Sorprendimi, dice una
loro canzone.
E in effetti mi sono sorpresa, come non mai.
Perchè fino all’ultimo non ci
volevo credere; perché di questa serata non parlavo o lo facevo sottovoce e incrociando
sempre le dita; perché tutto è andato bene sia prima sia durante sia dopo. Sfatando
così il mito, in cui comunque continuo a credere fermamente, che a ogni cosa
bella ne segua una brutta.
Era da un mese che questa serata era nell’aria anche se, per
scaramanzia, non la sognavamo e sembrava l’avessimo dimenticata. Non l’abbiamo
riportata sul calendario e credevo Lui se ne fosse ampiamente scordato. Ci siamo
limitati a pianificarla quasi a gesti pensando soprattutto a come organizzarci
con la Princi. Questo perché quando, alcuni
mesi fa, abbiamo iniziato a pensare e a dirci che saremmo potuti andare qualche
volta al cinema – ovviamente di pomeriggio, per non vanificare i soldi del
biglietto ronfando sulle poltroncine – beh,
da quella volta la Princi ne ha avuta una alla settimana. Febbre. Poi:
denti. Quindi: rifebbre. Poi: dermatiti sospette. E di nuovo: febbre. Poi:
sesta malattia. Insomma: una congiura.
Poi, un mese e mezzo fa, il Caso ha operato per noi. In una
delle periodiche gite oltreconfine per procacciare pannolini, creme e/o
vestiti, noto un cartellone che annuncia:
Stadio, 26/04/2013.
Lo dico a Lui, senza molta convinzione. Lui risponde, con pari
slancio. Ma pian piano e a fatica mi convinco: perché anche lasciare la Princi
mezz’ora in più dalla Nonna2 per andare a prenotare i biglietti mi fa sentire
una criminale. Ogni volta che faccio
qualcosa senza di lei, lavoro escluso, mi
sento come una criminale sul punto di essere colta in flagrante. Da chi non
lo so: lei certo non se ne ricorderà e tutti, almeno a parole, convengono della
necessità di ricavarci degli spazi per mettere una pezza a quella coppia inevitabilmente
slabbrata dal suo arrivo.
Ok, biglietti presi. Tra un
mese usciamo. Un mese… è una vita, in cui può succedere di tutto. Per esempio
la Princi ha messo tre denti insieme, stavolta miracolosamente senza cataclismi.
Più impattante può essere il vaccino che in effetti, mandando a rotoli quella
certezza di orari e quella tranquillità (soprattutto notturna) acquisita nelle
ultime settimane, mette a dura prova la nostra capacità di resistere a qualsiasi
cosa oltre le otto di sera. E ci credo: dopo essersi alzati tre/quattro volte
per notte per cullare, cedere al posizionamento nel lettone, riposizionare nel
lettino dopo essere stati presi abbondantemente a calci…
http://youtu.be/RafMD-sjHes
Intanto il giorno si avvicina. Comincio a favoleggiare su come
vestirmi, bisbiglio alla Mamma-Nonna le istruzioni sull’uso serale della Princi,
a mezze parole Lui mi prospetta una cenetta in un locale che ci piace tanto. Dato
l’approssimarsi di un altro evento che, per ora, rimane scaramanticamente top
secret, venerdì pomeriggio eccoci uscire
tutti e cinque di casa: Lui, la Princi, io, il signor Degas e Mr. Billy
che, poverino, ha rischiato di mettere lo zampino nei nostri piani pensando di
azzuffarsi con un altro quadrupede pochi giorni prima.
Arriviamo dalla Mamma-Nonna e subito la Nonna-Bisnonna comincia
con i suoi cavalli di battaglia, sottoposti poi a innumerevoli varianti: «Ma adesso, quando vanno via loro dove la
metti (sottinteso: la Princi)?» e «Stasera
voglio proprio vedere cosa succede».
Invece la Princi, dopo qualche attacco di mammite acuito dall’assenza di Peppa Pig (che indica con
un sonoro grugnito), si è lasciata trasportare dagli eventi. E quindi lo sguardo imbambinito che mi ha rivolto
quando mi ha vista con i tacchi, il vestitino e un trucco un po’ più vistoso
del solito dev’essere stato causato proprio dall’eccezionalità di vedermi così
bardata piuttosto che dallo stordimento per aver capito che sarebbe stata
abbandonata.
