martedì 21 luglio 2020

Senza Mezzi termini

Sono Mona.

Ho cercato a lungo un acronimo diverso, elegante, per esprimere ciò che avevo in testa: ma non ho trovato modo più eloquente per dirlo.

Ieri è stata una giornata storta per le Belve. Unico momento topico, la mattinata, in cui hanno fatto da baby sitter al bimbo di un'amica mentre passeggiavamo in città. E in questo

Sono Meravigliose.

Hanno davvero un talento e ci si applicano. Per cui, quando le vedo così prese dal ruolo, mi chiedo effettivamente perchè non abbiamo avuto il coraggio di una terza Belva. Coraggio che spero ancora di poter instillare in Lui. Lo so:

Sono Matta.

Comunque, passate quelle due ore, il resto della giornata è stato un susseguirsi di dispetti, parole reciprocamente acide seguite da abbracci di Giuda e perle di presunzione tipo «Non dovresti essere tu a gestirci le giornate, a dirci quando dormire e quando fare i compiti».

Sguardo Minaccioso.

E fulminante. Che però non ha sortito molti effetti, visto che quando, a metà pomeriggio, sono andata a fare un massaggio dal fisioterapista per vari cric alla schiena, si sono rotti freni a non finire e poco mancava che trovassi la Mamma-nonna legata e imbavagliata. Ora: io sono cresciuta in un clima da campo di concentramento, dove l'ordine e la disciplina ferrea imposte da mia nonna a tutti erano indiscutibili, ogni volta che giocavo rimettevo a posto, non mi sporcavo, non sudavo, non parlavo se non interrogata, non cantavo, non.... Terribile, a pensarci adesso: quasi da denuncia al Telefono Azzurro. Ma per me era normale, forse al tempo pure rassicurante: peccato che poi, da quasi adulta, sono scoppiata. Parlando con un'amica psicologa, certi comportamenti per me “fuori norma” della Princi le consentiranno di non scaturire. Quindi, me li metto via così come sono, cercando di ricordare che sono per il suo benessere emotivo generale. Però

Sono Mona.

Perchè in queste due settimane ci sono stati momenti in cui non ho valutato l'impatto che la novità della Super Mamma ha avuto su di loro. E quindi ieri, dopo una sfuriata per come si erano comportate, una ramanzina sul fatto che non si devono approfittare di chi vuol loro troppo bene e un'appendice sull'insensata idea di prendere la porta di casa per andare da sole a trovare la zia, mi sono fermata. Le ho guardate dal lettino della Princi dove ero seduta. Serie serie, stavano sistemando dei giochi in camera loro, gli occhi bassi e concentrati.

«Ma, ditemi una cosa: da 1 a 10, quanto siete preoccupate per quello che sta succedendo?»

Si sono aperte le cateratte.

Strette a Me

hanno iniziato a piangere. Perchè faccio tutte queste visite, perchè hanno paura, perchè non sto con loro per andare in ospedale.

Facile dire che non morirò, se non quando sarò molto vecchia.

Che non mi muoverò sulla carrozzina se non fra molti, moltissimi anni.

Chissà loro cosa recepiscono. E chissà quanto riesco a essere credibile quando le rassicuro. Perchè, è vero: sto bene, nulla è cambiato da due settimane a questa parte. Ma chi può sapere cosa succederà e quando? Ed è questo, in effetti, ciò che mi spaventa. Insieme al fatto di dover dipendere da qualcuno, anche solo per accompagnarmi alle visite.

Eppure, anche ieri, mi sono

Stupita di Me.

Ho solo accennato qualche lacrima. Poi ho cercato il modo di farle ridere. Abbracciandole, riempiendole di baci. Qualche ora dopo, incazzandomi di nuovo. Per rassicurarle definitivamente sul fatto che sono la mamma di sempre ho detto che oggi avrei fatto ginnastica. Quindi adesso pubblico il post, metto canottiera e pantaloncini, recupero qualche pesetto e avvio la lezione di tabata. Poi, il resto della mattina, sarò per loro.

Sempre Mamma.

Sempre Matta.

Sempre una Megera.


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