Oggi avrei voluto scrivere
della crisi e non certo di quella economico – politico – sociale di
cui sono quotidianamente infarciti i telegiornali: tutti ne hanno le tasche
piene e, a dire il vero, non saprei cosa dirne dato che io, il telegiornale, purtroppo (o forse per
fortuna) non lo vedo da parecchio. Vuoi
perché l’ora di cena è monopolizzata
dalla Princi con capricci, pappe e inseguimenti dei gatti sotto il tavolo (dove,
ormai, non passa più), vuoi perché da qualche tempo Lui ha deciso che, per
rilassarsi, deve sottoporci tutti quanti alla visione di Supernatural: così, se a suon di cadaveri, vampiri e arcangeli
omicidi la Princi ha gli incubi notturni sappiamo chi ringraziare.
Avrei voluto parlare della
crisi, dunque: quella mia personale che, ciclicamente, si rafforza,
mi strema e assieme a me strema anche chi mi sta attorno. E sarà forse per
questo che quando avrei voluto dedicare una giornata intera alla Pallina lei ha
pensato bene di far esplodere una frigna
da paura tanto che - sinceramente – ho ringraziato il pittore che mi ha
chiesto con urgenza di vedere le sue opere per poterlo presentare, essendo così
costretta a mollare il piccolo piagnisteo alla mamma-nonna per due orette. Però poi la frigna ha ripreso, più intensa
che mai.
La crisi, dicevo. Avrei voluto
scrivere ciò che mi passa nella mente e
nel cuore in questi giorni: l’arrabbiatura
(con chi poi chissà) perché in queste ultime settimane mi sembra di lavorare
troppo; l’insoddisfazione per non
aver raggiunto alcun risultato lavorativo pari a quelle aspettative che credevo
fossero mie ma che, riflettendo anche con Lui, chissà di chi sono (o erano); il senso di colpa perché in oltre un
mese dal momento in cui li ho comprati sono riuscita a leggere solamente trenta
pagine dei voluminosi testi per il concorso cui mi sono iscritta; etc. etc.
etc.
La crisi, appunto. La crisi è passata quando, oggi pomeriggio,
è entrata in galleria una coppia di persone che, contrariamente a quanto fa
la maggior parte dei visitatori, si è soffermata a lungo in ogni sala. Al momento
di uscire si sono fermati per uno scambio di battute sull’arte contemporanea: «Sa, sono un pittore» dice lui da sotto una barba bianca e curata. Stranamente,
forse presentendo qualcosa, ho timidamente domandato se fossero della zona e,
quando mi hanno detto da dove venissero «Scusi se mi permetto, ma posso chiederle il suo nome?».
La risposta è stata quasi ovvia ma al tempo stesso folgorante: in un momento mi son tornati alla memoria i corridoi
della struttura di riabilitazione in cui la Rossa andava esclusivamente per partecipare
alle sue lezioni di pittura, il
corridoio di casa della mamma-nonna dove è appeso il suo ritratto schizzato da una più
anziana degente, il ricordo del momento
in cui il nonno era andato a cercarlo per chiedergli un’opera da dedicarle quando già se n’era
andata. Di colpo, mi sarei messa a piangere: poco
professionalmente, dietro al bancone del museo. Di colpo,
sarei balzata oltre al bancone per abbracciarlo
quando lui mi ha chiesto dei dettagli per cercare di ricordare chi fosse e se n’è
subito ricordato, battendo il pugno sul bancone, arrossando e abbassando gli
occhi. Ringraziandomi poi, mentre usciva, per avergli ricordato una persona a
cui teneva e al cui ricordo tiene.
La crisi, quindi. C’era e c’è ancora: ma adesso è stata
temporaneamente sostituita da un forte, indicibile magone.
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