Un anno fa, a quest’ora, avevamo appena parcheggiato e
stavamo salendo le scale dell’università. Non sapevo che, nel frattempo, mamma
avesse telefonato al dottore che si era precipitato con insolita rapidità a
casa ordinando di procurarsi una bombola a ossigeno.
Un anno fa, passate alcune ore in cui la Princi era stata
spupazzata da un parente a un amico fin quasi ai professori, assistevamo alla
proclamazione a dottoressa della zia Cucciolo, cominciando una sequenza di foto
festose con tanto di corona che passava di testa in testa. E, negli stessi
momenti, chissà cosa stesse facendo mamma e se fosse con qualcuno.
Un anno fa, dopo l’ufficialità della laurea, iniziava una serata
in cui, se la festeggiata era appunto la zia, la protagonista era invece la
Princi che si è divertita a completare il cartellone, a ridere a ogni
intonazione di “Dottore, dottore…”, a infiammarsi per ogni ip ip urrà che
veniva lanciato. A cinquanta chilometri di distanza, la nonna ansimava sempre
più affannosamente.
Un anno fa, mentre tornavamo all’auto con la Princi sfinita
nel passeggino e mentre riprendevamo la strada di casa, verso le 23 la nonna si
era alzata per andare in bagno e, di ritorno, si era accasciata, pesante come
un macigno impossibile da sollevare per la sola mamma: che, quindi, aveva chiamato
lo zio. Poco dopo, adagiata nel letto, con un sospiro salutò chi le era vicino.
E mentre il medico legale stava aspettando di vederla uscire per sempre da
quella stanza in cui negli ultimi mesi aveva passato tante ore, noi, appena
rientrati in casa, dovevamo fronteggiare la Princi che si era risvegliata
urlando, piangendo inconsolabilmente con un capriccio che si è poi ripetuto nel
cuore della notte: e solo dopo ho capito che era il suo modo per salutare la
bisnonna.
Grazie alla tecnologia (il cellulare si era attaccato alla
rete slovena), ho saputo cosa fosse successo solo la mattina dopo, e solo
quando già stavo andando a casa di mamma: forse è stato un bene, perché tanto
la sera non avrei potuto far nulla e avrei trascorso una notte ancor più angosciata
di quella che ho passato cercando di frenare i caPrinci. Però il modo in cui ho
avuto la notizia lo ricorderò per sempre. Ormai alle porte della città, la
mamma è riuscita a finalmente a telefonarmi dicendomi di fare con calma perchè «Nonna
non c’è più». Stavo guidando e ho urlato, pianto. Ha pianto anche lei e non
sapendo cosa dire, mi ha passato lo zio: ma dopo poco ho riattaccato. Ogni volta
che percorro e percorrerò quel tratto di strada ricorderò quel momento.
È
trascorso già un anno e di cose ne sono successe parecchie.
La più importante direi che è la tenuta di mamma: tutti temevamo la partenza di nonna perché pensavamo sarebbe crollata. Invece no: si è buttata a capofitto nel
mestiere di nonna forse anche alla ricerca di tutte quelle coccole e dolcezze
che non ha – non abbiamo – ricevuto dalla nonna-bisnonna. La quale, però, fino
all’ultimo momento aveva la Princi nel
cuore, e per ricordarsi il suo nome lo aveva appuntato su un foglietto che
abbiamo ritrovato nel portagioie. Era l’unica che riconosceva in un momento in
cui, precisa e anti-filogattara com’era, non si rendeva neppure conto del gatto
Billy e del signor Degas accoccolati ai suoi piedi per salutarla. E nei giorni
successivi alla sua partenza, quando stendevo la Princi sul fasciatoio per
cambiarla, lei guardava il soffitto e sorrideva, forse riconoscendo in alto il
volto della nonna Carolina che, appena entrava in casa, correva a cercare nella
sua stanza, rimasta chiusa per alcuni giorni. Quando è stata riaperta, la
Princi ha subito chiesto dove fosse: «Qui,
nel tuo cuoricino», le ho risposto prendendole la manina e appoggiandola
sul petto: e ancora oggi, se le si chiede della nonna, risponde così.
Non abbiamo mai saputo
se avesse capito davvero che stava per esserci un nuovo allunaggio e una cosa di cui mi
sono pentita è non averle detto il nome
che avevamo scelto per Briciolina: il nome di sua mamma, una donna forte e
orgogliosa come spero diventi la mia cucciola. Ho pensato a nonna quando ero in
sala parto: ho pensato a lei per convincermi che il dolore che stavo provando
fosse nulla in confronto a quello che deve aver provato lei. Mi è mancato non
vederla in ospedale a conoscere Briciolina, mi fa male pensare che non senta le
sue risate e veda i suoi occhioni: ma in realtà so che sente e vede prima di
noi.
Mi manca? Non lo so, a dire il
vero: in realtà sembra che la vita sia
sempre stata così, senza di lei. E forse in parte è vero: con le sofferenze
che avevano costellato la sua esistenza, aveva in qualche modo tarpato gran
parte degli aneliti di gioia, dei sogni e dei desideri di ognuno, anche il
semplice desiderio di stare insieme creando quella famiglia sfondata in cui mi
trovo tanto a mio agio. E così la vita,
quella fatta di condivisione, amici, pranzi e cene in compagnia, caffè bevuti
al bar per incontrarsi, viaggi, semplici corsi di ginnastica e computer è in qualche modo iniziata da un anno a
questa parte: per mamma senz’altro.
Sembrerò impietosa e ingiusta verso la persona che tanto mi
ha dato e a cui devo tanto: e infatti ritrovo in me molti suoi atteggiamenti, soprattutto
quell’ansia di perfezione per la casa che la contraddistingueva. Ma a dire il
vero, se tante volte sacrifico del tempo con Lui o le bimbe per pulire e
ramazzare, tante altre giro le spalle o, come adesso, mi siedo e scrivo: di
lei, a cui ho voluto e vorrò sempre tanto bene.
E
finalmente, a un anno di distanza, le ho dedicato dei pensieri.
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