Cara Briciolina,
scusa per il ritardo con cui ti scrivo queste righe, che
dovevano essere di buon compleanno. E invece, sono già trascorse tre settimane.
Imperdonabile.
Come imperdonabile è il poco tempo che ti ho dedicato finora e
che tu stai cercando di recuperare.
Prepotentemente, come lo dovessi prendere tutto in una volta.
Scusa: perché se
per il primo ritardo posso dire che ho cercato di farmi prendere, a volte
lasciandomi travolgere, da questo nuovo e sempre temporaneo lavoro (quindi,
dirai tu: perché fasciarsi la testa?) per il secondo le scuse non esistono. Sono
solamente legate a una fragilità, allo
spaesamento provato quando sei arrivata e non avevo idea di come vivessero
insieme due sorelle, di come potessi aiutarvi ad amarvi, se sarei riuscita ad
amarvi entrambe della stessa quantità di amore, se avremmo prima o poi trovato
un equilibrio che andasse a sostituire quello il tuo allunaggio aveva buttato all’aria.
Fragilità da spavento.
Un terrore in
cui la gioia per il tuo approdo ha spesso rischiato di perdersi facendomi
ascoltare i consigli di chi era intorno a noi e che ho ascoltato se collimavano
con ciò che mi diceva chi – a mio avviso – aveva il diritto di darli questi
consigli perché titolato: i pediatri. E allora ho seguito chi diceva di non
dover trascurare “la prima”, di darle più attenzioni rispetto a quelle che
potevo dare a te.
Balle.
Perché, come ha detto un’amica, la puoi girare come vuoi: la mamma è sempre una. Ma, forse, qualcosa di buono l'ho fatto: è un'illusione che provo quando tu e la Princi vi cercate, vi abbracciate, vi preoccupate l'una dell'altra, vi date la manina per camminare.
Così, ti ho persa. Perché
mugugnavi da mattina a sera e non ne capivo il motivo, presa com’ero dal ruolo
di mamma-chioccia che però non ti ascoltava e dimenticava di sorriderti.
E così sono dovuti passare due mesi perché, guardandoti dormire
sulla sdraio delle terme, vedessi quanto eri bella, dolce.
Mia.
Anzi: che fossi mia l’ho capito subito, chiamandoti “amore” non
appena ho sentito il tuo strillo, acuto, penetrante. Proprio come quelli che
costellano i tuoi attuali capricci. E ti hanno appoggiata su di me, piccola
ranocchietta dalla testa nera, piena di quei capelli che poi raccoglievo con la
spazzola levapelucchi dal cuscino del lettino che diventava nero a ogni
risveglio.
Ti ho persa,
ma mi sono anche persa. Come l’arrivo della Princi, il tuo,
Briciolina, è stato un vero turbine da cui forse solo ora ci stiamo
riprendendo.
Grazie a te e alla tua simpatia. Alle tue smorfie divertenti, ai
tuoi pianti sfibranti, ai tuoi continui gesti di affetto, ai tuoi capricci che
prosciugano ogni energia in entrambe. Perché alla fine cedi e dici “Tisa
(scusa), mamma!” con una voce da Winnie Pooh che poi subito mi si
accoccola addosso.
E mi
sciolgo.
E mi scioglierei anche prima: è difficile tenere il punto con
te, Briciolina, per colpa dei tuoi occhioni spaziali, grandi perle scure
custodite da una conchiglia di preziose, lunghissime ciglia. E per colpa dei
tuoi riccioletti, invidiabili, ingovernabili, profumati anche quando li
impiastricci con il sugo o chissà dio cosa.
Buona vita, Briciolina.
Come ho a suo tempo sperato per la Princi, mi auguro che tu non perda mai la gioia che vive nel tuo sguardo. E che
tu possa conservare la spiritosa intraprendenza e cocciutaggine che hai, perché
sola ti porterà lontano. Da noi, credo. Purtroppo.
Anche se per noi sarai sempre la nostra piccola, che ci
sorprende se scende da sola le scale di casa, se chiede di fare pì nel water,
se vuole bere il latte e tit (Nesquik) dalla tazza di Elsa.
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