Come due fuggiaschi che abbiano appena commesso
una rapina, approfittando di un’uscita in cortile, Lui e io abbiamo imboccato
la porta opposta per dileguarci. Così, in silenzio, senza salutarla. Credo sia stata la cosa che mi è
dispiaciuta di più e che mi pesa anche quando la lascio per andare a lavorare. Mi
pare di ingannarla. E credo lei ne sia consapevole.
Ma intanto eccoci in città, come due fidanzatini. Perché vestiti
e curati come facevamo solo quando ognuno viveva a casa sua e perché da soli. E
questo è un punto dissonante. Perché quando
si è da soli sembra che le carrozzine, i passeggini, i tricicli in giro si
moltiplichino.
Allora nel viso di quel bimbo per mano ai genitori vedi il suo sorriso; ti chiedi
che espressione farebbe se vedesse quei ragazzini che giocano a palla; vedi un
cane e ti ritrovi a chiamarlo “bau” immaginando la felicità dipinta sul suo
viso appena lo intravede.
E allora ti chiedi cosa ci fai fuori senza di
lei. E senti che ti manca qualcosa. Che ne so? Un braccio, una gamba. Un pezzo
di cuore.
Poi vedi che
non sono pensieri solo tuoi ma che la Princi ingombra anche le sue parole. Ti senti
meno strana. E cominci a sentire che questa sera è vostra. Vostra ma pure sua perché
ormai se siamo così è grazie a lei.
Che una serata così mancasse da tanto si è capito sin dal momento in cui ho infilato i tacchi e stavo
per spiaggiarmi sul pavimento. Poi è toccato all’aperitivo: uno spritz aperol che mi ha immediatamente infuocato
le guance e mescolato le lettere nelle mie parole.
La cena, il concerto… tutto è scivolato via rapido, perfetto
soprattutto perché scandito da tanti
discorsi: quelli che non riusciamo mai a condire con la dovuta attenzione perché
interrotti dal verso del lupo che annuncia a Cappuccetto Rosso il suo arrivo
dalle pagine del libro sonoro o dal doversi chinare per raccogliere l’orto di
verdure sparpagliato attorno al seggiolone.
Il tempo, poi, sembrava aver rimesso indietro le lancette. Era la terza volta che vedevamo gli Stadio
e anche se il passare degli anni qualche segno l’ha lasciato, è stato come rivivere
le prime due serate o come rivedermi seduta sul letto a guardare “I ragazzi del
muretto”, più simili a una ragazza-con-i-calzettoni di quanto non fossero
Brenda e Dylan.
Poi è stato un attimo, ma un attimo di angoscia.
Se stava
andando tutto così bene, cosa mi sarei dovuta aspettare una volta a casa?
Nella migliore delle ipotesi, l’indomani mattina mi sarei sentita
i racconti stile “L’esorcista” da parte della Nonna-Bisnonna che con i suoi
soliti «Non ho mai sentito una bimbetta piangere a quel modo» avrebbe
ingigantito qualche frigna e il mio serpeggiante senso di colpa. Nella peggiore
(ma, in realtà, non saprei dire cosa sarebbe stato più devastante emotivamente)
avremmo trovato la Princi ancora bella pimpante e la Mamma-Nonna addormentata e
distrutta accanto a lei.
Niente di tutto ciò. La Nonna-Bisnonna era a letto, la Mamma-Nonna
era in cucina a vedere la tv in modo da
sentire un eventuale risveglio della Princi che, vispa fino alle dieci e mezza,
era poi crollata. Salgo a lavare i denti, a togliere il cerone e quando entro in
camera la vedo seduta sorridente sul lettone fra le braccia del Papi. Ma dura
poco. Spegniamo la luce e appena si appesantisce il sonno la rimettiamo al suo
posto. E, dopo il vaccino di dieci giorni fa, è stata la prima notte in cui ha
dormito di fila.
Che questo
debba suggerirmi qualcosa?
http://youtu.be/oVGZa_r_AU4
p. s: un risvolto negativo, in realtà c’è. Alle notte di sonno
della Princi ha corrisposto una notte di veglia a causa del signor Degas che,
verso le 5, ha iniziato a piangere costringendoci a turno ad alzarci per
buttarlo fuori casa e rimetterlo in casa senza riuscire a stoppare il suo
piagnisteo. Che, ovviamente, ha finito per svegliare la Mamma-Nonna. Ma è stato
un bel momento: ritrovarsi lei, la Princi e io a fare colazione insieme con me
che cercavo di raccontarle la serata e lei che rispondeva facendo facce buffe e
versacci verso la Pallina. Che, poi, si è divertita un sacco a sguazzare nella
vasca piena di schiuma.
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