mercoledì 20 febbraio 2013

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Dire “quand’ero bambina” fa pensare a un’epoca chiusa, lontana: e anche se è così, anche se mi sono resa conto che sia così proprio in questi giorni, meglio cominciare in altro modo.
Anni fa, oltre ad averlo letto e aver visto lo sceneggiato tv, guardavo il cartone animato ispirato al libro “Cuore”. La sigla, nella quale (stranamente) non riecheggiava la voce della star musicale per l’infanzia di quel tempo, diceva: “Ricordo ancora il primo giorno a scuola/le mie matite e i pennarelli blu”. La musica di sottofondo, così come il testo della canzone, parlavano di un mondo passato, diverso.

E’ da quando ho avuto la notizia della sua partenza che queste parole mi riecheggiano nella mente e ho capito solo ieri, quando lo salutavo, il motivo. Con Lui se n’è andato un mondo. Con Lui se n’è andata la nostra infanzia. A Lui sono legati molti nostri ricordi. A Lui dobbiamo il fatto di essere ancora qui, dopo oltre vent’anni, a interessarci l’uno all’altro.

E allora dall’altra sera e anche per queste due notti sono balzati dalla memoria ricordi che avevo temporaneamente accantonato.

E piano piano quel mondo è riaffiorato.

Un mondo in cui la scuola si chiamava “elementare” e non primaria di primo grado e quando ci andavi non studiavi educazione all’immagine o educazione motoria ma disegnavi e facevi ginnastica.

Un mondo in cui la bidella viveva dentro la scuola e, se la mamma non aveva avuto tempo di prepararti la merenda, al momento della ricreazione nascondeva il giornale di gossip sotto il tavolino per lasciare spazio a un paio di merendine.

Un mondo in cui ogni compleanno veniva festeggiato e potevi portare ciò che volevi per offrirlo ai tuoi compagni perché nessuno era allergico o intollerante.

Un mondo in cui chi ti veniva a prendere a scuola non doveva aver fornito le sue generalità e gli estremi del conto in banca per prelevarti ma rischiavi anche di essere “dimenticato” sotto la pioggia e portato a casa da uno sconosciuto  vedendo poi la casa riempirsi di moniti colorati “Ricordarsi di andare a prendere E. a scuola” (tutto vero!).

Un mondo in cui la massima raccomandazione e il più grande timore dei genitori era che qualcuno ti offrisse le caramelle perché potevano essere drogate mentre la parola “pedofilo” ancora non si sapeva cosa significasse.
Un mondo in cui i compiti per casa li facevi da solo perché sennò, se non sbagli, non impari.

Un mondo in cui se prendevi un brutto voto o ti comportavi male i genitori non davano la colpa agli insegnanti ma ti mettevano in punizione; e se solo avevano la percezione che non avessi fatto il tuo dovere, la Befana ti portava il carbone (vero anche questo!).

Un mondo in cui non si discuteva di maestro unico perché uno ce n’era per tutte le materie, escluse religione e ginnastica.

Un mondo in cui il nostro maestro unico è stato IL MAESTRO, senza bisogno di specificarne il nome perché per tutti – genitori e nonni compresi - IL MAESTRO era solo lui.

Lui che ci insegnava italiano, storia, geografia, scienze, matematica e che – visto che avanzava tempo – ci faceva giocare a calcio maschi contro femmine: privilegiando, come ovvio, la squadra rosa.
Lui che, quando avanzava altro tempo, portava il registratore e ci insegnava le canzoni di Renzo Arbore: ed è dall’altra sera che non riesco a scacciare dalla mente “Dicono che son so, dicono che son so, dicono che son solo canzonette (…) grazie, dei fiori grazie, dei fiori grazie, dei fiori gra!”

Lui che ci insegnava la grammatica a suon di filastrocche: “fi fe fa, accento non ci va”; “qua, que, qui, accento non sta lì”.

Lui che mentre correggeva i temi di italiano o i problemi in cui infilava noi come protagonisti ci abbracciava e “struccava” senza remore. Perché quella volta non c’erano ombre nel farlo così come non c’erano dubbi che se uno veniva definito “baul” o “casson” un motivo c’era: e i genitori non partivano a razzo dal direttore con l’avvocato al seguito.

Lui che aveva coniato un giudizio tutto suo: non bene o bravo. Troppo poco. Neppure bravissimo. Ma –ISSIMO poteva andar bene: «Perché prima potete metterci quello che volete. Può essere bravissimo, bellissimo, intelligentissimo …». Ma non bastava; e allora: SUPER.  Che gare per fare in modo che siglasse i problemi di matematica!

Lui che si preoccupava se ogni giorno a ricreazione mangiavi merendine confezionate ed esultava quando ti preparavano un seppur triste panino e indagava a che ora andassimo a letto la sera.

Lui che si ricordava di ogni compleanno e, girando tra i banchi, faceva intonare a ciascuno “Ta” per poi partire tutti assieme con “tanti auguri”.

Lui che ci conosceva forse meglio dei nostri stessi genitori sin dal nostro primo incontro, senza che gli avessimo detto nulla di noi: sapeva delle nostre passioni, manie, tic, inclinazioni e, soprattutto, potenzialità credendo in ognuno di noi sempre e inducendo noi stessi a fare altrettanto.

Lui che, dettandoci, un brano sulla morfologia della regione, la ribattezzava “Friuli - Venezia mamma di Elisa” perché conosceva tutte le nostre famiglie, da papà e mamma ai fratelli, e di ognuno sapeva il carattere e – pure di ognuno di loro – le passioni.
Lui che ha cercato di appassionarci alla montagna con ripetute escursioni e che ci ha regalato una delle più meravigliose esperienze che si possano far vivere a dei ragazzini di dieci anni: una gita a Firenze. Che, ne sono certa, è la città che campeggia nel cuore di ognuno di noi.

Lui, che dopo averci insegnato ginnastica per due anni, era passato a insegnarci tutto il resto e soprattutto la vita.

Lui che, quando era diventato il nostro maestro, ci aveva intimoriti redarguendoci subito sul dargli del lei e insegnandoci quello strano modo di uscire da scuola: in fila, lui di fianco alla porta che proclamava “Salutare e partire!”.

Lui che ci ha insegnato cose che ancora ricordo mentre fatico a ricordare la storia e la filosofia studiate al liceo.

Lui, che girava sempre con le mentine in tasca.

Lui, che non aveva smesso di interessarsi alle nostre vite, ai nostri percorsi.

Lui, che ci aveva capito più e prima di noi stessi indicandoci strade spesso e fortunatamente intraprese.

Mi viene in mente il passo dell’Iliade in cui Andromaca saluta Ettore prima del duello con Achille: “ Tu sei stato per me marito, padre, fratello”. Ecco: Lui è stato questo per noi. Maestro, padre, nonno, faro. Inimitabile. Così come inimitabile e purtroppo passato è il mondo a cui apparteneva.

 

2 commenti:

  1. L'ho letto tutto d'un fiato. Quante cose mi hai fatto tornare alla mente. Grazie

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    1. e chissà quante altre ce ne sono...grazie a te per aver letto!

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