Il post precedente era di qualche giorno fa, ma non ero riuscita
né a terminarlo né a pubblicarlo. E se anche adesso non ricordo dove volessi
andare a parare né come intendessi continuarlo, ho pensato che valesse comunque
la pena di inserirlo nel blog.
Perché oggi è una giornata leggermente diversa.
Intanto il tempo: un sole splendido. Ma, ovviamente, io lavoro. Domani è previsto un peggioramento: e,
altrettanto ovviamente, sarò libera.
Poi è passata la “bufera
convegno”. In realtà non so come l’avessi preso questo impegno: ci tenevo
molto e sono effettivamente contenta di come sia andato nonostante i commenti
del moderatore che, non avendomi fra le sue pupille, ha avuto da ridire sul mio
intervento. Viste però le condizioni in cui mi ci sono presentata, direi che
sono stata grande e, se ora mi fossi rilassata e fossi tranquilla, ne dovrei
essere orgogliosa. Perché ieri, guidando sulla Costiera che tanto amo, quasi
non mi sono accorta del tessuto blu del mare che adoro ammirare dall’alto: ero
tutta concentrata sulla strada davanti a me che, a momenti, si velava fra le
lacrime. In questo periodo va così: la stanchezza fisica, mentale, psicologica,
si sposa a mille andirivieni per lavorare, sistemare la Princi, preoccuparsi
che la spesa sia fatta, la casa sufficientemente ma mai abbastanza pulita, il
frigo sufficientemente rifornito, la cena pronta prima di rientrare a casa, i
panni che non riesco a stirare e che ormai ingolfano l’armadio… tanto per dire:
la Princi ha un numero di maglie che credo superi la somma delle mie e quelle
di Lui ed è rimasta quasi a secco.
E così ogni tanto piango.
Anzi, spesso. Anche ieri sera. Sempre senza motivo apparente.
I pensieri sono stati
tanti: sperare di trovarsi di fronte ai convegnisti senza intonare «Buongiorno a questo giorno che…»
aspettando che la Princi intervenga con il suo «zum zum!»; sperare di produrre un discorso che fili liscio e sia
sincronizzato con il power point; pensare quando e quanto rimanere ad assistere
agli interventi degli altri senza tornare a casa bisognosa di una flebo di
ricostituente per lo strapazzo delle ore trascorse fuori; rivedere nella mente i
volti della nonna-bisnonna e della mamma-nonna sperando che quest’ultima si
convinca finalmente a chiedere un aiuto; chiedersi di continuo quanto sia
egoista nel continuare a portare la Princi da loro vista l’aria che tira;
chiedersi, conseguentemente, se sia il caso di ricorrere al nido “a ore”;
interrogarsi quotidianamente su come saranno i prossimi mesi e temere l’esplosione;
sperare che, all’uscita dall’ospedale o poco dopo, possa avere delle occasioni
di lavoro che mi mettano in un mood positivo, anche se inizio a chiedermi come
e se ce la farò a rispettare gli impegni che già sono nell’aria; sperare – lo so:
non è il massimo da auspicare – che alla visita di lunedì il dottor D. mi
chieda se preferirei saltare quest’ultimo
mese di lavoro.
Perché effettivamente è ciò che vorrei.
Perché avrei bisogno di una pausa. Dei weekend completamente
liberi, di giornate in cui non è necessario preparare in fretta la Princi perché
DEVO portarla dalla nonna ma posso prepararla con calma perché VOGLIO portarla
da lei; di giornate in cui andare in piscina; di settimane in cui posso portarla
ogni giorno previsto in ludoteca; di pomeriggi in cui passeggiare al centro
commerciale; di serate in cui possiamo invitare gli amici; di serate in cui possiamo
uscire con gli amici; di serate in cui possiamo andare a teatro o al cinema.
ma qualcosa che si muove c’è.
L’evento principale è che finalmente
la mamma-nonna ha chiamato una signora
per farsi aiutare con la nonna-bisnonna. Certo è che questo non cambia molto il
mio stato d’animo rispetto alla situazione generale, ma almeno mi fa essere un po’
più tranquilla anche – egoisticamente – sulla possibilità che possa trascorrere
qualche ora con la Princi fuori casa godendosi entrambe gli ultimi sprazzi di
sole.
A proposito di teatro, già la scorsa settimana mi
sono assicurata due biglietti per i Trocks:
appuntamento a fine novembre e non vedo l’ora!
Relativamente al convegno, devo dire che ero molto
più “presente” il primo giorno di lavori, quello in cui mi sono trovata fra studiosi
che conosco e che mi hanno instillato un barlume
di speranza rispetto a future possibili collaborazioni…se solo ci fossero i
soldi per queste.
E poi che strana sensazione: Lui che la sera prima vuole
prendere il mio posto nel lettone perché la Princi non mi disturbi durante la
notte; Lui che la lava, veste e porta dalla mamma-nonna mentre io mi dedico all’operazione
disboscamento, trucco, parrucco (poco parrucco, viste le attuali dimensioni
della capigliatura), vestizione, cappotto, valigetta ed eccomi in strada verso
la stazione. Ho quasi paura di non
ricordare come si sale sul treno: in fondo, quando lo prendevo per andare
all’università era un’altra vita, anzi pure due vite fa. Vedere gli studenti
che parlano della matura, fresco ricordo di qualche mese prima; vedere “adulti”
(già: ma ora nella categoria rientrerei pure io!) che consultano documenti di
lavoro; ritrovarsi in una stazione quasi completamente trasfigurata…
E poi pensare che vorrei tanto tornare un giorno con calma senza
chiedersi cosa stia facendo la Princi perché lei è con me a passeggiare sulle
Rive; e pensare pure se sia normale
scendere dal treno e avviarsi verso la Soprintendenza con nella mente «Il treno del nonno fa ciuf ciuf…».
Direi l’inconscio ho
scelto il mio mestiere senza avvisarmi preventivamente: la gioia di aver
svolto un buon lavoro, di non essermi incartata mentre parlavo, di non aver inciampato
pur indossando le ballerine è nulla in confronto a quella provata quando – aprendo la porta – ho trovato la Princi che
mi correva incontro urlando “Mamma!”, pronta ad abbracciarmi facendomi “pat pat”
sulla schiena. E poco importa che in queste ultime sere si sia girata sul
divano per ore prima di prendere sonno solo perchè voleva rimanere il più a lungo possibile con noi.
p. s: una nota che si lega al post precedente. La moderatrice
della prima giornata, dopo avermi parlato per mezz’ora, ha capito di trovarsi
davanti a una navicella madre solo perchè qualcuno mi ha chiesto come stessi. Devo
quindi ancora capire quanto grande sia il cocomero…
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