ha rannicchiato i suoi 138 centimetri e per un quarto d'ora ho nuovamente respirato il suo respiro, sentito il suo fiducioso abbandonarsi a me.

Tutto ha preso un nuovo senso.

Con o senza Lei, per loro ci saranno sempre momenti in cui sarò la SuperMamma.

Lei c'è, ma non si prenderà la nostra vita.

giovedì 12 novembre 2020

Per fare un albero..

 


«Mamma..?!?»

Quando esordisce così, e lo fa un trilione di volte al giorno, so che sta per arrivare un domandone. Se ha un certo tono, già intuisco l'argomento.

«Ma la sclerosi multipla riguarda solo il piede?»

Un nanosecondo. In cui penso se rispondere, come rispondere, se essere sincera.

Poi parto.

La Princi mi guarda mentre parlo, la Pulci finge disinteresse mentre finisce di colorare sette dei dieci pallini che compongono il corpo del bruco. Ma ogni tanto anche lei alza la matita gialla dal foglio e ci guarda intervenendo in quella che presto si trasforma in una conversazione botanica.

Spiego che purtroppo no, la sclerosi può riguardare tante parti del corpo: possono venire dei formicolii, si possono avere problemi agli occhi...

«Tu ci vedi bene?» e il “ci” è riferito a loro due: sì, li vedo benissimo i vostri occhioni attenti.

Poi, per far capire come funziona la malattia, imbastisco delle metafore naturalistiche.

«Diciamo che il corpo di una persona è come un albero: la chioma corrisponde alla testa, il tronco è la colonna vertebrale in cui c'è il midollo spinale. Dalla testa, dal cervello, partono gli ordini a tutte le parti del corpo, che sono come i rami di questo albero».

«Allora è come se portano il nutrimento!»

«Sì, più o meno così. Poi la malattia... prendiamo una mela. Il cervello e il midollo sono fatti di tante cellule che si chiamano neuroni e sono proprio loro che portano in giro le informazioni e dicono per esempio a un braccio di alzarsi. Però, se prendiamo una mela, è formata dalla parte interna che si mangia e dalla buccia. La malattia viene..»

«..Quando la buccia si rovina!».

La Princi è soddisfatta per avermi anticipato dimostrandomi di aver capito.

«Ma è più nutriente la buccia o “il dentro” della mela?»

Con lo sguardo che si è spostato sull'Oca Olivia, la Pulci ammette di aver ascoltato.

Chissà cosa hanno recepito.

Ore 20.50.

«Come stai?» mi chiede la Princi da sotto le coperte mentre, la luce già spenta, sto per uscire dalla cameretta.

«Bene!»

«Sicura??» chiede con tono maliziosamente inquisitorio.

«Sì!» rispondo sorridendo.

«Sicura sicura??»

La Pulci tenta di investigare con gli occhi.

Mi intenerisce il loro continuo tentativo di capire cosa stia succedendo e quello di intuire cosa accadrà in una situazione totalmente imprevedibile per tutti.

Mi intenerisce la loro soffice preoccupazione.

Il che non significa aver ricevuto aiuto per apparecchiare, sparecchiare o essermi risparmiata gli urli per arrivare in tempo a scuola stamattina.

martedì 10 novembre 2020

I. T. I. ovvero: Inizio Terapia con Incazzatura

Visto che sei muto,
ti faccio parlare con i colori


 Lunedì 9 novembre 2020.

Se Zeno Cosini nel più famoso romanzo di Italo Svevo scriveva sul calendario U. S. per indicare il giorno in cui aveva fumato quella che pensava sarebbe stata l'Ultima Sigaretta, I. T. è ciò che potrei segnare io come data da ricordare: Inizio Terapia.

Ma non so se voglio proprio ricordare.

Certo, da giovedì – giorno in cui ho visto la neurologa – a ieri il pensiero è stato costante, come se invece di ingurgitare la pillola stessi aspettando di scartare un regalo. Nonostante questo, ho deciso di rimandare all'inizio della nuova settimana: perchè giovedì sono tornata troppo tardi per poter reperire le pastiglie alla farmacia dell'ospedale, perchè «Nè di venere nè di marte non si sposa e non si parte». Poi c'era il week end, l'ultimo di libertà totale: meglio goderselo.

