Visto
che sei muto, |
Lunedì 9 novembre 2020.
Se Zeno Cosini nel più famoso romanzo di Italo Svevo scriveva sul calendario U. S. per indicare il giorno in cui aveva fumato quella che pensava sarebbe stata l'Ultima Sigaretta, I. T. è ciò che potrei segnare io come data da ricordare: Inizio Terapia.
Ma non so se voglio proprio ricordare.
Certo, da giovedì – giorno in cui ho visto la neurologa – a ieri il pensiero è stato costante, come se invece di ingurgitare la pillola stessi aspettando di scartare un regalo. Nonostante questo, ho deciso di rimandare all'inizio della nuova settimana: perchè giovedì sono tornata troppo tardi per poter reperire le pastiglie alla farmacia dell'ospedale, perchè «Nè di venere nè di marte non si sposa e non si parte». Poi c'era il week end, l'ultimo di libertà totale: meglio goderselo.
Per me che già normalmente, durante l'inverno, sono soggetta a sbalzi di temperatura con rossori che neanche una bottiglia di Lambrusco provocherebbe, direi che è una manna.
Tranne...
Tranne ieri sera, durante e dopo l'allenamento casalingo. Gli squat erano intervallati da «mamma, come si scrive...?/mamma, posso guardare sul cellulare una cosa?», il tutto finalizzato alla stesura della letterina a Babbo Natale. Lui era nella camera delle bambine, trasformata in sede distaccata dell'ufficio ora che è in smart working.
E io, dentro di me, urlavo a AM. Che però non rispondeva.
Gli urlavo senza gridare, perchè tanto non può sentire nè rispondere.
Ma farmi incazzare sì, e tanto.
Perchè non lo sento, perchè non capisco se ho l'avampiede completamente appoggiato o no, non mi rendo conto se il piede sia dritto o storto, se non lo guardo posso pensare che nemmeno sia appoggiato al tavolino, che mi serve come appoggio per i bulgarian squat.
Cammino scalza e sento una gommapiuma sotto il piede.
E lui resta muto.
E io mi incazzo sempre di più, perchè penso che magari cammino male e non me ne rendo conto.
E qualcuno dovrebbe dirmelo.
E invece non lo dice nessuno, quindi chissà.
E io allora continuo a camminare, camminare: anche stamattina ho lasciato l'auto davanti alla scuola delle Belve, sono tornata a casa a piedi e tra un'ora ripartirò per andarle a prendere all'uscita.
Non è niente di grave, mi ripeto: riesco comunque a fare tutto ciò che voglio e, buoni propositi a parte, nel bugiardino delle pastiglie non si dice nulla al riguardo di una birra ogni tanto.
Però è vero: sono incazzata.
Impaurita.
Felice: felice che ci siano gli scazzi quotidiani - dei compiti, del lavoro che non c'è, dei sogni irrealizzati, della spesa da fare, il gatto orbo da accudire (sì, anche questa abbiamo avuto sabato) – per non pensare e non ascoltare quello stronzo di AM che sarà anche muto ma se vuole si fa sentire.
Per fortuna, dopo la preoccupazione per come Babbo Natale potrà glissare il coprifuoco delle 22 per consegnare regolarmente i regali (li spedirà con Amazon, hanno detto) c'è stata la diatriba del dente: l'incisivo che sventola solitario al centro dell'arcata superiore della Pulci da ormai diversi mesi, senza che lei si decida a dondolarlo in modo energico e senza permettere a noi di staccarlo. Ci abbiamo provato per tre quarti d'ora. Poi il caso è stato momentaneamente archiviato.
Ma intanto il pensiero è passato dall'alluce al dente, complice anche la pastiglia che nel frattempo avevo preso e che forse invece di scendere è salita.
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