sabato 19 ottobre 2013

di convegni, pianti, passato e futuro


 






Il post precedente era di qualche giorno fa, ma non ero riuscita né a terminarlo né a pubblicarlo. E se anche adesso non ricordo dove volessi andare a parare né come intendessi continuarlo, ho pensato che valesse comunque la pena di inserirlo nel blog.

Perché oggi è una giornata leggermente diversa.

Intanto il tempo: un sole splendido. Ma, ovviamente, io lavoro. Domani è previsto un peggioramento: e, altrettanto ovviamente, sarò libera.

Poi è passata la “bufera convegno”. In realtà non so come l’avessi preso questo impegno: ci tenevo molto e sono effettivamente contenta di come sia andato nonostante i commenti del moderatore che, non avendomi fra le sue pupille, ha avuto da ridire sul mio intervento. Viste però le condizioni in cui mi ci sono presentata, direi che sono stata grande e, se ora mi fossi rilassata e fossi tranquilla, ne dovrei essere orgogliosa. Perché ieri, guidando sulla Costiera che tanto amo, quasi non mi sono accorta del tessuto blu del mare che adoro ammirare dall’alto: ero tutta concentrata sulla strada davanti a me che, a momenti, si velava fra le lacrime. In questo periodo va così: la stanchezza fisica, mentale, psicologica, si sposa a mille andirivieni per lavorare, sistemare la Princi, preoccuparsi che la spesa sia fatta, la casa sufficientemente ma mai abbastanza pulita, il frigo sufficientemente rifornito, la cena pronta prima di rientrare a casa, i panni che non riesco a stirare e che ormai ingolfano l’armadio… tanto per dire: la Princi ha un numero di maglie che credo superi la somma delle mie e quelle di Lui ed è rimasta quasi a secco.

E così ogni tanto piango. Anzi, spesso. Anche ieri sera. Sempre senza motivo apparente.
I pensieri sono stati tanti: sperare di trovarsi di fronte ai convegnisti senza intonare «Buongiorno a questo giorno che…» aspettando che la Princi intervenga con il suo «zum zum!»; sperare di produrre un discorso che fili liscio e sia sincronizzato con il power point; pensare quando e quanto rimanere ad assistere agli interventi degli altri senza tornare a casa bisognosa di una flebo di ricostituente per lo strapazzo delle ore trascorse fuori; rivedere nella mente i volti della nonna-bisnonna e della mamma-nonna sperando che quest’ultima si convinca finalmente a chiedere un aiuto; chiedersi di continuo quanto sia egoista nel continuare a portare la Princi da loro vista l’aria che tira; chiedersi, conseguentemente, se sia il caso di ricorrere al nido “a ore”; interrogarsi quotidianamente su come saranno i prossimi mesi e temere l’esplosione; sperare che, all’uscita dall’ospedale o poco dopo, possa avere delle occasioni di lavoro che mi mettano in un mood positivo, anche se inizio a chiedermi come e se ce la farò a rispettare gli impegni che già sono nell’aria; sperare – lo so: non è il massimo da auspicare – che alla visita di lunedì il dottor D. mi chieda se preferirei saltare quest’ultimo mese di lavoro.

Perché effettivamente è ciò che vorrei.
Perché avrei bisogno di una pausa. Dei weekend completamente liberi, di giornate in cui non è necessario preparare in fretta la Princi perché DEVO portarla dalla nonna ma posso prepararla con calma perché VOGLIO portarla da lei; di giornate in cui andare in piscina; di settimane in cui posso portarla ogni giorno previsto in ludoteca; di pomeriggi in cui passeggiare al centro commerciale; di serate in cui possiamo invitare gli amici; di serate in cui possiamo uscire con gli amici; di serate in cui possiamo andare a teatro o al cinema.

ma qualcosa che si muove c’è.
L’evento principale è che finalmente la mamma-nonna ha chiamato una signora per farsi aiutare con la nonna-bisnonna. Certo è che questo non cambia molto il mio stato d’animo rispetto alla situazione generale, ma almeno mi fa essere un po’ più tranquilla anche – egoisticamente – sulla possibilità che possa trascorrere qualche ora con la Princi fuori casa godendosi entrambe gli ultimi sprazzi di sole.

