Stamattina
sono andata a Udine.
Era una
vita, anzi, una Princi fa che non ci andavo.In centro, intendo dire; o meglio: in biblioteca. E allora mi sono portata la Pallina a ritirare i libri prenotati, quelli che dovrebbero servirmi per quel convengo nel quale non so ancora con precisione di cosa/chi parlerò.
È stata una
sensazione strana.
La
voglia di andarci era a mille. Poi, per strada, caricata la Princi in auto, non
potevo far a meno di pensare che lei fosse lì, dietro di me, stretta al suo
Snoopy e poi, a un certo punto, addormentata con la testa rovesciata all’indietro.
Non potevo, insomma, fingere di essere da sola come è stato per tanto tempo.
Per
tutto il tragitto, anche una volta arrivata, continuavano a saltarmi alla mente
i ricordi delle volte in cui ci sono
stata.
Udine: città a cui ho legato molte aspettative
lavorative/professionali, spesso andate deluse.
E
allora quando siamo arrivate sono andata dritta (beh, eufemismo visti i lavori
in corso che hanno bloccato il traffico per venti minuti) a parcheggiare di
fronte al museo in cui ho lavorato
per sei mesi. Ora lì non c’è più niente: ma ho “rivisto” i colleghi, i
visitatori che ascoltavano attenti le mie spiegazioni durante le visite
guidate. E poi il bar dove andavo per
il (costoso) tramezzino con la collega borsista; il ristorante in cui la direttrice mi ha offerto il pranzo in un caldo
giorno d’estate; il panificio di
quelle buonissime pastine che ci ha offerto uno studioso in visita e dove poi
ho portato la mamma, a quel tempo ben lungi dal diventare mamma-nonna.
La
sera in cui, al settimo cielo, ho percorso quella strada per partecipare al mio
primo convegno, tremante ma felice,
illudendomi che qualcosa di buono ne sarebbe nato e pensando che nonno sarebbe
stato fiero di me se mi avesse visto (e sono certa l’abbia fatto). L’università,
dove sono andata a iscrivermi al master
di cui non sono riuscita a superare la selezione. L’austero ma – con le sue ali
laterali simili a un abbraccio - accogliente palazzo nella cui gigantesca aula
affrescata ho atteso tutto il pomeriggio il turno del colloquio di ammissione al dottorato: senza poi riuscire a farlo e dirottandomi
quindi verso l’altro capo della regione. E poi quella volta in cui, già con il
pancione, ho assistito alla conferenza al termine della quale hanno finalmente
consegnato gli atti del convegno. A destra
ho poi girato la volta in cui sono venuta per seguire le fasi di restauro del
dipinto che ho catalogato per la mostra.
Il
negozio dove ho ordinato le bomboniere
della laurea e la volta in cui sono venuta a ritirarle -agitatissima- con
Lui; l’ottico in cui ho scelto gli
occhiali con cui mi sarei dovuta sentire meno a disagio; la biblioteca, dove ho
passato tante giornate…
Credo che chi abbia incrociato gli
sguardi mio e della Princi vi abbia letto la medesima espressione di stupore. Per lei in
qualche modo era il “battesimo” di molti angoli di una città dove pure è già
stata; per me era la prima volta in cui vedevo quei luoghi spingendo un
passeggino. Tanto da non aver mai notato che per entrare nell’atrio della
biblioteca ci sono cinque gradini da non poter praticare con passeggino
abitato.
È
stato come tornare in un posto da cui si è stati lontani tanto, troppo tempo: e
in effetti due anni abbondanti devono essere trascorsi dalla mia ultima
incursione “da studiosa”. E a questa riscoperta della città si è sovrapposto un
inventario: una nuova gelateria, un’altra che ha chiuso, un concept store (e
che sarà mai?) al posto di non ricordo cosa, il negozio degli abiti da sposa
dei miei sogni paurosamente svuotato, la Upim con le serrande abbassate, nuovi
bar, locali diversi.
E
la voglia di tornare. A studiare e a visitare quella mostra prima che finisca,
fermandosi magari a cena nel locale rilevato da chi ha curato il nostro pranzo
di nozze.
Non so se e quanto alla Princi sia
piaciuta questa gita fuori porta: certo è che, una volta salite in
autonomia (per fortuna!) tutte le scale della biblioteca ha voluto esser presa
in braccio, sedersi sul bancone e controllare il lavoro di chi era dall’altro
lato per aiutarmi a riporre i libri nella borsa. Ha poi molto apprezzato la vetrina
della libreria in cui mi piace sempre dare un’occhiata per illuminarsi di
fronte all’astuccio dell’ape Maia, mostrando subito dopo il suo lato più femminile
aiutandomi a scegliere il set di ombretti nella profumeria poco più avanti. E che
dire del panino-cornetto che si è sbranata strada facendo?
Tante
nuove cose da vedere, tanta aria di studio devono averla enormemente
affaticata: appena entrata in auto è crollata di nuovo. E sulla strada del
ritorno ho continuato a pensare alle volte in cui sono andata e tornata da Udine
e a quanto fosse diversa allora la mia vita. O forse no: perché certe cose le
posso fare tale e quali anche ora con la Princi.