domenica 21 ottobre 2012

E come...


E come etciù: voce non prevista dell’alfa-Princi, ben si attaglia a questi ultimi giorni. Già avevamo sperimentato il raffreddore tutti e tre insieme in vacanza: e non era stata un’esperienza gratificante. Perché se, personalmente, un raffreddore mi stende peggio che la febbre a 40° (che in realtà non ho mai provato), alla cucciola provoca un fastidioso connesso: non dorme. E come potrebbe, con il naso tappato che, peraltro, non vuole farsi stappare a suon di nebulizzazioni di soluzione fisiologica? A ben vedere al posto suo forse farei lo stesso: non so se sia più fastidioso non riuscire a respirare o farsi inondare le radici di quel liquido. E così, dopo le notti in bianco per il sonno disturbato a causa dell’orticaria, sono arrivate due notti in bianco per il raffreddore. Forse però a tenerla sveglia è stato il suo stesso russare, degno di un cammello: solo che quello – il cammello – è da solo nel deserto. Perfino i gatti hanno disertato il lettino. Finchè non abbiam pensato a uno stratagemma, rivelatosi vincente: tenerla con la testa un po’ sollevata. Senza pretendere di farla dormire in posizione equina mettendola seduta o direttamente in piedi, abbiamo rubato un cuscino dal soggiorno e voilà: stanotte ha dormito fino alle 6.30 come al suo (e al nostro) solito. L’esperimento è evidentemente piaciuto anche a lei. E speriamo che ora, a tenerci svegli, non sia l’insorgere dei dentini: ha aspettato tanto, cosa le costa attendere ancora un po’ per addentare la sua prima fiorentina?
p. s.: il MAGO ETCIÙ, personaggio dei cartoni animati della mia infanzia – e che da allora, evidentemente è ripiombato nella lanterna da cui era uscito – mi viene in  mente ogni volta che la Princi starnutisce

E come emozioni: abbinamento forse scontato al pari di “D come dormire”, in realtà si applica a una reazione che non so se sia altrettanto comune. Le emozioni che abbiamo provato da quando la Princi ha iniziato il suo viaggio sono state immense e più che quelle date dalla percezione della sua presenza con le prime nausee (momenti in realtà poco edificanti, lo ammetto) e dai primi calci allo scoccare del quinto mese, le emozioni più intense le ho provate quando abbiamo diffuso la notizia. Forse incoscienti, non abbiamo aspettato tanto come sembra fare la maggior parte delle coppie: la felicità per l’inizio di questo piccolo e per qualche verso inatteso miracolo era troppa. E lo stesso devono aver sentito e provato le persone intorno a noi: mai dimenticherò il pianto della mamma-nonna (scontato, forse, ma anche no dato che a lei, in segreto, già lo avevo detto), né le facce arrossate ed emozionate del papà-nonno, della nonna2 e della zia Cucciolo; così come mai scorderò la reazione di felicità pura e sincera di una coppia di amici che, anche per questo, ora ci manca ancora di più.
E lo zio che voleva stappare lo spumante alle quattro del pomeriggio, e il cugino V. che ancora mi intenerisce mentre, con le sue manone, accarezza le minuscole guanciotte della Princi. Ma, oltre alle emozioni degli altri, tante e infinitamente profonde sono le emozioni che ci regala quotidianamente la panzerotta (tanto per chiamarla come fa la zia Cucciolo): le sue prime smorfie, tanto vicine a sorrisi anche se in tanti ci dicevano non fosse possibile ad appena due mesi; i suoi vocalizzi, che ora riempiono le stanze, la strada, i centri commerciali con acuti improvvisi quanto divertenti; i suoi sguardi perplessi e pieni di gioia; il suo abbandonarsi a mo’ di koala quando non sta bene e ha bisogno di coccole; il suo cercarci con gli occhi e sporgendo la testa quando ci nascondiamo per farle cucù; il suo continuo e spesso destabilizzante bisogno di averci vicini. Ma, soprattutto, il fatto che quando la guardo o, da sola in auto, l’immagine del suo volto bussa alla mia mente, sorrido e mi metto a piangere: pensando che sia troppo bella, troppo felice, insomma, troppo per me.
 
E come “E adesso?”: è senz’altro il primo pensiero che ho avuto quando sono rimasta per la prima volta sola con lei. Cosa devo fare con questo fagotto? Ma è stato pure il pensiero, (ancora molto attuale) di quando mi trovo sola in casa, davanti al fasciatoio, con un esserino di tre, quattro, ora nove chili che ha espulso una quantità di prodotti pari a tre volte il suo peso: inondando – ovviamente - body, pantaloncini, maglietta e se le andava pure i calzini. A “E allora?” non si risponde in alcun modo se non con l’azione: ti carichi il fagotto in braccio, nudo come un verme, sperando che nel tragitto dal bagno alla cameretta non si esibisca in ulteriori performance, e cerchi il necessario per rivestirlo/a. Oppure aspetti qualche minuto e sarà lui/lei a dirti cosa fare: la quiete ha durata variabile ma breve ed è interrotta da pianti più o meno sonori che sono altrettante richieste. Come interpretarle? Secondo me c’è un diffuso quanto tacito patto tra le ostetriche per buttare fra i rifiuti, assieme alla placenta, il manuale delle istruzioni di questi “cosini”. E, quindi, ognuna impara come agire a suo modo, a sue spese, ma anche a suo favore e con i suoi tempi. E, poi, fortunatamente il momento dell’ ”E adesso?” dura i primi mesi: basta che la polpettina impari a star seduta che cambia la prospettiva sua sul mondo ma anche quella della mamma, non più impensierita dal «cosa faccio con questa ameba che sta lì ferma, sembra mi guardi ma dicono che non mi veda: ma se piange ogni volta che mi allontano un attimo?».
 

E come en dehors/en dedans: i puristi del francese mi perdoneranno se inserisco questa voce sfruttando la “E” della preposizione ma, a dir la verità, giunta alla lettera D è stata la zia ad honorem a ricordarmi che avrei potuto inserire queste due voci. Adesso sembra essersi un po’ calmata, ma attorno ai tre mesi la Princi, semi-sdraiata nell’ovetto, ha iniziato ad allenare gli addominali per sollevare le gambette e roteare i piedini contemporaneamente: e, tanto per gradire, mentre li ruotava azionava anche l’alluce di entrambi. Un pomeriggio, sola con lei in città, ho iniziato a dirle: «Ma, Princi, cosa fai? En dehors, en dedans…» .Sarà stato il tono della mia voce divertita, sarà stato che imitavo il suo movimento con le mani, ma ha iniziato a ridere fragorosamente procurandosi il singhiozzo. E lì, devo ammetterlo: più che una mamma, sono stata una ex ballerina oltremodo orgogliosa: nonostante i rimproveri della mamma-nonna e della nonna-bisnonna per questo incipit di lavaggio del cervello riguardante la danza.

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