A proposito di teatro, già la scorsa settimana mi sono assicurata due biglietti per i Trocks: appuntamento a fine novembre e non vedo l’ora!
Relativamente al convegno, devo dire che ero molto più “presente” il primo giorno di lavori, quello in cui mi sono trovata fra studiosi che conosco e che mi hanno instillato un barlume di speranza rispetto a future possibili collaborazioni…se solo ci fossero i soldi per queste.
E poi che strana sensazione: Lui che la sera prima vuole prendere il mio posto nel lettone perché la Princi non mi disturbi durante la notte; Lui che la lava, veste e porta dalla mamma-nonna mentre io mi dedico all’operazione disboscamento, trucco, parrucco (poco parrucco, viste le attuali dimensioni della capigliatura), vestizione, cappotto, valigetta ed eccomi in strada verso la stazione. Ho quasi paura di non ricordare come si sale sul treno: in fondo, quando lo prendevo per andare all’università era un’altra vita, anzi pure due vite fa. Vedere gli studenti che parlano della matura, fresco ricordo di qualche mese prima; vedere “adulti” (già: ma ora nella categoria rientrerei pure io!) che consultano documenti di lavoro; ritrovarsi in una stazione quasi completamente trasfigurata…

E poi pensare che vorrei tanto tornare un giorno con calma senza chiedersi cosa stia facendo la Princi perché lei è con me a passeggiare sulle Rive; e pensare pure se sia normale scendere dal treno e avviarsi verso la Soprintendenza con nella mente «Il treno del nonno fa ciuf ciuf…».
Direi l’inconscio ho scelto il mio mestiere senza avvisarmi preventivamente: la gioia di aver svolto un buon lavoro, di non essermi incartata mentre parlavo, di non aver inciampato pur indossando le ballerine è nulla in confronto a quella provata quando – aprendo la porta – ho trovato la Princi che mi correva incontro urlando “Mamma!”, pronta ad abbracciarmi facendomi “pat pat” sulla schiena. E poco importa che in queste ultime sere si sia girata sul divano per ore prima di prendere sonno solo perchè voleva rimanere il più a lungo possibile con noi.

p. s: una nota che si lega al post precedente. La moderatrice della prima giornata, dopo avermi parlato per mezz’ora, ha capito di trovarsi davanti a una navicella madre solo perchè qualcuno mi ha chiesto come stessi. Devo quindi ancora capire quanto grande sia il cocomero…

nella testa i pensieri, nella pancia la Pulci





SURE?!

Anche oggi è una giornata un po’ così. No: in realtà è una giornata tanto così.
Di quelle in cui penso cosa caspita ci è venuto in mente di  moltiplicare nuovamente il nostro amore. Perché quella poverina della Pulci avrebbe bisogno di qualcosa di meglio di una mamma come me.



L’ho cominciato a pensare alle 7.30, mentre sparecchiavo la colazione con la Princi che mi brincava le gambe camminando; poi mentre le leggevo il libro di Peppa e intanto le spiegavo che tra poco sarebbe venuta la nonna a prenderla; mentre preparavo melanzane e involtini con lei seduta sul bancone della cucina, che in tutto sarà lungo 80 cm e ci stavano il tagliere, lei, la carta del prosciutto che cercava di mangiare invece di stenderlo sulla carne infilzandola poi con lo stuzzicadente tutta orgogliosa; mentre l’ho piazzata nella vaschetta schiumosa del bagnetto tirando fuori i panni dalla lavatrice, portandoli in soggiorno e preparando lo spazio per asciugarla; mentre piegavo i panni già asciutti con lei che si sedeva comodamente nella cestina che ho tirato fuori per dare altri panni alla mamma-nonna affinchè me li possa asciugare nel vano caldaia senza che prendano odore di muffa; mentre ripensavo alla visita di ieri sera a mia suocera, che per prima cosa – anziché dirmi come stesse lei o chiedermi come stessi io: «Ne ho appena parlato con tua mamma: è un po’ che non ti vedo, ma hai proprio una bella pancia!».

