sabato 10 novembre 2012

bimbe che arrivano, bimbe che restano


In questi giorni, risistemando il blog e rileggendo i post di un anno fa, mi è sembrato di compiere un tuffo nel passato: in un passato remoto, in una vita precedente. Una vita in cui eravamo in due e ci sembrava che bastassimo l’uno all’altra; una vita in cui se decidevi di rimanere fuori potevi farlo senza dover passare in rassegna il contenuto della mitica borsa viola che ora ci sta più azzeccata della fede nuziale.

Una vita che a suo modo era completa ma ora lo è di più.

Sembra passato un secolo da quando, più o meno un anno fa, andavo in cerca di pigiami per me, ero preoccupata di non aver ancora preparato la borsa per l’ospedale, dovevo sorvegliare gli idraulici che ci stavano smontando e rimontando casa, cercavo la prima tutina per la Princi. Vedere ora le tutine per pulcini di un mese mi riempie di tenerezza e mi fa pensare a quel fagottino imbronciato che, ora, sorride quarantotto ore al giorno mostrando compiacente la sua bocca sdentata.
Meraviglia delle meraviglie.

Eppure…
Eppure continuo a essere una mamma a metà, presa dalle mie fisime, da un (a volte) malcelato desiderio di annullamento da cui purtroppo neanche i suoi baci-slinguazzata riescono a distogliermi. E così perdo tempo: perdo tempo a pensare a me e a come evitare pranzi, cene e i prossimi, minacciosissimi, pranzoni/cenoni delle feste da cui – Princi causa – non potremmo assolutamente esimerci. Anzi: a dirla tutta forse potrei pure svicolarla, nel senso che l’importante è che non manchi lei.
 
Vabbè. A parte questo, ultimamente sto lavorando moltissimo e mi dispiace. Lui mi direbbe che non sono mai contenta, che se non avessi lavorato avrei desiderato farlo e probabilmente è vero. Ma chi immaginava che procedendo i mesi sarebbe stato sempre più doloroso staccarsi da lei? Se ci si mette poi che, tornata a casa, dovrei pensare a rendere abitabile il nostro nido, magari ogni tanto preparare da mangiare… E se – ma questo rientra negli optional remoti – si pensa che sarebbe bene avere degli spazi per sé che, nella fattispecie, vorrei convertire in ingressi in palestra, che dovrei studiare per il concorso a cui mi sono iscritta, che vorrei dare un senso ai pellegrinaggi a Trieste fatti quando ero una navetta madre pubblicando qualcosa basato sulle ricerche fatte…
Insomma: di quante ore dovrebbe essere la giornata?
Ciò che vorrei veramente e prima di tutto sarebbe dedicare più tempo a lei e solo a lei, senza guardarla attraverso lo straccio per la polvere o mentre la trascino con il seggiolone per seguire me e l’aspirapolvere. Però, per avere la casa presentabile senza che a pulirla ci pensi lei con il suo sederino-swiffer, dovrei appaltare la Princi a qualche nonna, ben felice di prestarsi ma… sarebbe sempre tempo senza di lei.
 
E’ un gatto che si morde la coda, giusto per adattare i modi di dire a quei due fenomeni che condividono con noi lettone e lettino. Lo so: è una situazione vissuta da tutte le mamme, acrobate fra lavoro-casa-famiglia-desiderio di dimostrarsi perfette (e quindi: atletiche, ben curate, ben vestite, rilassate)-impegni sociali-e chissà che altro.
Da sfinimento, insomma. E infatti baratterei volentieri il periodo pranzoni/cenoni natalizi con un viaggio: magari di nuovo a Marsa Alam, dove siamo stati in due e vorrei tornare in tre. Per ora, con infiniti sensi di colpa, mi accontento di un viaggio sul lettino dell’estetista dove mi farò torturare per un’ora con una pulizia del viso.

In fondo, lavorare ha come pro la possibilità di farsi questi regali.

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