Non è stata una scelta semplice: non ci ho dormito per settimane. Ho soppesato pro e contro, ho fatto un tuffo nei ricordi, seppur recenti, e ho cercato di immaginare il futuro.
Anche la mia ginecologa, quella che ha sempre
avuto una parola e un gesto gentile quando aspettavo la Princi, quella che si è
fermata oltre all’orario di lavoro per vederla nascere, anche lei se n’è andata
dal reparto. Complice l’incertezza sul destino del Punto Nascita, la prospettiva
di un accrescimento professionale, lo stress provocato da continue polemiche e
botta-risposta su ciò che sarà.
Purtuttavia, la visita per avere la conferma di questa
nuova gravidanza l’ho fatta da lei, ma storcendo il naso. Era la terza
volta che andavo in quell’ospedale e come ogni volta mi sono persa: una volta
andando, una volta tornando, una volta all’interno, una volta – quando la
Princi aveva l’otite – ci siamo persi tutti e tre nel tragitto dal Pronto
Soccorso alla Pediatria. Ricevendo poi un trattamento discutibile: perché
secondo chi ci ha “accolto” (parola troppo gradevole per l’atteggiamento usato)
noi eravamo lì perché la bimba piangeva senza trovare pace. Non perché aveva
l’otite che poi le hanno riscontrato.
Ma a farmi storcere il
naso sono state una serie di altri motivi: andare
in un ospedale “non mio”, più simile a un aeroporto che a un nosocomio;
sentirmi un numero fra numeri da smaltire; dover attendere un’ora e mezza prima
di essere visitata.
No: quel partificio non fa per me.
Ne avevo anche già
parlato con la dottoressa C. dicendole che spostandosi mi aveva messo in una
forte crisi di coscienza dato che, se era vero che con lei mi ero trovata bene,
era altrettanto vero che mi ero trovata perfettamente a mio agio con il personale
del reparto: ostetriche, infermiere, persino con la signora delle pulizie che
ogni giorno diceva di volermi rapire la Princi, unica femminuccia fra sette
maschietti.
Devo essere onesta: a
farmi desistere dall’idea di un parto in trasferta sono state anche l’idea di
essere inserita in un sistema di visite e controlli piuttosto rigido e che mi
avrebbe chiesto il costante uso di un navigatore per arrivare a destinazione e,
non ultimo, l’aumento della parcella della dottoressa: che, fra l’altro,
sarebbe una botta di … troppo esagerata se anche questo giro fosse in zona allo
scattare dell’ora X.
E qui sono entrati in
campo i ricordi. Lei che a ogni controllo sapeva quanto penoso fosse per me
l’incontro con la bilancia; lei che cercava di dissipare le mie paure per il
peso e la pancia che aumentavano; lei che mi diceva di non dar retta a chi
diceva di non mangiare questo o quello durante il corso pre parto; lei che mi
era vicina durante l’allunaggio e mi incitava contraddicendo l’ostetrica E.
dicendole che ero bravissima; lei che ci ha abbracciati e baciati entrambi (Lui
e io) una volta vista la Princi, subito dichiarata “bellissima”.
Però poi ho ricordato
anche il corso in piscina; le ostetriche
sempre sorridenti e disponibili che ti conoscevano per nome; l’ostetrica A. che
a ogni monitoraggio guardava con tenerezza quello che chiamava “il mio
pancino”; l’atmosfera di familiarità che mi ha reso per certi versi
difficoltoso il giorno delle dimissioni e che rendeva invece piacevole ogni
visita e controllo.
Ma poi, com’è giusto, alle considerazioni sentimentali sono
subentrate quelle pratiche, anch’esse condite di ricordi. La maggiore
vicinanza alla Mamma-nonna, anche lei soggetta a peregrinazioni in tutta la
regione prima di raggiungere l’ospedale-aeroporto; la maggiore vicinanza a
tutti, che così potranno nuovamente inondare la camera appena sarà compiuto
l’allunaggio; la possibilità per la Princi di venire immediatamente a conoscere
il suo nuovo coinquilino/a (possibilità rigidamente negata nell’altro
ospedale); e poi, a dirla tutta, un buon incentivo è stato sapere che il dottor
C (quello che mi voleva rispedire a casa senza essersi accorto che avevo perso
le acque) non è più nell’organico dei medici.
Il resto poco importa. Non importa se il/la Pulci
nascerà di qua o di là da un confine che non esiste più e che attraverso quasi
quotidianamente per pannolini, pizza o vestiti. Se servirà, lo attraverseremo
anche per vederlo e conoscerlo: e così sarà ancora più libero/a da valichi
mentali di quanto non siamo noi.
E al di là di tutto
questo, il motivo per cui voglio comunque nascere a Gorizia è uno.
Perché è la mia città e ci sono affezionata, anche se a volte la denigro per la
sua indolenza e per il suo scarso entusiasmo.
Il/la Pulci non è e
non sarà meno importante della Princi, seguita con visite private; ma visto che
durante la sua gravidanza e la sua nascita tutto è andato liscio conto sia così
anche in questo caso.
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