domenica 10 maggio 2020

agorafobia

Quella appena trascorsa sarebbe dovuta essere la settimana delle visite familiari.
Abbiamo atteso il sabato e la domenica per andare dai nonni che non ci vedevano/non vedevano le belve da due mesi circa.
La mamma-nonna da giorni mi ammoniva perchè ancora non eravamo andati da loro. E io immaginavo questo momento pregustando la gioia nei loro occhi rivedendo le bimbe e li sentivo coprirle con frasi di circostanza tipo «Come siete cresciute! Come siete grandi! Quanto ci siete mancate!»

E invece tutte queste frasi sono rimaste dietro le mascherine che, improvvisamente, hanno schermato anche i loro occhi. Niente gioia. Solo comprensibile freddezza e distanza.
Inizialmente, per darci la forza di superare questo periodo di durata indefinita, ci eravamo illusi che – alla fine – ne saremo usciti tutti più buoni, più affettuosi, migliorati. Invece, almeno al momento, siamo impauriti, titubanti, diffidenti verso ciò che si può fare, cosa si può toccare, dove si può andare, chi si può vedere.
Ammettiamo pure che le direttive, ora più che mai, non sono univoche e che, paradossalmente, sarebbe forse stato più semplice non poter fare nulla e, da un certo momento in poi, poter fare tutto.

Perchè adesso siamo nel Limbo, una terra di nessuno in cui ognuno interpreta i decreti a proprio piacimento.
Ed è umano: perchè indossare le mascherine sotto il sole battente, con il timore di svenire e il mal di testa incipiente (almeno: è ciò che accade a me) non deve diventare la regola.
Stare a distanza di sicurezza dagli altri, non potersi abbracciare, non deve trasformarsi in normalità.
Andare in bar a ritirare un cappuccino per berlo da soli, per strada, è tanto glamour da vedere nelle commedie americane ma non può diventare la regola (soprattutto perchè i caffè italiani non sono i beveroni anglosassoni che comunque adoro!).
Entrare in un ristorante e parlare con un cameriere che indossa guanti e mascherina è qualcosa che mi guarderò bene dal fare. E mi dispiace,perchè so che l'economia deve ripartire e se non verranno adottate queste precauzioni non si potrà fare altrimenti, ma, PERSONALMENTE, non mi sentirei a mio agio a essere servita in questo modo.

Non sarebbe NORMALE.

E non intendo che non sarà il normale di prima, ma intendo che non voglio diventi questo il normale d'ora in poi.
Forse diventerò agorafobica e non vorrò più uscire dal nostro salotto, ma la diffidenza, l'appiattimento dei sentimenti dietro guanti e “tappi” per la bocca mi frena. Davvero appena riapriranno bar, locali, hotel le persone si precipiteranno fuori? Da un lato me lo auguro per i titolari delle attività, ma ci credo poco.
Avremo paura.
Chi di una cosa, chi di un'altra.
Nè ora nè all'inizio di questa vicenda ho mai avuto temuto veramente il contagio: se sto attenta a non toccare gli altri o a tenere le distanze, è per rispettare le regole e chi mi circonda. Ciò che mi spaventa è il diffondersi del timore, di un'atmosfera sospettosa in cui non si sa come agire per non invadere le paure e le preoccupazioni degli altri.
Ma vivere lontani, comprare qualcosa senza vedere i volti di chi vende, rivedere qualcuno senza vederlo...questo è ciò che non mi piace e mi spaventa.
Come persona e come mamma.
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