lunedì 31 agosto 2015

ci vuole il caos per partorire una stella (anzi, due)

Eravamo…
Briciolina, ormai qualche tempo fa
Eravamo neanche ricordo più dove. I mesi sono trascorsi così rapidamente che ancora stento a credere che quell’esserino un po’ rachitico e scuro, con la testolina piena di capelli color dell’ebano (sì, proprio come quelli di Biancaneve) sia la stessa pallina sgambettante che oggi, appena rientrata, non la smetteva di venirmi incontro a braccia aperte urlandomi «Mamma!». Così come non mi sembra vero che sia già trascorso il primo anno di scuola materna e che ieri abbia già riprovato i grembiulini alla Princi per vedere se le vanno troppo corti dato che cresce come se a colazione le dessi il fertilizzante.

Tante cose, piccole e grandi sono successe: ma mi rendo sempre più conto di quanto siano relativi i concetti di piccolo e grande. Al pari del valore da attribuire alle cose. Se nel periodo A. B. (Ante Bimbe) uscire e fermarsi a prendere un aperitivo era qualcosa che si poteva fare senza programmazione e poco importava se gli spritz fossero accompagnati da stuzzichini, ora è necessario prevedere dove potremmo fermarci sulla base delle dimensioni della ciotola delle patatine: perché dalla loro quantità dipende la previsione del tempo in cui si potrà restare seduti in una condizione di vigile tranquillità. Allo stesso modo, prendendo spunto da quanto accaduto un’ora fa, pur essendo stanca a causa degli schiamazzi sotto la finestra che mi hanno tenuto sveglia tutta la notte (è stata dapprima improvvisata una finale di Champions, poi una strimpellata alla chitarra che non era affatto una serenata), mi sono molto divertita ad addormentare le belve con una favola. Tanto per cambiare, se non era La bella addormentata era Biancaneve: ed entrambe, ciascuna a suo modo, completavano le frasi e partecipavano al racconto, costantemente arricchito di particolari che immergono questa svampita che accetta di fare da governante a sette uomini (sette!! ma dico io: come si fa??) in un mondo contemporaneo in cui il frigo è vuoto e deve correre dal pasticcere C. per una torta alle ciliegie.
La quotidianità della nostra famiglia vista dalla Princi
Ecco. Se non ricordo dove eravamo, so che questo è il dove siamo ora. Sono immersa in una quotidianità che, come aveva predetto un caro amico alla nascita della Princi, è ogni giorno uguale e ogni giorno diversa. Una quotidianità in cui, per quante energie tu ci metta, per quanti sforzi tu faccia, è sempre perfettibile.
Perché potresti fare di più, soprattutto se vedi/leggi/senti cosa fanno le altre mamme, che ti sembrano sempre maggiormente efficienti, felici, moderne, al passo con le mode sull’educazione dei bambini.
Perché poi pensi a cosa vorresti tu e vedi che è in fondo alla scala degli impegni della giornata, schiacciato fra il riordinare del post pranzo e la sveglia dal pisolino.
Perché poi pensi «chissà cosa vorrebbero loro»: e allora pensi che non le hai portate al mare, al parco, o in chissà che luogo fantasticamente divertente e ti accusi di essere pigra, egoista.
Poi però pensi che questa realtà è quanto riesci a fare. Perché comunque ci sono i loro ritmi da rispettare per evitare di impazzire se sono troppo stanche; ci sono il pranzo e la cena da preparare; le lavatrici da fare, stendere e nella migliore delle ipotesi stirare perché non le vuoi far uscire piene di patacche; la casa da pulire perché sennò oltre alle patacche sui vestiti troveresti chili di polvere che finirebbe pure nello stomaco di Briciolina dato che continua a mettere le mani in bocca; e oltre a dover pensare e attendere alle varie funzioni fisiologiche, ci sono poi i libri che ti chiedono di leggere, i travestimenti a cui ti chiedono di partecipare, le storie che pretendono di ascoltare.
Quindi ora siamo/sono   Immersa/inglobata/risucchiata/felicemente impantanata in una quotidianità che è la loro quotidianità.
L'indimenticabile figlio del Perozzi

Mi domando spesso se sia giusto, per me e pure per loro: soprattutto alla luce dei post di mamme che escono con le amiche o i compagni o che vanno tranquillamente in palestra, dall’estetista e pure al lavoro. Forse dovrei trovare il coraggio di delegare di più, sia la casa sia le bimbe. Ma l’istinto di perfezione ha la meglio, rafforzato dall’adagio (quotato da “Amici miei”) parte seconda “Bimbi e grulli, chi l’ha fatti se li trastulli”. D’altrocanto, quando l’altro ieri la Princi mi ha ammonito con un «Faccio da sola» quando si stava sistemando i capelli ho pensato che, come accennavo in inizio di post, stanno crescendo.
E poi che farò? 
 E noi quando facciamo la spesa ci mettiamo a leggere
Ora vorrei fermare nella memoria ogni loro gesto, parola, smorfia. Vorrei tenere sempre a mente il loro muoversi alla Cip e Ciop, con Briciolina come un’ombra nell’imitare orgogliosamente la Princi.