Non so se le persone che te lo dicono credono ti faccia piacere. Per me non è così. Io la nasconderei, di continuo, in ogni modo. Ma, a pensarci, quando aspettavo la Princi tutti a dirmi che non si vedeva: quindi la conclusione è che tutti devono farsi le pance degli altri e mai la propria.
Finchè non si conosce il sesso del nascituro la pancia è oggetto di illazioni su cosa potrà essere: se è a punta non porta cappello, se è bassa sarà femmina, se è alta sarà maschio…salvo poi che la stessa identica supposizione può essere ribaltata negli esiti in poco meno di mezz’ora: se è a punta il cappello lo porta eccome, se è bassa sarà un lui, se è alta una lei. Finito il toto-sesso che mi aveva sfibrata anche ai tempi della Princi e che è stato il motivo principale per cui ho voluto sapere cosa fosse, tutti si concentrano sulle dimensioni: che, a dire il vero, erano oggetto di dibattito pure prima: se è piccola perché è piccola, se è grande perché «Eh, stavolta si vede tanto di più!».
Ma… ‘azz: sarò anche quasi al sesto mese??? e poi parafrasando una canzone trash degli anni Ottanta, non dovrebbe valere che: «Siamo (quasi) mamme, oltre la pancia c’è di più»?

sabato 12 ottobre 2013

apnea



 

Oggi è una giornata così: che doveva andare in un modo, anche se non sapevo di preciso quale, e invece sta andando in un altro. E domani sarà lo stesso: perché ciò che non è stato fatto oggi slitterà inevitabilmente di ventiquattr’ore. Con buona pace del riposo, di un week end quasi interamente dedicato alla famiglia, di almeno un pranzo e/o cena a base di quelle cose che sto desiderando da qualche tempo, di due mostre in chiusura che volevo finalmente vedere.
E allora, tanto per far qualcosa e per dare un senso a questo sabato piovoso (ecco, almeno un risvolto positivo c’è) scriviamo. Scriviamo cosa vorrei, cosa desidero ora e cosa mi aspetto nei prossimi mesi, quando finalmente sarò a casa dal lavoro e potrò cercare di riproporre anche per la Pulci la situazione dell’attesa Princi.
Quello che vorrei.
·           Dormire una notte intera, anche senza svegliarmi più tardi del solito, ma almeno senza dovermi alzare due/tre volte per correre in bagno faticando quindi a riaddormentarmi perché pensieri nebulosi mi sovrastano;
·           andare almeno una volta  a settimana in piscina sola con la Pulci e il sabato mattina con la Princi: così, magari, il momento doccia-capelli finisce di essere una tragedia per l’acqua negli occhi;
·           andare almeno una volta al cinema con Lui: perché quasi non ricordo più la strada, non saprei più il percorso per il bagno (e questo, allo stato attuale, sarebbe grave), non ho quasi più memoria delle emozioni che si provano di fronte al grande schermo né della delusione che può provocare la scelta del film sbagliato;
·           andare a vedere i balletti che da tempo mi sono segnata in agenda;
·           andare all’Ikea a compare le stupidaggini che servono a noi e alla Mamma-nonna, opportunamente segnate sul catalogo ma ancora in attesa di essere acquistate;
·           portare più assiduamente la Princi in ludoteca: così magari il suo vocabolario si sblocca e il mio dito indice si rianima, dato che adesso ogni volta che ci andiamo lo stringe impaurita per trascinarmi da una zona all’altra;
·           andare agli incontri preparto dell’associazione di mamme e iniziare il corso preparto dell’ospedale;
·           andare al centro commerciale con la Princi e la Mamma-nonna, cosa che finora non è stato possibile fare;
·           vedere gli amici;
·           invitare a cena tutte le persone che vorremmo invitare con gli arretrati;
·           passeggiare in città senza il dubbio/pericolo che possa piovere da un momento all’altro;
·           fare un giro, magari da sola, a Trieste;
·           sistemare con calma il Princi-Pulci guardaroba per assegnare a ognuna il suo spazio;
·           sistemare la Princi-Pulci room per renderla principescamente accogliente: pronta, cioè, a risultare più simpatica alla Princi facendogliela sentire “sua” in modo che possa tranquillamente dormirci da sola e io riesca a riguadagnare posizioni nel lettone: almeno per qualche settimana prima dell’arrivo della Pulci;
·           riuscire a spannolinare la Princi prima del Pulci-allunaggio: impresa ardua dal momento che, dopo i successi iniziali, ora il vasino viene pensato come una comoda poltroncina su cui ascoltare i libri che le leggo;
·           andare via un week end: a Ferrara, per la mostra di Zurbaran; a Pisa, per far vedere alla Princi quella torre di cui imita l’equilibrio precario ogni volta che le canto la canzoncina; ovunque, per staccare un attimo la spina prima di questa nuova, faticosa, esaltante, sfinente avventura.
Perché lo ammetto: in questi ultimi tempi vorrei scappare.

