B come baci: ci
sono giorni in cui, scendendo le scale con la Princi in braccio, le schiocco un
bacio a ogni pianerottolo, altri in cui la sollevo in aria (e questo fin quando
il suo peso me lo consentirà, quindi ancora per poco) per riportarla
all’altezza del mio viso al ritmo di “uno, due, bacio”. Certo: ogni scarrafone
è bello a mamma sua e, come per ogni bimbo, anche a papà, a nonna, a zia e a
tutti i parenti suoi; ed è altrettanto vero che certe guanciotte sugose e
rosate i baci sembrano proprio reclamarli a gran voce: proprio come le sue.
B come bagnetto: ritardato dal lungo
percorso di caduta dell’ombelico (rallentato dalla mia impressionabilità), a
circa due settimane Sofia ha sperimentato il bagnetto. Una catastrofe: le avessimo
strappato uno a uno i (pochi) capelli che ha sulla testa le avremmo fatto un
torto minore. E così è stato per un paio di volte, quelle necessarie cioè a
capire (perché i neo genitori, si sa, son un po’ turdi) che non erano giuste la
temperatura dell’acqua né quella della stanza spingendo il papi a fornirci di
un curioso esemplare della specie pesce termometro suggerendogli inoltre di azionare
la stufetta elettrica a ogni bagnetto. Risultato: la paciughina si è lentamente
abituata a questo rito di pulizia mentre nella doccia sono spuntate le palme da
cocco e, non potendo spogliarsi della loro pelliccia, i gatti hanno disertato
la lettiera ogni qual volta affacciandosi alla porta del bagno ci vedevano
toglierci progressivamente strati di vestiti fino a rimanere in costume nel
pieno dell’inverno. Complice poi l’inizio del corso di acquaticità (cominciato
il 9 giugno) Sofi ora scambia la sua vaschetta per una piscina olimpionica e lo
stesso accade con il lavandino che, nonostante sembri costruito su misura per
le sue attuali e quindi assai temporanee dimensioni, lei pretende di utilizzare
sguazzandoci con mani e piedi al punto da lavare anche i felini, finalmente
riappropriatesi di questo spazio.
B come batterie:
nessuno lo dice, ma la voce di spesa senz’altro più pesante all’arrivo di un
fagottino è quella delle batterie. Pupazzetti e luci psichedeliche da
posizionare sul lettino per augurare la buonanotte, sdraiette multifunzione con
effetto vibrazione che fa sfigurare pure la pedana sciogligrasso della palestra,
giochini che snocciolano filastrocche e canzoncine che poi ti ritrovi a cantare
al posto della hit del momento: tutto questo ambaradan ha bisogno di una
quantità industriale di batterie. E il ricorso a quelle ricaricabili risolve il
problema solo fino all’arrivo della bolletta dell’elettricità: ma a quel punto
ti sei forse già disfatto del carillon che tanto facilmente addormenta il
pargolo e che, in ottemperanza alla legge di Murphy, ti ha lasciato in panne
proprio nel più acuto momento del bisogno dilungandosi in un lamento riecheggiante
un grammofono senza manovella.
B come bottoni: altro
segreto che tutti tengono per sé riguarda i vestitini anzi, soprattutto le
tutine dei primi mesi. Quei mesi cioè in cui il neo genitore ha una paura tale
a maneggiare il fagottino che lo lascerebbe con il pannolino intriso di
qualsiasi “prodotto” pur di non toccarlo nel timore di provocargli un trauma
multiplo solo adagiandolo sul fasciatoio. A parte il fatto che a molte di
queste tutine dovrebbero essere allegate le istruzioni indicanti almeno il
sotto e il sopra o il diritto e il rovescio, vogliamo parlare della durezza e
del numero di bottoni da sganciare e agganciare ogni volta? E’ un’operazione che,
nella migliore delle ipotesi, richiede tutto il tempo tra un cambio e l’altro.
A parte questo, infinite volte io e Lui ci siamo trovati a guardarci perplessi
chiedendoci da dove si dovesse infilare, come farci passare il testone della
Princi, le gambe o le braccia senza provocarle delle distorsioni e da che punto
si dovesse iniziare a chiudere la tutina, sperando poi che al momento di
sbottonarla non si incappasse nei bottoncini a clip che avrebbero richiesto
l’intervento di Maciste per essere staccati: con il risultato che, più di una
volta, abbiamo lasciato un vistoso buco sul vestitino quasi intonso.
B come borse: è uno
dei modi di dire più abusati ma pure più autentici del mondo: nella bora di una
donna ci puoi trovare il mondo. Ma che dire allora di quella di una mamma?
Anzi: quelle. A parte il fatto che il rischio più probabile è quello di tirar
fuori un biberon o un termometro invece della penna che ti serve per firmare il
nuovo e agognato contratto di lavoro, da quando c’è la Princi più che la famigerata
Mary Poppins mi sono trasformata in Babbo Natale. Ogni volta che esco di casa
devo preventivare un’ora di “revisione del materiale” per assicurarmi che nella
Princi-bag ci sia tutto il necessario per affrontare ogni tipo di crisi:
ciuccio (che in realtà è un pro-forma che serve a me per tranquillizzarmi dato
che lei non l’ha mai usato: ma è una di quelle cose che, se non ce l’hai, poi
magari ti serve: e così maledici i gesti che ti hanno portato ed escluderlo dal
bagaglio a mano); biberon con acqua; bavaglini; salviette umidificate;
pannolini in abbondanza, cambi di vestito, magari anche di varie stagioni
perché se esci leggera poi fuori tira la bora mentre se esci senza cappello
perché ti pare nuvoloso quando ti ritrovi sotto il sole a quaranta gradi
capisci che non hai un avvenire come meteorologo; biscottini; frutta
grattugiata; yogurt; magari anche la minestrina, se sei fuori a pranzo o cena.
Beh, mi pare basti: anzi, no, dimenticavo i giochini… per ricordarsi di portare
tutto questo passa qualche mese in cui, ovviamente, i bisogni della pallina si
modificano e chi ti sta intorno ti fa di volta in volta notare cos’hai
dimenticato sottintendendo che una mamma accorta non se ne sarebbe scordata. Si
deve essere poi fortunati e far entrare questo piccolo universo in una sola
borsa, solitamente quella in pendant con la carrozzina/passeggino: altrimenti
ti ritrovi a uscire di casa con la borsa omologata più borsa a mano di carta o
stoffa più, ovviamente, la tua borsa da passeggio a cui, nel mio caso, talvolta
unisco la borsa con il computer se mi fermo per qualche ora dalla mamma-nonna.
Insomma: quando esco di casa mi faccio pena da sola, con la Princi in braccio,
la sua borsa a tracolla, il computer sulla spalla, la mia borsa nell’altra mano
insieme a quella con le pappe e le chiavi di casa più quelle dell’auto in
bocca. E devo scendere due rampe di scale: proprio come Babbo Natale. Il
ridicolo però lo sfioriamo quando usciamo in tre: io con quattro borse
variamente caricate addosso stile mulo da soma, Lui che scende saltellando con
solo la Princi in braccio chiedendomi di chiudere la porta perché altrimenti
non ce la fa. E, a volte, mi ha pure chiesto – visto che sarei uscita prima di
loro per destinazione diversa – se potevo già caricargli in auto la Princi-bag
perché sennò non sarebbe riuscito a portare anche la bimba. Inutile ribadirlo:
le donne, e le mamme in particolare, sono multitasking, gli uomini (e quindi
pure i papà) è già tanto che ci siano e si ricordino di scendere il bambino
quando vogliono portarlo al parco giochi.
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