mercoledì 22 ottobre 2014

Ciao, semplicemente ciao


Un anno fa, a quest’ora, avevamo appena parcheggiato e stavamo salendo le scale dell’università. Non sapevo che, nel frattempo, mamma avesse telefonato al dottore che si era precipitato con insolita rapidità a casa ordinando di procurarsi una bombola a ossigeno.

Un anno fa, passate alcune ore in cui la Princi era stata spupazzata da un parente a un amico fin quasi ai professori, assistevamo alla proclamazione a dottoressa della zia Cucciolo, cominciando una sequenza di foto festose con tanto di corona che passava di testa in testa. E, negli stessi momenti, chissà cosa stesse facendo mamma e se fosse con qualcuno.

Un anno fa, dopo l’ufficialità della laurea, iniziava una serata in cui, se la festeggiata era appunto la zia, la protagonista era invece la Princi che si è divertita a completare il cartellone, a ridere a ogni intonazione di “Dottore, dottore…”, a infiammarsi per ogni ip ip urrà che veniva lanciato. A cinquanta chilometri di distanza, la nonna ansimava sempre più affannosamente.

Un anno fa, mentre tornavamo all’auto con la Princi sfinita nel passeggino e mentre riprendevamo la strada di casa, verso le 23 la nonna si era alzata per andare in bagno e, di ritorno, si era accasciata, pesante come un macigno impossibile da sollevare per la sola mamma: che, quindi, aveva chiamato lo zio. Poco dopo, adagiata nel letto, con un sospiro salutò chi le era vicino. E mentre il medico legale stava aspettando di vederla uscire per sempre da quella stanza in cui negli ultimi mesi aveva passato tante ore, noi, appena rientrati in casa, dovevamo fronteggiare la Princi che si era risvegliata urlando, piangendo inconsolabilmente con un capriccio che si è poi ripetuto nel cuore della notte: e solo dopo ho capito che era il suo modo per salutare la bisnonna.

Grazie alla tecnologia (il cellulare si era attaccato alla rete slovena), ho saputo cosa fosse successo solo la mattina dopo, e solo quando già stavo andando a casa di mamma: forse è stato un bene, perché tanto la sera non avrei potuto far nulla e avrei trascorso una notte ancor più angosciata di quella che ho passato cercando di frenare i caPrinci. Però il modo in cui ho avuto la notizia lo ricorderò per sempre. Ormai alle porte della città, la mamma è riuscita a finalmente a telefonarmi dicendomi di fare con calma perchè «Nonna non c’è più». Stavo guidando e ho urlato, pianto. Ha pianto anche lei e non sapendo cosa dire, mi ha passato lo zio: ma dopo poco ho riattaccato. Ogni volta che percorro e percorrerò quel tratto di strada ricorderò quel momento.

È trascorso già un anno e di cose ne sono successe parecchie.

La più importante direi che è la tenuta di mamma: tutti temevamo la partenza di nonna perché pensavamo sarebbe crollata. Invece no: si è buttata a capofitto nel mestiere di nonna forse anche alla ricerca di tutte quelle coccole e dolcezze che non ha – non abbiamo – ricevuto dalla nonna-bisnonna. La quale, però, fino all’ultimo momento aveva la Princi nel cuore, e per ricordarsi il suo nome lo aveva appuntato su un foglietto che abbiamo ritrovato nel portagioie. Era l’unica che riconosceva in un momento in cui, precisa e anti-filogattara com’era, non si rendeva neppure conto del gatto Billy e del signor Degas accoccolati ai suoi piedi per salutarla. E nei giorni successivi alla sua partenza, quando stendevo la Princi sul fasciatoio per cambiarla, lei guardava il soffitto e sorrideva, forse riconoscendo in alto il volto della nonna Carolina che, appena entrava in casa, correva a cercare nella sua stanza, rimasta chiusa per alcuni giorni. Quando è stata riaperta, la Princi ha subito chiesto dove fosse: «Qui, nel tuo cuoricino», le ho risposto prendendole la manina e appoggiandola sul petto: e ancora oggi, se le si chiede della nonna, risponde così.

Non abbiamo mai saputo se avesse capito davvero che stava per esserci un nuovo allunaggio e una cosa di cui mi sono pentita è non averle detto il nome che avevamo scelto per Briciolina: il nome di sua mamma, una donna forte e orgogliosa come spero diventi la mia cucciola. Ho pensato a nonna quando ero in sala parto: ho pensato a lei per convincermi che il dolore che stavo provando fosse nulla in confronto a quello che deve aver provato lei. Mi è mancato non vederla in ospedale a conoscere Briciolina, mi fa male pensare che non senta le sue risate e veda i suoi occhioni: ma in realtà so che sente e vede prima di noi.

Mi manca? Non lo so, a dire il vero: in realtà sembra che la vita sia sempre stata così, senza di lei. E forse in parte è vero: con le sofferenze che avevano costellato la sua esistenza, aveva in qualche modo tarpato gran parte degli aneliti di gioia, dei sogni e dei desideri di ognuno, anche il semplice desiderio di stare insieme creando quella famiglia sfondata in cui mi trovo tanto a mio agio. E così la vita, quella fatta di condivisione, amici, pranzi e cene in compagnia, caffè bevuti al bar per incontrarsi, viaggi, semplici corsi di ginnastica e computer è in qualche modo iniziata da un anno a questa parte: per mamma senz’altro.

Sembrerò impietosa e ingiusta verso la persona che tanto mi ha dato e a cui devo tanto: e infatti ritrovo in me molti suoi atteggiamenti, soprattutto quell’ansia di perfezione per la casa che la contraddistingueva. Ma a dire il vero, se tante volte sacrifico del tempo con Lui o le bimbe per pulire e ramazzare, tante altre giro le spalle o, come adesso, mi siedo e scrivo: di lei, a cui ho voluto e vorrò sempre tanto bene.


E finalmente, a un anno di distanza, le ho dedicato dei pensieri.

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