Oggi è una giornata così, simile a quella di più o meno un mese fa.
Il motivo? Sentirmi una ciambella e
vedermi a questo modo, nonostante tutto.
Poi, però, invece che lanciarmi nel vuoto alla “Thelma e Louise”,
son andata al lavoro; e tanto miracolosamente quanto lentamente le cose sono
cambiate. Non perché non mi veda più come una ciambella, ma perché ho avuto
qualcosa da fare e a cui pensare. E perché, a metà mattina, è entrata una
persona che non aveva intenzione di vedere il museo ma solo di salutare me,
così, senza conoscermi, per il semplice fatto di avermi incrociato una sera mentre
chiudevo e aver incrociato oggi il mio sguardo.
E dato che la giornata è così, sarà un po’ così anche questo post
seppure già ieri, quando pensavo di scrivere, immaginavo di comporlo a spot perché
tante sono le cose di questi ultimi giorni di cui raccontare, tutte diverse per
argomento e importanza.
a)
ha una vocina da baritono:
certo, un baritono che, se umano, avrebbe un anno, ma sempre un baritono;
b)
tiene in scacco Mr.
Billy e il Sig. Degas al punto tale che questi, di dimensioni tre volte
superiori, si tengono alla larga dalla porta di casa temendo le sue reazioni.
Ora i casi sono vari: ci stiamo cullando nell’ipotesi di adottarlo
qualora continuasse ad aggirarsi sotto le nostre auto e se riuscissimo a capire
che è un piccolo homeless. Seconda ipotesi è che il legame con i nostri mici
sia più articolato di quanto pensiamo: vedendoci alle prese con un cucciolo
umano (che, fra l’altro, si fa leccare e lecca a sua volta entrambi i felini) Mr. Billy e il Sig. Degas potrebbero aver
deciso di unirsi in un pacs e adottare il piccolo Fritz. Noi non avremmo
nulla da obiettare; la Princi meno che meno. Solo che chi glielo spiega che il
cucciolo è dei suoi fratelloni e non sua proprietà?
Malattie
e sensi di colpa
L’anno vecchio e quello nuovo sono iniziati alla grande: con una
gran bronchite, tanto per capirci. Bronchite che è rimbalzata fra vari membri
della famiglia e che si è trasformata in due settimane di malattia per Lui. Ovviamente,
nel frattempo ho continuato a lavorare anche se ho avuto una puntata di febbre
e anche se da stasera prenderò l’antibiotico. Il tutto ha avuto risvolti anche positivi
nel senso che non siamo dovuti ricorrere all’aiuto delle nonne perché a giocare
con la Princi ci ha pensato Lui: e, per onestà e riconoscenza, bisogna dire che
si è anche applicato nelle pulizie con
discreti risultati.
Perlomeno, si è accorto che non sono io ad essere fissata a girare
ogni giorno con l’aspirapolvere sottobraccio ma che le palle di polvere ci sono
quotidianamente (se non più volte al giorno). Così, usufruendo del suo aiuto,
ho avuto un attacco di egoismo: nel
senso che mi sono spesso resa conto di quanto
poco tempo passi con la Princi, stritolata da impegni domestici vari, lavoro,
qualche mezza giornata dalla mamma-nonna. Attacco di egoismo, dunque? Beh, per un’ora di palestra che mi sono concessa
venerdì mattina dopo due settimane dalla ripresa ufficiale degli allenamenti,
mi sento come se fossi la peggiore delle madri, con sensi di colpa a nastro
alimentati dalla Princi che con sguardi supplichevoli e arrampicamenti sulle
gambe che la portano a calarmi le braghe (con soddisfazione dei vicini) è alla costante
ricerca di considerazione. La zappata
definitiva me la sono data quando mi è venuto in mente che, da
bambina-con-calzettoni, ero così anche io (per il tempo, ovviamente, di cui ho
memoria). Ulteriore zappata me l’ha data
lei due giorni fa quando in auto, girandomi a guardarla, l’ho vista con il
faccino girato verso il finestrino e gli occhi tristi. Ecco: ciò che non vorrei
nel modo più assoluto è che la gioia e la luminosità dei suoi occhi si
spegnessero. Come mi sembra sia accaduto a me.
Per evitarlo, eccomi allora fare la scema e indossare il suo accappatoio di Winnie the Pooh al momento del cambio pannolino (ultimamente fonte di pianti da tragedie greche).
Per evitarlo, eccomi allora fare la scema e indossare il suo accappatoio di Winnie the Pooh al momento del cambio pannolino (ultimamente fonte di pianti da tragedie greche).
Mènage
a trois
Glielo dico spesso: sono convinta che Lui si sia fatto venire la
bronchite apposta in concomitanza con i saldi per procedere a una spending
review. E così, se lo scorso inverno li ho saltati perché ero a livello
cocomero sia prima sia dopo l’allunaggio, ora li ho saltati perché è una vita
che non usciamo. Le gite ai centri commerciali che tanto mi piacciono sono
ridotte a toccate e fuga al supermercato per rifornire il frigo e il reparto
frutta domestico. E chissà, quindi, se riuscirò a rifornire e riammodernare il
mio armadio.
