Con gli ormai canonici dieci giorni di scarto esistenti fra la vita
reale e il resoconto nel blog, eccomi a raccontare dei tre giorni di vacanza che ci siamo concessi. Evento di per sé degno
di nota e festeggiamenti sia perché significa che siamo riusciti a far
combaciare periodi di ferie/non lavoro facendoli peraltro collimare, cosa senz’altro
più eccezionale, con un periodo in cui
la Princi era in buona salute.
Forse troppa.
Ora: avere un bimbo per una persona tendenzialmente programmata in
modalità office per ogni minimo aspetto dell’esistenza
è qualcosa di oltremodo destabilizzante. Non solo perchè raffreddori, febbri,
vaccini, malattie esantematiche possono far saltare programmi anche a breve
scadenza. Ma soprattutto perché hai la
malsana, corrosiva presunzione di controllare tutto ed essere tesa come un mazzo
di corde di violino nella speranza che fili tutto liscio. Ovvero: che la
bimba dorma; che la bimba sia tranquilla in modo da permetterti di riordinare,
cucinare, docciarti, truccarti in pace; che la bimba non faccia capricci quando
uscite; che non si sporchi quando mangia; che non faccia le linguacce in
prossimità di vigili urbani o altre forze dell’ordine; che a fine giornata
decida pressochè spontaneamente di imboccare la strada del letto.
Se una sola di
queste cose in lista riesce, è già tanto.
I giorni trascorsi con la Princi sono stati bellissimi e
faticosissimi. A cominciare dalla preparazione
della valigia dove ovviamente lo spazio destinato a lei supera di gran
lunga quello occupato dalle cose di Lui e mie messe insieme. Perché una brava
mamma mette le sue cose dopo quelle della bimba e quindi, se i centimetri di bagagliaio scarseggiano,
via il rasoio per depilarsi e dentro lo
scaldabiberon: che tanto il marito ce l’hai già, quindi puoi anche rimanere
allo stato brado.
Poi c’è la sistemazione post
vacanza: e nonostante siano passati dieci giorni l’armadio trabocca di
panni da stirare con, ovviamente, quelli che si sono aggiunti dopo il ritorno
che hanno affossato quelli delle mini ferie.
In mezzo ci sono stati tre
giorni in cui la Princi ha dato il meglio di sé in fatto di relazioni sociali.
Complice un’organizzazione a buffet di
colazione e cena, mattina e sera vagava per la sala da pranzo dell’albergo per
conoscere uno per uno i cento (forse più) piccoli ospiti. E le cameriere:
finendo poi ad abbracciarne una come la conoscesse e non ricordasse da dove è
sbucata.
Poi le public relations si sono estese alle piscine e pure alla camera,
dove la Princi, ad ogni ingresso, andava a parlottare al telefono: e credo sia
pure riuscita a comunicare con la reception.
Inseguirla perché non si facesse
male e/o venisse rapita e/o sparisse arginando nel contempo i suoi capricci
avrebbe richiesto, per riprendersi, una nuova vacanza, questa volta a due.
Ma vederla giocare e comunicare a suo modo, in maniera molto più
spigliata di noi, con bimbi e adulti di ogni lingua, osservarla gioiosa di
fronte alla mucca, dubbiosa di fronte allo starnazzare delle oche e affascinata dal suo primo incontro con il
mitico elefante è stato una ricompensa sufficiente.
Anche perché non
sapevamo cosa ci avrebbe aspettati al ritorno.
Forse abituatasi con troppa facilità alla presenza di entrambi,
forse ancora con depositi di stanchezza da smaltire, i primi giorni sembrava ci fossimo riportati a casa un alieno. Capace
di placarsi solo all’aria aperta, la Princi piantava dei capricci
indescrivibili. E se noi sulla strada del ritorno pensavamo a come arginarla anche
in vista delle prossime ferie di luglio per farla stare un po’ di più e un po’ più
composta a tavola, ci siamo trovati a
fare i conti con qualcosa di irrefrenabile.
Una piccola
peste pronta all’urlo, alle lacrime e ai contorcimenti ad ogni minimo no.
Difficile riuscire a rimanere impassibili e a mantenere la stessa,
dura, linea di condotta. I problemi maggiori si sono posti, infatti, nei giorni
trascorsi dalla mamma-nonna dove la nonna-bisnonna è pronta a trasformare in tragedia
all’ennesima potenza ogni minima frigna, figurarsi un capriccio colossale. Quindi
mi sono trovata a gestire contemporaneamente tre situazioni a rischio:
la Princi che, stufa di stare nel
seggiolone, si rotolava a terra per essere presa in braccio ed essere messa in
piedi sulla panca mentre finivamo di pranzare;
la mamma-nonna che rivolgeva sguardi e sospiri
di pena verso la Princi e sguardi e sospiri di rimprovero verso di me aggiungendo,
tanto per essere chiara, che lei trovandosi da sola non l’avrebbe mai fatta piangere;
la nonna-bisnonna che all’infinita serie di “Uh!”
di riprovazione agganciava delle rassicurazioni nei miei confronti perché faccio
bene a non dargliela vinta.
Perché è questa la battaglia peggiore. Chiedersi ogni minuto se sto
facendo bene, se non sia troppo dura, ricordando le volte in cui i capricci ero
io a farli e ho odiato chi mi lasciava lì a rotolare.
Poi c’è la
Princi.
Che in questi giorni mi ha fatto capire cosa vuole.
Vuole me. Presente. Efficiente. Tutta per lei. Almeno per mezz’ora
alla volta. Almeno per il tempo in cui non sono al lavoro.
E allora la scorsa settimana prima di fiondarmi nel riassettare la
casa e sparecchiare la colazione mi sono lasciata portare dove lei voleva: perché
ora viene da me e mi prende per mano mettendomi davanti al foglio e alle
matite, alla fattoria di pezza popolata da improbabili elefanti e Winnie Pooh
in pigiama.
Le caprigne (capricci-frigne)
sono rientrate o, perlomeno, sono diventate più gestibili.
E ci siamo dati delle spiegazioni. Oltre a dover premere per il
riposino pomeridiano (a costo di fuggire dalla casa della mamma-nonna per
addormentarla in auto e sperare che prosegua una volta a casa) ci siamo resi
conto che la Princi ha affinato il fiuto
da segugio: sa con chi può tentare e chi cederà. Le nonne neppure si
contano; è il papi quello che preoccupa: perché tanti capricci sono determinati
dal voler replicare un divertimento fattole provare da Lui e che, per varie
ragioni, rientra nei miei no.
E rientrerebbe pure in quelli di Lui, se non fosse che oltre ad avere
affinato la capacità di psicologa, la Princi
ha anche sviluppato una memoria notevole.
Sarà mica stato
merito dell’elefante?
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