Non so se fosse questo ciò che avrei voluto scrivere; so solo che mi manca il tempo di riportare nel blog tutti i miei pensieri e pure questo mi dispiace. Ma appena riesco a trovare il modo di farlo, resto un attimo nella condizione da panico per il foglio bianco perchè vorrei riempirlo dei racconti di quanto accade ma pure dei pensieri che accompagnano gli eventi. E mi ci vorrebbe una giornata lunga il doppio.

venerdì 7 agosto 2015

Addio mobili (della cucina)

Senza dubbio dovrei fare altro: ma questo post ho iniziato a costruirlo nella mia testa ieri sera, anche se ancora non ho affrontato l’argomento “cambio - casa” in modo sistematico.



Ma oggi la cucina se ne va: e quanto mi è stato pesante non “salutarla” con un ultimo pranzo oggi, prima della dipartita. Purtroppo però il caos da sgombro che regna nella casa della mamma-nonna unito al caldo mi hanno sconsigliato questa avventura, se non altro per non stressarmi in conseguenza dell’irritabilità delle bimbe. D’altronde sono rare le volte in cui si riesce a salutare chi se ne va. Purtroppo.

E così, eccomi a salutare la cucina a modo mio: scrivendo. Sarà difficile pensare a “casa” senza di lei, avendola sempre vista al suo posto nonostante il suo posto – negli anni – sia cambiato più volte; e lei ha saputo adattarsi ai nuovi spazi, più piccoli o grandi che fossero, senza smettere mai di assolvere ai suoi compiti (eccezion fatta per la lavastoviglie). Quella cucina probabilmente ha visto i miei primi passi, sicuramente ha conosciuto i miei deliranti balletti del sabato sera a imitazione della Cuccarini e della Parisi. Sul suo tavolo ho imparato a leggere e ho fatto i miei primi compiti: “le forbici birichine”, che mi hanno vista insieme alla mamma e alla nonna china sui giornali a cercare dettagli simpatici per un collage. Quella cucina mi ha vista mangiare tutto e poi rifiutare ogni cosa, ha conosciuto le rare intemperanze del nonno, i pianti della zia arenata sui testi di psicologia, l’annuncio dell’arrivo di mio cugino. Sulla poltrona sistemata tra tavolo e mobili ha visto consumarsi e spegnersi chi se n’è andato e ha cercato di assorbire, a fatica, le lacrime di chi è rimasto.

Su quel tavolo ho festeggiato i miei compleanni più belli e anche quelli più brutti, non festeggiati ma semplicemente trascorsi. Di fronte a nonna ho discusso di amori, università e lì ho poggiato le mie tesi. Davanti a quei mobili sono passata con l’abito da sposa: e se hanno retto a tutto questo e a 37 anni di utilizzo, a malapena sono riusciti a mantenersi in forma a seguito delle scorribande di Princi e Briciolina: e l’arrivo della prima, guarda un po’, l’abbiamo annunciato proprio in cucina. In quella cucina nei cui mobili d’angolo mi nascondevo dopo aver tolto padelle e padelline; in quella cucina che ho tanto odiato quando odiavo ciò che conteneva. In quella cucina in cui la mamma e la nonna piegavano le lenzuola e avrei voluto tuffarmici dentro e dove, la mattina, eri sicuro che – alzandoti – avresti trovato la radio sintonizzata sulla Rai e la nonna che stirava. E io leggevo, forse per la centesima volta, uno dei Topolino custoditi nella cassapanca: e pensavo che nulla sarebbe mai cambiato e niente di brutto sarebbe mai potuto succedere. La cucina che, nel bene e nel male, con la tv sempre accesa anche se non c’era nessuno a guardarla, è comunque sempre stata il focolare di casa nostra.
Grazie per esserci stata, per avermi vista crescere e avermi dato l’impressione che tutto sarebbe stato solido, sempre e comunque.

Salutarti è un po’ come rendersi conto, una volta di più, che il tempo passa e devo farmene una ragione.