A quanto mi ha detto, la dottoressa ha optato per una cura abbastanza decisa in conseguenza del fatto che la risonanza di luglio ha rivelato tre lesioni alla colonna: troppo importanti, secondo lei, per intervenire in modo blando. Quindi da adesso ed entro un mese mi cuccherò mattina e sera 240 mg di benessere. Come mi ha accuratamente spiegato la dottoressa e come recita il sito Aism, gli effetti collaterali del dimetilfumarato sono «rossore e vampate di calore e disturbi gastrointestinali (come diarrea, nausea e dolore addominale superiore). [...] Il farmaco può ridurre il numero dei globuli bianchi nel sangue (linfociti)».

Per me che già normalmente, durante l'inverno, sono soggetta a sbalzi di temperatura con rossori che neanche una bottiglia di Lambrusco provocherebbe, direi che è una manna.

Comunque d'ora in poi stringerò amicizia con il personale della farmacia ospedaliera e del centro prelievi, dove dovrò andare ogni tre mesi per i controlli. A giugno prossima visita neurologica e, a fine maggio, prossima risonanza: credo ci starò un giorno intero visto che dovranno esaminare cervello e colonna. Chissà se ci sarà di nuovo Doc. Lunedì invece, per chiudere il percorso di day hospital, avrò il colloquio con la psicologa, nonostante non è che ne senta proprio il bisogno.

Tranne...

Tranne ieri sera, durante e dopo l'allenamento casalingo. Gli squat erano intervallati da «mamma, come si scrive...?/mamma, posso guardare sul cellulare una cosa?», il tutto finalizzato alla stesura della letterina a Babbo Natale. Lui era nella camera delle bambine, trasformata in sede distaccata dell'ufficio ora che è in smart working.

E io, dentro di me, urlavo a AM. Che però non rispondeva.

Gli urlavo senza gridare, perchè tanto non può sentire nè rispondere.

Ma farmi incazzare sì, e tanto.

Perchè non lo sento, perchè non capisco se ho l'avampiede completamente appoggiato o no, non mi rendo conto se il piede sia dritto o storto, se non lo guardo posso pensare che nemmeno sia appoggiato al tavolino, che mi serve come appoggio per i bulgarian squat.

Cammino scalza e sento una gommapiuma sotto il piede.

E lui resta muto.

E io mi incazzo sempre di più, perchè penso che magari cammino male e non me ne rendo conto.

E qualcuno dovrebbe dirmelo.

E invece non lo dice nessuno, quindi chissà.

E io allora continuo a camminare, camminare: anche stamattina ho lasciato l'auto davanti alla scuola delle Belve, sono tornata a casa a piedi e tra un'ora ripartirò per andarle a prendere all'uscita.

Non è niente di grave, mi ripeto: riesco comunque a fare tutto ciò che voglio e, buoni propositi a parte, nel bugiardino delle pastiglie non si dice nulla al riguardo di una birra ogni tanto.

Però è vero: sono incazzata.

Impaurita.

Felice: felice che ci siano gli scazzi quotidiani - dei compiti, del lavoro che non c'è, dei sogni irrealizzati, della spesa da fare, il gatto orbo da accudire (sì, anche questa abbiamo avuto sabato) – per non pensare e non ascoltare quello stronzo di AM che sarà anche muto ma se vuole si fa sentire.

Per fortuna, dopo la preoccupazione per come Babbo Natale potrà glissare il coprifuoco delle 22 per consegnare regolarmente i regali (li spedirà con Amazon, hanno detto) c'è stata la diatriba del dente: l'incisivo che sventola solitario al centro dell'arcata superiore della Pulci da ormai diversi mesi, senza che lei si decida a dondolarlo in modo energico e senza permettere a noi di staccarlo. Ci abbiamo provato per tre quarti d'ora. Poi il caso è stato momentaneamente archiviato.

Ma intanto il pensiero è passato dall'alluce al dente, complice anche la pastiglia che nel frattempo avevo preso e che forse invece di scendere è salita.