Uno dei limiti
dell’alfa-Princi è senz’altro l’accavallarsi dei tempi: a poco tempo
dall’allunaggio ho annotato sul mitico quadernino rosso (quello che mi ha
tenuto compagnia in ospedale negli ultimi momenti da navicella madre) parole
che si sarebbero dovute sciogliere in situazioni ed emozioni. Ora alcune di
queste parole hanno perso (purtroppo) il loro significato, altre nemmeno
ricordo perché le ho appuntate, molte altre, invece, se ne stanno via via
aggiungendo. E se un esempio della prima tipologia è “computer” (l’unico pensiero che mi viene a proposito è il fatto che
appena lo accendo approfittando di un pisolo della Princi lei si sveglia con
guaiti), mentre nella seconda categoria rientra “carrozzella” (che non aveva nessunissima particolarità) un
evergreen è senz’altro
C come cambio pannolino: un evergreen che, in realtà, va adattato
alle fasi di crescita. Le prime volte
alla goffaggine dell’inesperienza si assommavano i timori nel maneggiare
quell’affarino di neanche tre chili senza spappolarlo; e, ovviamente, fare il
tutto nel minor tempo possibile per soddisfare la fame della Princi e
salvaguardare le nostre orecchie da una precoce corsa al centro Amplifon più
vicino. E così ci mettevamo all’opera spesso in coppia e con una studiata
sincronia di movimenti da far impallidire il team della Ferrari: uno che apre e toglie “il contenitore” avendo
la fortuna (??) di scoprire per primo l’entità della sorpresina, l’altro che pulisce
mentre si sta preparando alle sue spalle una bacinella per l’abluzione, sintomo
di una sorpresa ingente che – spesse volte – si è replicata in diretta
costringendoci a prendere un nuovo pannolino e richiudere quello
precedentemente posizionato per evitare sconfinamenti che pure ci sono stati… e
così oltre alla Princi abbiam dovuto lavare anche il fianco della lavatrice e
tutto ciò che si trovava sulla giusta traiettoria. Ora, invece, il problema è
un altro: la motilità di questo
serpentello sgusciante che, dopo aver deciso che è troppo faticoso mettersi
seduta da sola, ha scoperto che è più semplice farlo (ovviamente da sdraiata)
se si tiene sui bordi del fasciatoio. Ulteriore problema (a questo primo
ovviamo grazie alla larghezza contenuta del nostro bagno per cui riusciamo
sempre a tenerle una mano addosso anche se ci voltiamo) è il fatto che in certi
periodi è piuttosto riottosa a stendersi,
cosa che è capitata in particolare all’indomani del vaccino forse per
l’associazione della posizione alla fastidiosa punturina: e indovinate chi
l’aveva adagiata sul lettino dell’ambulatorio e quindi si sorbiva gli strilli
del cambio?
Postilla: l’ostetrica T. consigliava di compiere
questa delicata operazione di pulizia prima della pappa per evitare che,
soprattutto nelle ore notturne, il pargolo si agiti o svegli eccessivamente.
Noi, visto che la Princi a un certo punto della pappa si appisolava, lo facevamo
a metà, ma poi, visto il reiterarsi dell’incidente espulsivo di cui sopra,
cambiavamo il pannolino (e ancora lo facciamo) senza una rigida tempistica
tanto che di notte, sin dal secondo mese, neppure mi alzavo a meno che non
presentissi una grossa emergenza. Fortunatamente la Princi non ha mai avuto
problemi di sederino arrossato: e anche se non aveva il pannolino pulito per
qualche ora in più non le è capitato nulla di particolare né ha perso mai il
suo sorriso. Quindi a questo proposito, come per molti altri campi di
intervento, il consiglio è: fate vobis.
Non perché, come dicono in tanti, «una mamma sa
cosa fare»(che non è vero) ma perché le
cose si decidono insieme, mamma e bimbo, alla ricerca costante di un equilibrio
che faccia bene e faccia vivere (talvolta: sopravvivere) entrambi.
