domenica 23 settembre 2012

C come...(pars costruens)


Uno dei limiti dell’alfa-Princi è senz’altro l’accavallarsi dei tempi: a poco tempo dall’allunaggio ho annotato sul mitico quadernino rosso (quello che mi ha tenuto compagnia in ospedale negli ultimi momenti da navicella madre) parole che si sarebbero dovute sciogliere in situazioni ed emozioni. Ora alcune di queste parole hanno perso (purtroppo) il loro significato, altre nemmeno ricordo perché le ho appuntate, molte altre, invece, se ne stanno via via aggiungendo. E se un esempio della prima tipologia è “computer” (l’unico pensiero che mi viene a proposito è il fatto che appena lo accendo approfittando di un pisolo della Princi lei si sveglia con guaiti), mentre nella seconda categoria rientra “carrozzella” (che non aveva nessunissima particolarità) un evergreen è senz’altro

C come cambio pannolino: un evergreen che, in realtà, va adattato alle fasi di crescita. Le prime volte alla goffaggine dell’inesperienza si assommavano i timori nel maneggiare quell’affarino di neanche tre chili senza spappolarlo; e, ovviamente, fare il tutto nel minor tempo possibile per soddisfare la fame della Princi e salvaguardare le nostre orecchie da una precoce corsa al centro Amplifon più vicino. E così ci mettevamo all’opera spesso in coppia e con una studiata sincronia di movimenti da far impallidire il team della Ferrari: uno che apre e toglie “il contenitore” avendo la fortuna (??) di scoprire per primo l’entità della sorpresina, l’altro che pulisce mentre si sta preparando alle sue spalle una bacinella per l’abluzione, sintomo di una sorpresa ingente che – spesse volte – si è replicata in diretta costringendoci a prendere un nuovo pannolino e richiudere quello precedentemente posizionato per evitare sconfinamenti che pure ci sono stati… e così oltre alla Princi abbiam dovuto lavare anche il fianco della lavatrice e tutto ciò che si trovava sulla giusta traiettoria. Ora, invece, il problema è un altro: la motilità di questo serpentello sgusciante che, dopo aver deciso che è troppo faticoso mettersi seduta da sola, ha scoperto che è più semplice farlo (ovviamente da sdraiata) se si tiene sui bordi del fasciatoio. Ulteriore problema (a questo primo ovviamo grazie alla larghezza contenuta del nostro bagno per cui riusciamo sempre a tenerle una mano addosso anche se ci voltiamo) è il fatto che in certi periodi è piuttosto riottosa a stendersi, cosa che è capitata in particolare all’indomani del vaccino forse per l’associazione della posizione alla fastidiosa punturina: e indovinate chi l’aveva adagiata sul lettino dell’ambulatorio e quindi si sorbiva gli strilli del cambio?
Postilla: l’ostetrica T. consigliava di compiere questa delicata operazione di pulizia prima della pappa per evitare che, soprattutto nelle ore notturne, il pargolo si agiti o svegli eccessivamente. Noi, visto che la Princi a un certo punto della pappa si appisolava, lo facevamo a metà, ma poi, visto il reiterarsi dell’incidente espulsivo di cui sopra, cambiavamo il pannolino (e ancora lo facciamo) senza una rigida tempistica tanto che di notte, sin dal secondo mese, neppure mi alzavo a meno che non presentissi una grossa emergenza. Fortunatamente la Princi non ha mai avuto problemi di sederino arrossato: e anche se non aveva il pannolino pulito per qualche ora in più non le è capitato nulla di particolare né ha perso mai il suo sorriso. Quindi a questo proposito, come per molti altri campi di intervento, il consiglio è: fate vobis. Non perché, come dicono in tanti, «una mamma sa cosa fare»(che non è vero) ma perché le cose si decidono insieme, mamma e bimbo, alla ricerca costante di un equilibrio che faccia bene e faccia vivere (talvolta: sopravvivere) entrambi.

