giovedì 13 giugno 2013

appalto con colpa



Ultimamente sono successe tante cose: dentro e fuori di me, dentro e fuori la Princi e me, dentro e fuori la Princi, me e Lui.

sandaletti da...casa della mamma-nonna
Sono successe tante mostre, incontri, serate, in cui la Princi ha catalizzato l’attenzione e avrei potuto raccontare la storia dell’orso anziché rispolverare il manuale di mitologia per fare citazioni dotte. Sono successe ma oggi ho riflettuto che bisogna metterci dei paletti: perché farsi conoscere va bene, stringere nuovi possibili agganci lavorativi va bene, ma che lavorativi siano. Alias: mettiamo da parte il lavoro pro bono. Sebbene mi piaccia e mi elettrizzi tutto questo, sebbene veda che l’impressione sia quella della ruota che finalmente sta girando,  tuttavia so che stare con la Princi e con Lui è di gran lunga più importante e benefico per il mio spirito. Per cui, ok: presento, curo, scrivo, allestisco ma d’ora in poi cerchiamo di fare in modo che la lontananza da loro fruttifichi in qualcosa di diverso dalla sola gratificazione.
Sono successe più lezioni di aerobica e sedute di palestra. Circa un mese fa ho rivisto alcuni passaggi del film “Sex and the City”: rimasta inaspettatamente incinta poco tempo dopo aver adottato la tenera Lily, Charlotte decide di non dedicarsi più allo jogging per timore di interferire con questa gravidanza tanto a lungo sognata e desiderata. Preoccupato, il marito ne parla con Carrie che si precipita a trovare l’amica per “strattonarla”, facendole capire che la corsetta quotidiana a Central Park è parte ineliminabile di Charlotte; che Charlotte È lo jogging a Central Park. E lì ho avuto una visione: ho capito quanto sia importante per me muovermi, che dopo quindici anni di danza e quasi altrettanti di iscrizione in palestra non potevo/dovevo rinunciare a qualcosa che, è vero, a volte coltivo solo dar seguito al pensiero di DOVER zampettare per smaltire il gelato della sera prima. Ma, anche in quel caso, muovermi e incontrare delle persone diverse da quelle che frequento/vedo abitualmente mi lascia un senso di benessere mentale e fisico. Quindi: da un paio di settimane mi sono imposta di andarci almeno due volte a settimana.

Il problema è solo uno: a chi lasciare il senso di colpa per l’abbandono della Princi?

E così ecco la terza cosa che è successa. Sono due giorni che appalto la Princi alle nonne. Che, ovviamente, sono felici di stare con lei, di vedere i suoi quotidiani aggiornamenti di espressioni, borbottii, paroline, imitazioni gestuali (ossia: ciò che vede fare, subito ripete). Ieri la questione era più soft nel senso che l’appalto alla mamma-nonna è andato dalle 10 alle 15.30 e, a parte la palestra, era motivato anche da una visita.

pettinando la nonna-bisnonna
Oggi la questione è diversa.

Dato che Lui aveva un impegno in zona nonna2, ho pensato potesse depositare il pacchettino infiocchettato in gonnellina di jeans già di prima mattina: così sarei potuta andare in palestra e dar fondo alla montagna di panni accatastati nell’armadio in attesa di essere stirati. Ovviamente, quando ne ho parlato con lui mi ha detto che sarebbe stata un’ottima idea; quando ho chiesto alla nonna2 e alla zia Cucciolo di prolungare la loro disponibilità oraria di baby sitteraggio (era infatti già programmato il pomeriggio dato che avrei lavorato) c’è stato un sì entusiastico.

Ma io da ieri ho cercato mille modi per giustificarmi: pensando che se metto in stand by la modalità mamma per una decina di ore dopo starò ancora meglio con lei; che comunque un motivo sarebbe stato prendermi cura della casa senza farlo mentre la Princi mi trotterella intorno in cerca di attenzioni; che ci sono tante mamme che “abbandonano” i loro piccoli per studiare/lavorare lontano da casa, per mandarli in ferie con nonni/zii; che comunque fra due settimane andiamo in vacanza e staremo cheek to cheek ventiquattr’ore al giorno, completamente al suo servizio.

Eppure non è bastato: è vero che in tutta la giornata non c’è stato un momento in cui mi sia seduta per riposare, ma non sarei nemmeno riuscita a farlo perché la mente era sempre e solo su di lei. E non perché sia preoccupata che sia stata male, o non si sia divertita: so che avrà giocato, cantato e saltato come una cavalletta.

Il pensiero, la sensazione è che mi manca l’aria. Sentire il completo silenzio in casa, dover preparare il pranzo solo per me, sedermi a tavola da sola, fare i lavori di casa da sola non è stato com’era a.P.: ante Princi. Lei mancava: era un vuoto reale, in cui a momenti ho avuto la tentazione di girarmi e dire “Bau” a qualcuno di invisibile perché avevo appena visto un cane in tv. In fondo, mi sono anche detta, se lavorassi a tempo pieno dieci ore fuori casa e lontano da lei ci dovrei stare comunque e molto più spesso.

Però il fatto che la mattina, appena sveglia, non dica più “Mamma!” ma “Mao!” per salutare il signor Degas mi impensierisce.

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