giovedì 1 novembre 2012

nove mesi di emozioni

 

E ieri la Princi ha compiuto nove mesi. Cavolo, il tempo vola: non passa giorno che non ricordi quanto era piccola nella culletta trasparente vicino a me, di come mi sentissi estranea a lei guardandola, dello sguardo felice di Lui quando me l’ha appoggiata al viso per la prima volta, dello sguardo felice della dottoressa C. mentre mi diceva «È bellissima».
Non sapevo dove mi avrebbe portato questo post: ho iniziato a scrivere senza aver le idee chiare di cosa dire. Ma, ora che ho iniziato a farlo, so bene cosa scrivere.
Partiamo dall’ultimo ricordo che ho qui riportato: la dottoressa C. che mi sorride.
Ma potrei anche dire l’ostetrica A. che parla affettuosa del mio pancino; l’ostetrica D. che accende la musica per accompagnarci nel corso preparto; l’ostetrica S. che improvvisa disegni dell’utero per spiegarci cosa sta succedendo al nostro corpo; l’ostetrica E. che risponde seria a Lui che sì, se ci sarà lei, al momento del parto potrà stare davanti e non alle mie spalle; l’infermiera che mi porta premurosa una tazza di tè; la puericultrice che, nel cuore della notte, mi salva dall’alluvione di cacchina santa prodotta senza freno da quella ranocchietta di neanche 3 chili sdraiata di fronte a me; la signora delle pulizie che, a ogni turno, si avvicina alla culletta minacciandomi affettuosamente di portarsi via la Princi, unico fiocco rosa in mezzo a sei maschietti; e, alla fine di quattro giorni densi di emozioni ma mai troppo lunghi per darmi l’impressione di essere pronta a spiccare il volo con il mio piccolo uccellino, l’ostetrica R. che mi chiede se mi sono trovata bene.
Devo essere sincera: in questi nove mesi ho cercato ogni pretesto per tornare nel Punto Nascita dove è atterrato il mio shuttle. I controlli della Princi quando eravamo in attesa del pediatra, la visita a quaranta giorni dal parto, l’amica neo mamma e quella che lo sta per diventare… avevo una paura folle al momento di lasciare l’ospedale con il mio fagottino rosa: paura di non farcela, di non essere all’altezza, ma soprattutto paura di lasciare quel nido protetto in cui mi sono sentita amata, accudita, presa per mano da (quasi) tutti i  medici, ostetriche, infermiere. Come se il neonato di cui prendersi cura non fosse la Princi ma io: perché non era nata solo una bimba ma, insieme a lei, una mamma. Anzi: con noi sono nate tante altre mamme, tutte impaurite, piene di dubbi, domande. Ma, tutte, accudite con uguale affetto, simpatia e, soprattutto, competenza. Ovvio: ci sono poi le eccezioni. Non fatti gravi, ma a ognuna è capitato un “neo” di fronte al quale, comunque, abbiamo poi riso assieme. Perché è nato anche questo: una conoscenza fra navicelle madri che, in alcuni casi, sta continuando.
 
Ecco: la battaglia che si sta combattendo, in modo sempre più agguerrito, per mantenere in vita il Punto Nascita in cui è atterrato il mio shuttle mi provoca una grande amarezza. Perché, come al solito, a pagare le conseguenze della crisi, di scelte politiche discutibili, e di chissà che altro c’è dietro sono sempre le persone, presenti e, in questo caso, future. Ma è anche una battaglia che mi ha fatto conoscere e vedere tante mamme agguerrite, pronte a schierarsi e scnedere in prima fila per mantenere qualcosa in cui credeono e a cui tengono.
 
 A poche ore dal parto e per tutti questi nove mesi ho pensato che vorrei essere mamma una seconda, magari chissà, pure una terza, …, ennesima volta: e l’ho pensato anche per potermi ri-immergere nel clima ovattato e rassicurante di quel reparto. Se dovessi cambiare aeroporto per il prossimo shuttle, …, beh, devo ammettere che mediterei bene se far iniziare un nuovo volo. Perché vorrei ritrovare e riprovare quello che ho trovato e provato la prima volta. Perché penso che ci siano altri modi per risparmiare e razionalizzare, non giocando sempre e comunque con la vita delle persone (e del personale) né con le rotte seguite dalle cicogne.

 

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