Ieri: il
nostro anniversario di matrimonio,
la prima sera delle belve sole con gli zii.
Ieri: nella mia città degli immigrati hanno preso a sassate un cigno sulla riva del fiume, pare solo
per passare il tempo. Ieri: a Nizza,
un nuovo attacco terroristico, decine di morti, feriti, un panico
incommensurabile.
Oggi: la
festa per i quarant’anni di attività
del papà-nonno. Oggi: una valanga di commenti su facebook su quanto accaduto. Per
entrambi i fatti. Oggi: ho deciso di accendere finalmente la tv per guardarmi un telegiornale, cosa che non
faccio da mesi. Oggi: ho sentito l’urgenza
di scrivere, perché non posso ignorare ciò che è successo e, per farlo, devo
uscire dal rincorrersi di “mamma, ho sete! mina (=mammina, in emmese), mina,
mina! cappa pipì! mina, mio pancino tanta fame (in perfetto Masha style)” in
cui sono involtolata da mesi, anche piacevolmente.
Ho postato
qualcosa anche io a proposito del cigno. Non me la sento di commentare quanto
accaduto a Nizza. Ma è da qui che ho percepito la necessità di uscire dalla
mammitudine, da un commento di un’amica che ha tristemente scritto come in momenti simili quasi si penta di aver
avuto dei figli.
Pure io. Ma non perché abbia paura per loro. Può sembrare innaturale e stupido. La mia
paura nasce dal non sapere come crescerle. Perché non voglio che si abituino al clima di odio che sento montare tutto
attorno nei confronti degli stranieri. Non voglio che abbiano timore di salire su un treno perchè
potrebbe esserci un unico binario a un certo punto del loro viaggio. Non voglio
che decidano di rinunciare a un’università
all’estero o a comprarsi una maglietta al centro commerciale che dista
dieci chilometri da casa perché ci
potrebbero essere degli attentati. Vorrei invece riuscire a far capire loro che
il male c’è, purtroppo sì. Ma c’è, purtroppissimo, dappertutto. Chi invoca pene
di morte, lavori forzati o simili per gli stranieri che hanno martoriato il
cigno non pensa a quanti – italiani, cattolici – torturano gli animali, anche i
propri: e anche in questo caso, lo fanno per il gusto di far qualcosa. Proprio come
i ragazzini che deteriorano i giochi del parco con scritte oscene o che urlano
fino a notte fonda sotto casa (nostra) e lasciano immondizie ovunque. E sono
italiani. Vorrei che avessero fiducia
negli altri ma fossero anche dotate di antenne per tenersi lontano da falsi
amici. Vorrei che non dovessero mai
conoscere il dolore e la sofferenza ma anche che fossero capaci di aiutare
chi ha bisogno e soffre. Vorrei che fossero
in grado di ragionare sempre con la propria testa, senza lasciarsi
trascinare dall’opinione altrui. Vorrei che fossero in grado di difendersi, con le parole, con i fatti, se ne avessero
bisogno. Vorrei vivessero in un mondo in cui anche gli altri siano rispettosi. Perché
il timore maggiore è che crescano sensibili fra persone che non lo sono.
Nota: sono
parole scritte di getto, con il cuore in mano. E purtroppo non riviste perché i
cinque minuti di uscita dalla mammitudine sono scaduti...
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