C come ciuccio: questo sconosciuto. Come molti degli attrezzi da bebè, il ciuccio è all’origine di schieramenti fieramente opposti. Nella serie standard di domande che si pongono ai neo-genitori, dopo «Dorme?» e «Mangia?» in genere viene «E tiene il ciuccio?» (che, in realtà, si contende la terza posizione con «Che pediatra avete?»). A oggi abbiamo notato che lo schieramento più corposo è quello di chi, quando rispondi che non l’ha mai tenuto, replica con una punta di invidia e/o sollievo «Meglio!», senza notare il malcelato disappunto della tua risposta. Neo-genitori di bimbi “ciuccioni”, nonni o genitori già navigati che pare abbiano lottato per togliere questo strumento più di quanto non abbiano fatto per limitare l’uso della Ps3 sembrano non ricordare quanto può essere utile il ciuccio in quei momenti di crisi che richiederebbero l’intervento dell’intero Pentagono per essere risolti. Il cavallo di battaglia per la lotta al ciuccio è il fantomatico insorgere di eventuali problemi di dentizione, spauracchio temuto anche da Lui. Personalmente non ci credo molto, tanto che pure adesso di tanto in tanto provo a propinarlo alla Princi soprattutto quando passeggio per ore nel tentativo di addormentarla dopo pranzo: ore che lei, rigorosamente in braccio, trascorre ciucciandosi la mia maglia ad altezza spalla. Forse, se saltasse l’occasione lavorativa della mia vita per essermi presentata completamente sbavacciata, allora anche Lui si ricrederebbe. 

C come costanza: intesa come costanza di orari. Fanno impressione, soprattutto se si è reduci da una notte insonne o punteggiata da quattro o cinque risvegli, ma difficilmente si può credere a quelle mamme che, appena rientrate dall’ospedale, proclamano trionfanti: «Ah, lui/lei dorme dalle nove di sera alle nove di mattina». Provato: a parte che una simile dichiarazione discredita le prescrizioni di pediatri, puericultrici e affini secondo cui i cuccioli devono mangiare ogni tre/quattro ore, per il resto si tratta di un’eventualità, fortunata ma pur sempre un’eventualità occasionale, pronta a non ripetersi nel giro dei prossimi due o tre mesi. Se a questo si aggiunge che alla prima notte intera sua corrispondono le tue veglie agitate per verificare se è ancora vivo/a il quadro è completo: e l’occhiaia può più agilmente spalmarsi sul tuo viso. Non a caso è solo in questi mesi che ho preso l’abitudine di usare con assiduità gli occhiali da sole.

C come cicogna: negli ultimi mesi della gravidanza mi guardavo intorno alla ricerca dei ”rivenditori di cicogne” finchè non l’abbiamo trovata. Presi dal fervore di quasi neo genitori e dall’entusiasmo per aver intercettato il volo di quella giusta, non abbiamo considerato un piccolo, insignificante particolare: quella cicogna era troppo grande per atterrare davanti alla porta del nostro condominio ed è stata quindi costretta a sostare sulla terrazza del salotto in una posizione comunque ben visibile da chi alzasse gli occhi dal marciapiede. E anche lei, in realtà, si è trovata a proprio agio in questa sistemazione, tanto da rimanerci fino a pochi giorni fa quando, poveretta, ha preso la via del sacco dell’immondizia. Questo salto indegno, che potrebbe portarci a problemi con le locali sezioni del Wwf, è stato reso necessario dalle condizioni in cui la poverina si era ridotta assorbendo le intemperie di questi sette mesi, intemperie che l’hanno resa, di fatto, inutilizzabile a meno di un’approfondita opera di disinfestazione (e disinfezione). Il motivo? Mentre la mamma smacchia i vestitini della Princi, le dà da mangiare, prepara da mangiare, la lava, si lava e fa lavatrici, pulisce e stende quelle lavatrici, fa i letti, mette in ordine, archivia i vestiti ormai non più utilizzabili da questo esserino che cresce smisuratamente, Lui – per fare un qualsiasi lavoro che poi si rivela coas da cinque minuti – ha bisogno dei suoi tempi. E così l’unica ragione per cui la cicogna ha compiuto il suo ultimo volo (ma penso che al momento sia semplicemente atterrata in quella terra di nessuno che è il garage) è stata una minaccia: «Guarda che se il terrazzo è in queste condizioni non inviti il tuo amico a cena». Ricatto puerile ma di efficacia immediata. E pensare che per affinare questi espedienti credevo avrei avuto ancora qualche anno di tempo.

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