Sensi
di colpa e sensi di coppia
Nonostante siamo stati a più stretto contatto per due settimane (ma
se ci mettiamo il periodo delle feste sono anche di più), la vita di coppia sembra
essersi eclissata. Anzi, no: come ho detto sopra, in realtà anche la vita a tre
sembra essersi eclissata. Sembra agire la legge di Murphy: appena abbiamo
pensato di riprendere ad andare al cinema o a teatro, ecco che la Princi ci
blocca con l’influenza, poi con i denti (non in senso letterale, ovvio) e malanni
vari aleggiano su casa C. Poi, maledizione, c’è il senso di colpa: sicuri che
una volta fuori saremmo solo Lui e io e non anche…l’altra? Tutti ce lo dicono e
pure noi ci pensiamo: avremmo bisogno di un po’ di tempo da soli. Ma mi sento
così tremenda anche solo a pensarci, a percepirla (come ogni tanto capita) come
un peso che non ci permette di fare più le stesse cose di prima o almeno a non
farle come prima. Ma poi la vedo sorridere e rimane solo la felicità che ci
sia.
Bacini,
strofinacci, pancini
In queste settimane la Princi ci stupisce ogni giorno con una nuova
app. Quella più divertente è la app delle pulizie: cerca uno strofinaccio e mi
imita mentre spolvero, pulisco il frigo o il pavimento, cerca di caricare la
lavatrice, mi aiuta a svuotare la lavastoviglie, passa le mollette della
biancheria quando si stende.
E Mr. Billy
la aiuta ad aiutarci.
Poi c’è la app del pericolo: finge di accostare la manina alla
stufa o la sfiora appena e se la porta immediatamente alla faccia con un’espressione
che vale “Uh, come scotta!”. Quindi viene la app del lettone: sedute a fianco
sul lettone, le chiedo se è stanca come la mamma e, al tre, ci buttiamo all’indietro
insieme. Insieme a Lui ha messo a punto la app della lettura: al mattino e la
sera quando beve il biberon della staffa, inizia a indicare i libri sullo
scaffale chiedendo di prenderli per sfogliarli (principalmente i suoi, ma non è
detto). E allora inizia la serie del “dov’è il bau? Dov’è la mucca? Dov’è cra
cra? Come fa la gallina?” E se è in giornata buona ci azzecca.
La app però più
dolce e gratificante è quella del bacino, che usa solo con la mamma. Ha iniziato
quando la cambio e la metto in piedi sul fasciatoio, faccia allo specchio (dove
si rimira vanitosa) per avvicinarsi poi al mio viso e schioccarmi un bacio
sulle labbra. Ma tutto può avvenire anche in modo inatteso: si avvicina rapida al
mio viso, braccio, gamba, per mollarmi un baciotto rumoroso. E lo fa solo con
me, anzi: in realtà anche io vengo dopo Mr. Billy.
Amiche
come prima
Una delle cose più significative di questo periodo è stata lei:
lei che ho ritrovato dopo un lungo silenzio. Lei che è sempre la stessa: piena
di dubbi, di angosce da condividere, di parole giuste al momento giusto. Lei che
era sempre lì e io in qualche momento ne ho dubitato. Fino a quella notte: la notte in cui ho sognato che
suo padre mi diceva che aveva bisogno di me. Ed era così. Allora sono
cominciati giorni di what’s appate interminabili, di indecisioni da parte di
entrambe sul vederci/non vederci. E quando ho suonato il campanello, la casa
era sempre quella: quella delle feste di Capodanno messe su un po’ all’improvviso
ma con tanta voglia di condividere qualcosa; quella fuori della quale rimanevamo
a parlare ore, anche se di più erano le ore passate davanti al cancello di casa
mia. L’unica stranezza era trovarsi lì, una di fronte all’altra, come se ci fossimo
lasciate poche ore prima, e con un argomento di conversazione che non erano i
ragazzi che mi guardano/non mi guardano, sembrano interessati/non lo sono, che
facoltà sceglierò, che lavoro farò; ma erano i bambini: che ci sono/non ci
sono, che li voglio/non li voglio. E detto da due ancora bambine suonava un po’
strano.
ComplePrinci
I preparativi proseguono. Complice la malattia e l’impossibilità
alla fuga, sono riuscita a costringere Lui a condividere certe decisioni: che
torta fare, cosa preparare, se e come farci aiutare dalle nonne. Purtroppo il
grosso deve ancora venire nel senso che la fase operativa spetta tutta a me. Così,
dopo aver gironzolato alla ricerca della sala, in questa settimana dovrò
ottimizzare i tempi per sfruttare le ore libere dal lavoro e:
a)
andare a prenotare
la torta;
b)
consegnare gli
inviti (realizzati su internet e arrivati ieri);
c)
comprare le tovaglie
di carta;
d)
comprare qualcosa di
carnevalesco da indossare Lui e io in occasione del complePrinci;
e)
fare la spesa;
f)
preparare qualche
addobbo.
Detto così pare poco, anche perché sicuramente mi è sfuggito
qualcosa; ma dovrò incastrare il tutto con il normale lavoro più un lavoro
supplementare in programma proprio questa settimana, più la gestione della
Princi tra le nonne. Dimenticato qualcosa? Ah, sì: dovrei anche studiare. Ma questo
al momento sembra essere un optional.
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