Eccomi
qui.
Mi
sono alzata alle 4.20, ero sveglia dalle 3 credo.
Non
so perchè.
Non
ho pensieri particolari: se non che continuo a ingrassare, che vorrei
non mangiare, che sto trascurando le bimbe, che sto trascurando Lui,
che sono nervosa, stanca, che non sono coerente nel comportamento con
ciò che cerco di insegnare (ma c'è qualcuno che lo sia?).
Beh,
in effetti mi pare già sufficiente per svegliarsi in piena notte.
Penso
alle tante cose che vorrei fare senza riuscirci: e forse, se ne
facessi solo una di questa interminabile lista, le cose potrebbero
andar meglio.
Scrivere.
Cavolo:
è da quando ero adolescente, da quando potevo immaginare recensioni
che iniziavano con «Questa
giovanissima scrittrice»
che mi scorrono nella mente frasi del romanzo della mia vita, poi di
quella degli altri. Ma scorrono: e a volte sono così veloci che non
riesco a catturarle, o non trovo mai il giusto tempo per mettermi
seduta a pensarci, o mi lascio deviare dalla fatica che comporterebbe
scrivere veramente.
Fatica
emotiva, mentale.
Eppure
so che dovrei svuotarmi, che magari così riuscirei a sciogliere
questo nodo che sento costantemente dentro, questa insoddisfazione
perdurante, questo desiderio di fare pulizia di sentimenti
ingombranti.
E
allora intanto scriviamo qui sul blog.
Di
questo periodo difficile per la ripresa del lavoro, per la
riorganizzazione di tempi e spazi che hanno stravolto la routine
imponendo una quotidianità più faticosa, arrancante, che si è
arricchita di soddisfazioni (non moltissime a dire il vero, ma alcune
significative) e di nuove persone.
Ne
abbiamo risentito tutti di questi nuovi ritmi, con week end
completamente stravolti e passati scollegati, pomeriggi incentrati
quasi esclusivamente sui compiti, mattinate impostate sul ritmo di
continui «Forza che facciamo tardi!» e musi/capricci per il poco e
brutto tempo passato insieme.
Spesso
in questi mesi ho sperato di essere una mamma da copertina, di
quelle da “Come fa a far tutto?” sempre pimpante, allegra e
capace di non far pesare la casa da sistemare, gli incastri da
organizzare, la spesa da riordinare.
Credo
di non esserci mai riuscita.
Ho
troppo spesso privilegiato la facciata rispetto al sentimento vero,
l'organizzazione di feste che forse nemmeno ricorderanno e di
pomeriggi con le amichette che mi sono costati qualche sclero per le
pulizie pre e post gioco.
Ho
cercato di continuare a essere una mamma che risponde,
racconta, spiega, anche il perchè sia tanto importante lavorare. Non
sempre sono riuscita ad ascoltare, guardare, vedere cosa stesse
succedendo, a non arrabbiarmi o urlare. Mi sono detestata per tutto
questo e continuo a farlo.
Senza
contare la sensazione di disfatta per il tempo che mi sta
sfuggendo dalle mani mentre loro crescono: cosicchè tra poco lo
sporadico «Sei la mamma più peggiore del mondo!» non verrà
blandito da «Ma sei la più bella delle mamme» così come «Odio la
famiglia» (entrambe perle della Pulci) manterrà una sua perdurante
stabilità.
Spero,
per scaricarmi la coscienza, di non essere stata così terribile
come sembro secondo il mio implacabile metro di giudizio.
Il
dubbio, però, è di esserlo stata ancor di più. Anche perché loro hanno continuato a regalarmi emozioni.