C come ciuccio: questo
sconosciuto. Come molti degli attrezzi da bebè, il ciuccio è all’origine di
schieramenti fieramente opposti. Nella serie standard di domande che si pongono
ai neo-genitori, dopo «Dorme?» e «Mangia?» in genere viene «E tiene il
ciuccio?» (che, in realtà, si contende la terza posizione con «Che pediatra
avete?»). A oggi abbiamo notato che lo
schieramento più corposo è quello di chi, quando rispondi che non l’ha mai
tenuto, replica con una punta di invidia
e/o sollievo «Meglio!», senza notare il malcelato disappunto della tua
risposta. Neo-genitori di bimbi “ciuccioni”, nonni o genitori già navigati che
pare abbiano lottato per togliere questo strumento più di quanto non abbiano
fatto per limitare l’uso della Ps3 sembrano non ricordare quanto può essere
utile il ciuccio in quei momenti di crisi che richiederebbero l’intervento
dell’intero Pentagono per essere risolti. Il cavallo di battaglia per la lotta
al ciuccio è il fantomatico insorgere di eventuali problemi di dentizione,
spauracchio temuto anche da Lui. Personalmente non ci credo molto, tanto che
pure adesso di tanto in tanto provo a propinarlo alla Princi soprattutto quando
passeggio per ore nel tentativo di addormentarla dopo pranzo: ore che lei, rigorosamente in braccio,
trascorre ciucciandosi la mia maglia ad altezza spalla. Forse, se saltasse
l’occasione lavorativa della mia vita per essermi presentata completamente
sbavacciata, allora anche Lui si ricrederebbe.
C come costanza:
intesa come costanza di orari. Fanno impressione, soprattutto se si è reduci da
una notte insonne o punteggiata da quattro o cinque risvegli, ma difficilmente si
può credere a quelle mamme che, appena rientrate dall’ospedale, proclamano
trionfanti: «Ah, lui/lei dorme dalle nove di sera alle nove di mattina». Provato:
a parte che una simile dichiarazione discredita le prescrizioni di pediatri,
puericultrici e affini secondo cui i cuccioli devono mangiare ogni tre/quattro
ore, per il resto si tratta di un’eventualità, fortunata ma pur sempre
un’eventualità occasionale, pronta a non ripetersi nel giro dei prossimi due o
tre mesi. Se a questo si aggiunge che alla prima notte intera sua corrispondono
le tue veglie agitate per verificare se è ancora vivo/a il quadro è completo: e
l’occhiaia può più agilmente spalmarsi sul tuo viso. Non a caso è solo in
questi mesi che ho preso l’abitudine di usare con assiduità gli occhiali da
sole.
C come cicogna:
negli ultimi mesi della gravidanza mi guardavo intorno alla ricerca dei ”rivenditori
di cicogne” finchè non l’abbiamo trovata. Presi dal fervore di quasi neo
genitori e dall’entusiasmo per aver intercettato il volo di quella giusta, non
abbiamo considerato un piccolo, insignificante particolare: quella cicogna era
troppo grande per atterrare davanti alla porta del nostro condominio ed è stata
quindi costretta a sostare sulla terrazza del salotto in una posizione comunque
ben visibile da chi alzasse gli occhi dal marciapiede. E anche lei, in realtà,
si è trovata a proprio agio in questa sistemazione, tanto da rimanerci fino a
pochi giorni fa quando, poveretta, ha preso la via del sacco dell’immondizia.
Questo salto indegno, che potrebbe portarci a problemi con le locali sezioni
del Wwf, è stato reso necessario dalle condizioni in cui la poverina si era
ridotta assorbendo le intemperie di questi sette mesi, intemperie che l’hanno
resa, di fatto, inutilizzabile a meno di un’approfondita opera di
disinfestazione (e disinfezione). Il motivo? Mentre la mamma smacchia i
vestitini della Princi, le dà da mangiare, prepara da mangiare, la lava, si
lava e fa lavatrici, pulisce e stende quelle lavatrici, fa i letti, mette in
ordine, archivia i vestiti ormai non più utilizzabili da questo esserino che
cresce smisuratamente, Lui – per fare un qualsiasi lavoro che poi si rivela
coas da cinque minuti – ha bisogno dei suoi tempi. E così l’unica ragione per
cui la cicogna ha compiuto il suo ultimo volo (ma penso che al momento sia
semplicemente atterrata in quella terra di nessuno che è il garage) è stata una
minaccia: «Guarda che se il terrazzo è in queste condizioni non inviti il tuo
amico a cena». Ricatto puerile ma di efficacia immediata. E pensare che per
affinare questi espedienti credevo avrei avuto ancora qualche anno di tempo.
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