giovedì 12 marzo 2015

motherhood secondo me


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Bollettino di guerra:
giovedì notte: mamma –con  – calzettoni si trasforma in mamma - con  - bacinella - al – seguito
venerdì: mocci che iniziano a colare e mamma – con – calzettoni che inizia ad essere tramortita dal mal di gola
sabato pomeriggio: Lui steso sul divano con bacinella non solo a uso soprammobile
lunedì pomeriggio: Princi con alterazione e Briciolina con naso inizialmente colante
da martedì a oggi: nasi che colano, tosse continua, febbrine 
Bene. Aggiungiamoci lo scoramento, le notti in bianco, la stanchezza… E, tanto per tirarmi su, Lui ieri sera facendo zapping si imbatte in “Motherhood. Il bello di essere mamma”, pellicola del 2009 con l’incasinatissima ma costantemente affascinante mamma Uma Thurman e, per papà, il pacatissimo e distante Anthony Edwards, compianto Dottor Green di ER.
Ed è di questo che vorrei scrivere. Perché se il film ha avuto l’indubbio merito di tenermi sveglia fino alle 22.45, e se in alcuni momenti mi ha fatto sorridere perché ha proiettato sullo schermo situazioni ed emozioni che si manifestano quotidianamente anche nella casa – con – i calzettoni, a ben vedere è piuttosto improbabile. Questa mamma che vive in un appartamento rispetto al quale il nostro sembra la reggia di Caserta non solo per dimensioni ma pure per pulizia e ordine; che deve organizzare – nelle sue intenzioni – la festa perfetta per il sesto compleanno della figlia maggiore e deve ancora comprare tutto l’occorrente per farlo; che ha un figlio piccolo stile ameba, che dove lo mette sta e quindi se lo trascina senza che lui batta ciglio... beh, questa mamma, riordina la casa solo per togliere i residui della colazione, peraltro l’unico pasto della giornata; questa mamma, che seguiamo proprio nella giornata del compleanno della sua piccola, non solo riesce a rifornirsi di ciò che le serve per il mini party (io, tanto per dirla, avevo iniziato a far la spesa due settimane prima e sono arrivata in affanno comunque) e addobbare la casa, ma trascorre la mattina a fare shopping con le amiche dopo aver portato il bimbo al parco giochi e aver affrontato varie discussioni con cafoni variamente incontrati per strada. E se già per fare tutto ciò, la giornata di una mamma normale si sarebbe dilatata da 24 a 48 ore, lei, senza battere ciglio, trova pure il tempo per sedersi – che sia al giardinetto, sulle scale durante la festa della figlia o alla scrivania di casa -, accendere il computer e pubblicare continui post a commento della sua giornata. E così, da 48, le ore della giornata sarebbero passate a 72. Perché è vero, ora sto scrivendo: ma sarebbe stato più opportuno e forse salutare per me dormire visto che la notte è stata costellata dai colpi di tosse di Briciolina e che, come testimonia il bollettino di guerra iniziale, tutta la settimana è stata (e continuerà a essere) dura. Comunque è vero: si tratta di un film, quindi cosa aspettarsi?
Però a qualcosa è servito: farmi pensare cosa significhi per me essere mamma.
Essere mamma è come vestire i panni di un’acrobata: non per la miriade di cose da incastrare per far funzionare tutto, ma per il timore che qualcosa vada storto e loro stiano male, si facciano male, qualcuno faccia loro del male. Mi fa sentire come una Penelope alla guerra: perché ogni giorno bisogna combattere per lavare i denti, i capelli, bere il latte, finire ciò che è nel piatto, vestirsi non con i sandali in dicembre.

E’ una vertigine continua, un infinito viaggio sulle montagne russe che ti fa passare dall’esaltazione per un abbraccio inaspettato e un “ti voglio tanto bene!” sussurrato sul vater (nel momento del bisogno?!) allo sbigottimento per capricci con strilla e batti piedi che non si sa da cosa sia stato innescato, al senso di colpa per essere stata troppo dura, per aver fatto volare una mano o una parola fino al timore di star sbagliando tutto perché tio chiedi da dove vengano quelle bambine. Essere mamma è un puzzle i cui pezzi si combinano ogni giorno in modo diverso: perché oggi puoi lavare prima la grande, domani devi lavare di urgenza la piccola sopraffatta dalla cacchina santa e tu chissà quando potrai fare la doccia; e se anche non connetti finchè non bevi il caffè, il tuo lo bevi all’ora di pranzo perché prima devi scaldare il latte a una, poi preparare il bibe all’altra e mandare al lavoro Lui. Essere mamma è sostituire la musica degli U2 con le sigle di Peppa Pig e Olivia, le serate a teatro e al cinema con le apparecchiature notturne del tavolino da gioco. Essere mamma è dare ancor meno importanza al tuo look di quanta ne dessi prima, scoprire che il tuo guardaroba è la metà di quello delle piccole: e quando sei finalmente fuori da sola e potresti fare shopping, invece che entrare nella catena che tanto ti piace, senza sapere come ti ritrovi davanti ai negozi per bambini. Essere mamma è confondere i nomi di conoscenti e amici con quelli dei protagonisti dei cartoni animati e pensare siano i tuoi vicini di casa. Essere mamma significa credere che un cavallo stia correndo accanto alla vostra auto e che una giraffa si stia affacciando alla finestra del salottow. Essere mamma significa scoprire come sarebbe stato avere una famiglia con un papà e una mamma, avere un fratello o una sorella. Essere mamma significa capire a posteriori frasi e comportamenti che bisognerebbe ricordare per non ripeterli: essere mamma è un esercizio di memoria e un atto di fede per il futuro.

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