mercoledì 9 novembre 2011

pronti a partire; o no?


Ormai siamo nel settimo mese. Lo so: solo pochi post fa avevo scritto di essere nel sesto, ma i conti dei giorni e delle settimane mica li ho tanto chiari neanche ora, so solo che il mio conteggio partiva dalla data inizialmente segnata dalla ginecologa sul “fascicolo principessa”, data che però - all’ultima visita - cozzava contro il numero delle settimane con cui è stato aggiornato l’opuscolino. E chissà cosa verrà fuori al prossimo incontro.

Comunque, dettagli a parte, come si legge e sente dire ovunque, dal settimo mese in poi si deve essere pronte a tutto; anzi: pronti a tutto, perché in questo countdown sono coinvolte molteplici figure. Innanzitutto Lui che, lasciatosi contagiare dal mio timore/sicurezza che la ballerina voglia sfrecciare sul palcoscenico della vita prima del tempo, già da mesi ha iniziato a martellarmi con tono minaccioso: «Tra poco sarà meglio che prepari la borsa». L’ansia è cresciuta quando, la scorsa settimana, siamo andati insieme a un incontro per futuri genitori in cui ho esplicitamente chiesto alla mitica ostetrica T. cosa infilare nell’altrettanto mitica borsa per l’ospedale.

Domanda che ha aperto un altro dei tanti mondi paralleli che si spalancano nell’universo “neonati & affini”.

Per cercare di placare timori vari e avere l’impressione di essere sempre un po’ più pronti (o, almeno, con un’incombenza in meno da spuntare dalla lista delle “cose da fare”), oggi sono riuscita a trascinare la mamma/nonna in giro per negozi e centri commerciali: solo due in realtà, ma la missione è stata talmente impegnativa (beh, in termini di ore siamo state effettivamente fuori una buona mezza giornata) da darmi l’impressione di aver compiuto il giro del mondo.

La frustrazione, peraltro, è stata massima per entrambe.

Riuscire a trovare una camicia da notte o un pigiama con bottoni che costi meno di 40 – 50 euro ma sia dignitosamente giovanile e un minimo allegro sembra sia più difficile che – rimanendo in tema infantile – scegliere il trio più rispondente ai propri bisogni. In tacito accordo, entrambe avevamo accantonato l’idea di procurarci qualcosa per la prima delle tre zone della valigia di cui ha parlato l’ostetrica T., vale a dire la zona travaglio, la zona post parto e la zona bimbo. Se il suo consiglio è stato infatti di usare una maglietta slabbrata, consunta e/o bisunta che, prima di passare dall’armadio di Lui al cassonetto della Caritas, può conoscere un ultimo momento di gloria dando il benvenuto alla principessa, personalmente ho invece pensato di dare una botta di vita (probabilmente l’ultima) a quelle camicie da notte estive che non ho mai usato ma che, essendo appartenute alla zia, potranno farmela sentire tanto più vicina in quei momenti. E se si rovinano, pazienza: andremo oltre.

Alla fine di un pellegrinaggio che ha avuto al suo attivo l’indicibile mal di piedi della mamma/nonna, la riduzione delle mie gambe a budino grazie anche ai continui segni di dissenso della principessa di fronte a ciò che vedevamo, gli unici accessori (leggi: strumenti di tortura) che siamo riuscite a reperire per l’assemblaggio della valigia sono stati due: il detergente intimo che più post partum non si può e, per rimanere “in zona”, i “canotti” ultra lunghi, ultra spessi, ultra ingombranti («già questi ti riempiono la borsa»: ha sentenziato la mamma/nonna) cui pare sia assolutamente indispensabile fare ricorso nei primi giorni del puerperio.

Una goduria, insomma: mi sembrerà di essere seduta su una sedia gestatoria. Ma ormai, a quel punto, sarà bellamente finito il momento in cui tutti dicono quanto la gravidanza renda meravigliosa una donna: si sarà passati, per fortuna, ad ammirare la causa di tanta precedente quanto passeggera bellezza.

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