E ieri la Princi ha compiuto nove mesi. Cavolo, il tempo vola:
non passa giorno che non ricordi quanto era piccola nella culletta trasparente
vicino a me, di come mi sentissi estranea a lei guardandola, dello sguardo
felice di Lui quando me l’ha appoggiata al viso per la prima volta, dello sguardo
felice della dottoressa C. mentre mi diceva «È bellissima».
Non
sapevo dove mi avrebbe portato questo post: ho iniziato a scrivere senza aver
le idee chiare di cosa dire. Ma, ora che ho iniziato a farlo, so bene cosa scrivere.
Partiamo dall’ultimo ricordo che
ho qui riportato: la dottoressa C. che
mi sorride.
Ma potrei anche dire l’ostetrica A. che parla affettuosa del
mio pancino; l’ostetrica D. che
accende la musica per accompagnarci nel corso preparto; l’ostetrica S. che improvvisa disegni dell’utero per spiegarci cosa
sta succedendo al nostro corpo; l’ostetrica
E. che risponde seria a Lui che sì, se ci sarà lei, al momento del parto
potrà stare davanti e non alle mie spalle; l’infermiera
che mi porta premurosa una tazza di tè; la
puericultrice che, nel cuore della notte, mi salva dall’alluvione di
cacchina santa prodotta senza freno da quella ranocchietta di neanche 3 chili
sdraiata di fronte a me; la signora
delle pulizie che, a ogni turno,
si avvicina alla culletta minacciandomi affettuosamente di portarsi via la
Princi, unico fiocco rosa in mezzo a sei maschietti; e, alla fine di quattro
giorni densi di emozioni ma mai troppo lunghi per darmi l’impressione di essere
pronta a spiccare il volo con il mio piccolo uccellino, l’ostetrica R. che mi chiede se mi sono trovata bene.
Devo essere sincera: in questi nove mesi ho cercato ogni pretesto
per tornare nel Punto Nascita dove è atterrato il mio shuttle. I controlli
della Princi quando eravamo in attesa del pediatra, la visita a quaranta giorni
dal parto, l’amica neo mamma e quella che lo sta per diventare… avevo una paura
folle al momento di lasciare l’ospedale con il mio fagottino rosa: paura di non
farcela, di non essere all’altezza, ma soprattutto paura di lasciare quel nido protetto in cui mi sono sentita amata,
accudita, presa per mano da (quasi) tutti i
medici, ostetriche, infermiere. Come se il neonato di cui prendersi
cura non fosse la Princi ma io: perché non
era nata solo una bimba ma, insieme a lei, una mamma. Anzi: con noi sono
nate tante altre mamme, tutte impaurite, piene di dubbi, domande. Ma, tutte, accudite
con uguale affetto, simpatia e, soprattutto, competenza. Ovvio: ci sono poi le
eccezioni. Non fatti gravi, ma a ognuna è capitato un “neo” di fronte al quale,
comunque, abbiamo poi riso assieme. Perché è nato anche questo: una conoscenza
fra navicelle madri che, in alcuni casi, sta continuando.
Ecco:
la battaglia che si sta combattendo, in modo sempre più agguerrito, per
mantenere in vita il Punto Nascita in cui è atterrato il mio shuttle mi provoca
una grande amarezza. Perché, come al solito, a pagare le conseguenze
della crisi, di scelte politiche discutibili, e di chissà che altro c’è dietro
sono sempre le persone, presenti e, in questo caso, future. Ma è anche una battaglia che mi ha fatto conoscere e vedere tante mamme agguerrite, pronte a schierarsi e scnedere in prima fila per mantenere qualcosa in cui credeono e a cui tengono.
A poche ore dal parto e per tutti questi nove
mesi ho pensato che vorrei essere mamma una seconda, magari chissà, pure una
terza, …, ennesima volta: e l’ho pensato anche per potermi ri-immergere nel
clima ovattato e rassicurante di quel reparto. Se dovessi cambiare
aeroporto per il prossimo shuttle, …, beh, devo ammettere che mediterei bene se
far iniziare un nuovo volo. Perché vorrei ritrovare e riprovare quello che ho
trovato e provato la prima volta. Perché
penso che ci siano altri modi per risparmiare e razionalizzare, non giocando sempre
e comunque con la vita delle persone (e del personale) né con le rotte seguite
dalle cicogne.
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