tra le incombenze quotidiane,
la smacchiatura dei panni principeschi
Lontano dalla casa da pulire e riordinare, dai panni da stirare, dalle cene da preparare in anticipo perché sarò fuori tutto il giorno, dai pensieri per la salute della nonna-bisnonna e per le condizioni della mamma-nonna, dai pensieri per come alloggiare la Princi se la situazione dovesse precipitare, dai rimorsi perché «Oddio, lo sto trascurando!», da quelli perchè forse dovrei pensare di più alla Pulci e temo che ne risenta, dalla paura di non riuscire a gestire il carico pratico ed emotivo di questo nuovo inizio, dal sollievo perché tra poco finirò di lavorare mentre dovrei esserne rammaricata dato che al termine del periodo di maternità sarò di nuovo a piedi e, comunque, non lavorare significherà stare ventiquattr’ore su ventiquattro con due bimbe piccole, la paura di scoppiare e un blog che rimarrà inattivo dall’allunaggio della Pulci fino al momento in cui le passerotte di casa non usciranno di casa dicendomi: «Ciao mamma, noi andiamo in discoteca!».

Aaaargh, che angoscia!
Solo l’altro giorno ho realizzato che tra poco ogni mattina dovrò lavare, vestire, cambiare, ricambiare, dar da mangiare a due piccole cozze invece che una sola: che già è un’impresa.
E quando avrò finito con una dovrò iniziare con l’altra; e chissà se avanzerà tempo per farmi una doccia o sarà meglio pensare a qualche soluzione per un bagno collettivo: tanto, siamo tutte donne.
Secondo Lui il problema maggiore sarà scendere due piani di scale con Pulci e Princi al seguito: secondo me, quando chiuderò la porta alle mie spalle il peggio sarà passato, o almeno una parte.
Perché poi verrà il momento di sistemarle in auto, di spingere il passeggino stando attenta che la Princi non scappi per conto suo se vuole camminare in autonomia, di sincronizzare i momenti di pappe e merende cercando di trovare il tempo per sgranocchiare almeno un cracker pure io.  
Sì, in effetti non dovrei preoccuparmi troppo dei chili che stanno salendo, dei dolci – secondo me sempre troppi – che mangio ora: dopo avrò ben tempo e modo di smaltirli.
Spero solo che, in tutto questo, ci siano sempre gli abbracci con “pat pat” sulla spalla che mi dispensa la Princi, i suoi sorrisi e il suo corrermi incontro a braccia aperte se non mi vede per un po’.
Ah, già: dimenticavo che fra qualche mese sarò sempre con lei e quindi, almeno di questi, dovrò fare a meno.