In
questi giorni, risistemando il blog e rileggendo i post di un anno fa, mi è
sembrato di compiere un tuffo nel passato: in
un passato remoto, in una vita precedente. Una vita in cui eravamo in due e
ci sembrava che bastassimo l’uno all’altra; una vita in cui se decidevi di
rimanere fuori potevi farlo senza dover passare in rassegna il contenuto della
mitica borsa viola che ora ci sta più azzeccata della fede nuziale.
Una vita che a suo modo era completa ma ora lo è di
più.
Sembra passato
un secolo da quando, più o meno un anno fa, andavo in cerca di pigiami per me,
ero preoccupata di non aver ancora preparato la borsa per l’ospedale, dovevo
sorvegliare gli idraulici che ci stavano smontando e rimontando casa, cercavo
la prima tutina per la Princi. Vedere ora le tutine per pulcini di un mese mi
riempie di tenerezza e mi fa pensare a quel fagottino imbronciato che, ora, sorride quarantotto ore al giorno
mostrando compiacente la sua bocca sdentata.
Meraviglia delle meraviglie.
Eppure…
Eppure
continuo a essere una mamma a metà,
presa dalle mie fisime, da un (a volte) malcelato desiderio di annullamento da
cui purtroppo neanche i suoi baci-slinguazzata
riescono a distogliermi. E così perdo
tempo: perdo tempo a pensare a me e a come evitare pranzi, cene e i
prossimi, minacciosissimi, pranzoni/cenoni delle feste da cui – Princi causa –
non potremmo assolutamente esimerci. Anzi:
a dirla tutta forse potrei pure svicolarla, nel senso che l’importante è che
non manchi lei.
Vabbè. A parte
questo, ultimamente sto lavorando moltissimo e mi dispiace. Lui mi direbbe che
non sono mai contenta, che se non avessi lavorato avrei desiderato farlo e
probabilmente è vero. Ma chi immaginava
che procedendo i mesi sarebbe stato sempre più doloroso staccarsi da lei?
Se ci si mette poi che, tornata a casa,
dovrei pensare a rendere abitabile il nostro nido, magari ogni tanto preparare
da mangiare… E se – ma questo rientra negli optional remoti – si pensa che sarebbe bene avere degli spazi per sé
che, nella fattispecie, vorrei convertire in ingressi in palestra, che dovrei
studiare per il concorso a cui mi sono iscritta, che vorrei dare un senso ai
pellegrinaggi a Trieste fatti quando ero una navetta madre pubblicando qualcosa
basato sulle ricerche fatte…
Insomma: di quante ore dovrebbe essere la giornata?
Ciò che vorrei
veramente e prima di tutto sarebbe dedicare più tempo a lei e solo a lei,
senza guardarla attraverso lo straccio per la polvere o mentre la trascino con
il seggiolone per seguire me e l’aspirapolvere. Però, per avere la casa
presentabile senza che a pulirla ci pensi lei con il suo sederino-swiffer, dovrei appaltare la Princi a qualche nonna, ben
felice di prestarsi ma… sarebbe sempre tempo senza di lei.
E’ un gatto che si morde la
coda, giusto per adattare i modi di dire a quei due
fenomeni che condividono con noi lettone e lettino. Lo so: è una situazione
vissuta da tutte le mamme, acrobate fra lavoro-casa-famiglia-desiderio di
dimostrarsi perfette (e quindi: atletiche, ben curate, ben vestite,
rilassate)-impegni sociali-e chissà che altro.
Da sfinimento,
insomma. E infatti baratterei volentieri il periodo pranzoni/cenoni natalizi
con un viaggio: magari di nuovo a Marsa Alam, dove siamo stati in due e vorrei
tornare in tre. Per ora, con infiniti sensi di colpa, mi accontento di un viaggio sul lettino dell’estetista
dove mi farò torturare per un’ora con una pulizia del viso.
In fondo,
lavorare ha come pro la possibilità di farsi questi regali.
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