Ormai ci siamo.
Il borsone del mare, che in realtà
non è stato molto sfruttato quest’anno, sta per essere riposto in maniera
definitiva. Nell’aria l’odore di solari è stato sostituito da quello di matite,
grembiulini e libri in attesa di essere rivestiti.
Avrei voluto rendere speciale l’ultima estate di libertà della Princi
e della Pulci, per la quale si prospetteranno comunque almeno altre due tornate
di vacanze totally free. E queste settimane noi tre sole, insieme, me le sto
godendo interamente, nel bene e nel male di qualche momento di sclero
collettivo.
Stiamo cercando di non far pesare l’inizio della primaria:
per quello ci sono sempre gli altri, pronti con la solita infilata di «quando
cominci?/adesso finisce la pacchia!/stai facendo il conto alla rovescia?».
Noi ci limitiamo a rispondere alle
sue perplessità su come si svolgeranno le giornate o cerchiamo di “istruirla”
spiegandole che a ricreazione per mangiare la merenda non starà seduta al
tavolo e che potrà chiedere alla maestra di andare in bagno chiedendole «Posso uscire?» anziché dicendole «Devo fare la pipì»; e che poi, una
volta fuori dall’aula, dovrà far tutto da sola, senza la bidella ad aiutarla.
Sarà un grosso, enorme cambiamento per lei e spero di
aver fatto la scelta giusta senza sovraccaricarla di responsabilità che lei,
comunque, cerca anche di prendersi. Come quando, a sua volta, spiega alla Pulci
che se non mangerà gli gnocchi «O mangi questa minestra o salti dalla finestra»,
e che ci saranno pure lo yogurt e la banana, elencandole quindi i cibi che di
solito evita con cura.
E, in tema di “Wind of change”, ormai due mesi fa avevo
scritto, con i vecchi metodi di penna e foglio di carta, un po’ di righe sui
prossimi cambiamenti. È il momento di trascriverli, prima che vada tutto perso.
Il 30 giugno sarebbe stato una sorta di D-Day, un ultimo
giorno globale: di casa “vecchia”, di città “vecchia”, di asilo, di Mamma e
Pulci da sole, di una routine rodata di orari, luoghi, persone. Quindi, ecco ciò
che avevo scritto.
Un pomeriggio primaverile in casa nuova, work in progress |
Siamo all’ultimo giorno.
Ultimo
giorno di molte cose.
Di una casa che è stata la nostra, la prima.
Quella che ha conosciuto le mie
paure: di diventare adulta, di non sapere come essere “coppia”, di come
prendermene cura.
Di una casa che si è ristretta e
allargata a seconda del momento.
Che ci ha visti crescere
diventando “Noi” e in cui siamo diventati famiglia.
Che ha condiviso, silenziosa, un
periodo difficile.
Dove vi siete annunciate e vi
abbiamo conosciute.
Che è stata esplorata dalle
vostre manine e testate.
Su cui resteranno scritti i
segni delle vostre altezze.
Che ha sentito le vostre risate,
sopportato i capricci, conosciuto le vostre lacrime, che vi ha viste ballare,
abbracciarvi, picchiarvi, disegnare, cucinare.
Dove ti ho vista crescere,
imparare a divertirti senza di noi, a socializzare e aprirti al mondo, restare
talvolta ai margini. Dove sei entrata piccolissima con la mia paura di abbandonarti
e sei uscita che già sai scrivere.
È l’ultimo giorno di te e me, Pulci.
La mattina da inventarci, i tuoi
capricci da gestire. Gli angoli della città che hai imparato a conoscere e che
ora lasceranno spazio a nuove routine. L’ultimo pranzo sole, tu e io. Poi, da
settembre ci saranno i pranzi Princi e io. E sarà una nuova quotidianità, mai
uguale come mi aveva scritto un amico cinque anni fa.
«Perché dobbiamo trasferirci sabato?»
Mi hai chiesto ieri con le
lacrime agli occhi, Princi, prima di addormentarti. Vorrei tanto essere
riuscita a rassicurarti ma non so se ne sono stata capace: mi assomigli troppo
per non essere spaventata, in questo momento, quanto lo sono io.
Ma quando ti ho detto che
troverai altri amici ero sincera. A scuola succede: succede che trovi amici che
porti con te tutta la vita, nel cuore e non solo. E il fatto che la tua scuola sarà la mia mi fa ben sperare.
Che tante cose belle
succederanno non posso, purtroppo, garantirtelo. Ma non te lo dirò. Almeno, non
a voce.
Spero perdonerete la follia di
questi giorni, in cui poco mancava vi togliessi i piatti da sotto il naso per
impacchettarli o vi facessi uscire senza mutande perché già vi aspettavano
nella casa nuova.
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