Scrivo, altrimenti perdo anche questo
come tanti altri attimi.
In questo ultimo mese, ovviamente in
coincidenza con l’avvio della scuola, la ripresa della mia collaborazione
(molto lenta e sporadica, vabbè: ma per me è sempre un impegno mentale), la
ricerca di un attività principesca pomeridiana, la ricomparsa dei pidocchi, un
periodo di briciolesche e inspiegabili notti in bianco... sono finalmente iniziati i lavori alla casa della mamma-nonna. Non ne
ho ancora mai parlato in modo disteso.
Dunque, il la è venuto da Lui in
risposta ai taciti interrogativi su cosa avrebbe fatto la mamma-nonna in una
casa tanto grande e dispendiosa a livello di bollette. Tra le varie ipotesi:
venderla per farla avvicinare a casa nostra in un appartamento, oppure vendere
noi e cercare una casa vicino a lei. O, infine, modificare la casa esistente
per viverci tutti assieme. Orbene. Sono subito nati dei quesiti dovuti al fatto
che:
a.
persino il sacerdote che ci ha sposati durante
il corso prematrimoniale ha caldamente sconsigliato una convivenza con i
suoceri, di qualsiasi parte fossero;
b.
nei miei pensieri, ho sempre rifiutato
quella casa e mi sono sempre opposta a chiunque dicesse che «la soluzione
migliore per tutti è che ci andiate a stare voi».
Ma, ovviamente, come per molte altre
scelte compiute, ho risposto garibaldinamente: «Obbedisco». Come ha
detto qualcuno, ho preso una decisione adulta; senza pensare che già al
momento dell’acquisto di quella casa era stato il mio giudizio a pesare facendola
comprare perché – anche quella volta, a tredici anni – avevo compiuto una
scelta adulta sollevando gli altri membri della famiglia da un pensiero
ulteriore a quelli, pesanti, che già c’erano. Ora la decisione adulta era sapere
che è un bene stare vicino alla mamma-nonna per le necessità di tutti e che una
casa con il giardino è un paradiso per le belve: che infatti vogliono farci uno zoo, con tanto di giraffa che parla.
A parte questo, a parte il mio distacco indifferente
dei mesi scorsi – anche perché impegnati nello svuotamento della casa e la ricerca
di spazi, per quanto piccoli, per la mamma-nonna nel nostro appartamento – è
subentrato il malumore di quest’ultima.
Ma non ho capito perché. Credo non lo sappia neppure lei. Parlandone con Lui, ho
chiarito nella mia mente che ci sono due diversi livelli della questione.
Quello razionale, per cui ci
sarà un’ottimizzazione delle spese e del tempo oltre che una vicinanza positiva
sia dal punto di vista logistico che affettivo.
E un livello emotivo, che
purtroppo tende ora a prevalere. A me ha fatto sempre rifiutare quella casa
proprio per il motivo di cui sopra: è
come la visualizzazione del momento esatto in cui sono stata costretta a
diventare adulta, mentre dal punto di vista sentimentale “la” Casa, la MIA Casa, era e continuerà
per sempre a essere quella in cui sono cresciuta, quella in cui non conoscevo
i problemi degli adulti, quella in cui vivevo come Laura della “Casa nella
prateria”, immaginandomi protagonista di mille splendide avventure. La casa
nuova, invece, è stata subito associata a momenti cupi, che me la facevano
osservare da fuori con ribrezzo per l’ipocrisia dei suoi muri bianchi,
luminosi, a contrasto con il pesante grigiore che assaliva chiunque entrasse. Come
se sull’ingresso fosse scolpito il dantesco «Lasciate ogni speranza o voi che
entrate».
Tuttavia, proprio perché ormai
anagraficamente dovrei aver ben varcato la soglia dell’età adulta, ho
accettato. Ma non mi sono lasciata troppo invischiare da come sarebbe stato il
portone d’ingresso, la distribuzione delle camere, il tipo dei serramenti. Era ed è ancora Lui a decidere e pensare a
tutto, ed è fantastico nel farlo. Se qualche decisione l’ho presa – perché mi
è toccato – è stata in qualche modo pilotata, dopo giorni in cui mi ripeteva
cosa avrei dovuto scegliere. E non solo perché quando mi parlava dovevo fronteggiare
caprinci e dondolare Briciolina mentre spadellavo e rimescolavo pentole.
Tuttavia ora qualcosa sta cambiando.
I lavori sono entrati nel vivo, una
situazione spinosa si è risolta grazie a un mio contributo, è iniziata l’eccitante
fase di scelta di piastrelle, mobili e affini tanto che lunedì abbiamo mollato
le belve alla mamma-nonna e alla cuginetta G. per scegliere cucina e cameretta.
E mentre la ragazza del mobilificio
progettava parlando di ante, cappa, controsoffitti, la mia mente immaginava la vita
in quelle stanze. Con le bimbe ormai adolescenti. A litigarsi
i trucchi appoggiati sul bordo della scrivania e scambiarsi cappotti e
minigonne prese a prestito nell’armadio dell’altra. «Forse servirebbe anche un
comò», ho azzardato pensando allo spazio per i collant e per i segreti che
dovranno difficilmente nascondere ai miei occhi. E quelle piccole porzioni di
parete lasciate libere dalla selva di mobili di cui le abbiamo circondate le ho
viste intrise di poster (ma andranno ancora di moda?), cartoline di spettacoli,
biglietti di concerti.
Poi ci ho pensate in cucina, appollaiate
sugli sgabelli a ridosso del bancone a bere il caffelatte una accanto all’altra.
Adesso, lo ammetto, non vedo l’ora di vederci
vivere in quei nuovi spazi.
Noi quattro, la mamma-nonna nella porta
accanto, Mr. Billy e il signor Degas e magari il cane Banana sognato dalla
Princi.
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