giovedì 6 settembre 2012

A come...



A come amore: oltre a essere l’incipit della demenziale canzone de “I soliti idioti” (che, ce ne siamo resi conto molto presto, è stata ed è ancora in grado di placarla e addirittura farla ridere nei momenti di crisi) amore è senza dubbio la prima parola che mi viene in mente pensando a lei. Si è sviluppato appena l’ho vista, tutta accartocciata in un’espressione aggrottata della serie: «potevate lasciarmi dov’ero?» si è sviluppato più tardi? o appena ho saputo del suo arrivo? Chissà: il fatto che non lo ricordi mi pare già positivo. Certo è che anche nei momenti più duri, quando la frequenza delle levatacce notturne (che recentemente hanno avuto un revival per il gran caldo) faceva sentire tutta la sua pesantezza, beh neppure in quelle occasioni ho smesso di guardare la Princi completamente avvolta da un sentimento forte e indescrivibile, quello stesso che mi fa passare ad
A come assenza: il tanto desiderato ritorno al lavoro (anzi: inizio di un lavoro ex novo), oltre a essere accompagnato dalle ansie per la sua gestione si è presto trasformato in sensi di colpa. Inizialmente, devo ammetterlo a costo di essere marchiata con “WM” (che non sta per Wonder Mum ma per Worst Mum), i sensi di colpa erano innescati dal fatto che non mi sentissi in colpa ad allontanarmi da lei per un po’, anzi: il lavoro mi è piovuto addosso nel (per me) faticosissimo (a livello spirituale) periodo dello svezzamento, un momento che mi ha messo a dura prova per il timore di sbagliare in qualsiasi modo procedessi e qualsiasi cosa le proponessi. Ora, invece, tornati dalle vacanze, più che di senso di colpa parlerei di vera e propria “sindrome dell’abbandono”: non so se valga anche per la Princi (ma credo di sì, a giudicare dal fatto che ha preso a ciucciarmi la spalla ogni volta che la prendo in braccio e frignotta quando la deposito sul fasciatoio), ma per me staccarmi dai suoi occhioni sorridenti e interrogativi (alla Arnold: «dove diavolo stai andando??»).. beh, ogni volta è una tortura, certo non dettata dal timore che stia male in mia assenza poiché sette mesi fa (anzi: se ci mettiamo anche i nove della gravidanza fanno sedici) abbiamo assunto tre bambinaie d’eccezione che paiono divertirsi più di lei e non vedere l’ora che io mi tolga di torno. E’ un’assenza fisica, legata al desiderio di stringerla nella consapevolezza che questo straordinario periodo, condito dalla sua infinita, impenetrabile e imperturbabile felicità, purtroppo passerà; è un’assenza emotiva, legata a doppio filo dalla gelosia di voler stare sempre con lei per coglierne ogni sorriso, gorgheggio, per essere presente a ogni sua “prima volta”. Terrificante: perché credo che questo finirà solo quando conosceremo il Princi-boy e smetterò di voler essere informata sulle sue successive tappe di crescita.
A come allattamento: nuova confessione: non sono una fan dell’allattamento e ho detestato chi mi diceva «brava» perché avevo latte. Oltre a farmi sentire una mucca, simili “complimenti” mi infastidivano perché ho sempre pensato che a) non fosse un mio merito ma qualcosa che è successo indipendentemente dalla mia volontà; b) che la bravura di una mamma non si misuri dal fatto di essere un dispenser (che è esattamente il modo in cui ti fanno sentire gli altri, il pargolo in primis); c) che chi non ha il latte cosa si sentiva dire? cattiva mamma? Prima di avere la Princi pensavo di non voler neppure provare ad “attaccarla”, termine che continua a farmi venire in mente una sanguisughe; il motivo? Il tabù nei confronti del mio corpo, per cui pensavo che non avrei mai e poi mai allattato in pubblico, inteso come chiunque al di fuori di Lui; ma pure l’imbarazzo che ho sempre provato trovandomi di fronte a qualche mamma che allattava. In ospedale però non ho avuto scelta: le puericultrici non hanno neppure chiesto se volessi o meno procedere senza neppure spiegarmi come o quando farlo. E così è iniziata quest’avventura, fatta di calcoli per capire quanta autonomia avessi fra una pappa e l’altra, di dolore per il precoce insorgere di una candida (con annesso mughetto per la Princi) che mi ha accompagnata in tutti questi mesi e del rapido dissolvimento di qualsiasi pudore a spogliarsi in pubblico. Cosa mi ha convinta? Lui, dicendomi che se non l’avessi fatto avrei dovuto rinunciare a uscire. Ora, però, da qualche giorno la Princi è entrata in modalità autonomia: le riserve stavano esaurendosi, lei frignava a dismisura, i reggiseni da allattamento cominciavano a largheggiare e quindi siamo passati al bibe. Che, con buona pace di chi mi dice: «è peccato, prova ad attaccarla ancora se e quando ne hai», ci ha permesso di dormire due notti quasi intere.

A come armonia: quella che la Princi, con il suo solo annunciarsi, ha moltiplicato nelle nostre famiglie. Intensificando rapporti, disseppellendone alcuni, migliorandone molti. Non tutti, ovviamente: ma non ci si può aspettare miracoli a trecentosessanta gradi.

A come aspirapolvere: prima del suo arrivo mi interrogavo su come e quando sarei riuscita a far le pulizie. Presto risolto: a pochi giorni dal suo arrivo ho scoperto che la Princi si lascia cullare da alcuni rumori, in primis quello dell’aspirapolvere. Che, quindi, è stato subito elevato al grado di ninna nanna ad honorem seguito a ruota dal phon e, talvolta, dal tritatutto.
A come amici: è il punto da cui il blog è cominciato. Gli amici hanno inondato la stanza d’ospedale sfidando il gelo che ha accompagnato l’allunaggio; gli amici sono stati piacevolmente convogliati in turni di visita una volta tornate a casa; gli amici hanno intasato la sim con sms e qualche telefonata di benvenuta. Ma gli amici talvolta si sono dissolti: forse troppo presi dalle loro vite per ricordarsi la promessa che «tutto sarà come prima, anzi ci vedremo di più», forse spaventati dall’idea di dover rovinarsi una serata libera con piagnistei o tette all’aria, forse convinti che siamo sempre troppo stanchi per vederli, forse… Mille le ragioni, mille gli interrogativi che ci pongono certe assenze, pesanti come l’esaurirsi di amicizie di sempre, quelle che sei sicuro dureranno tutta la vita e che lasciano un vuoto incapace di essere colmato dai periodici sogni in cui rivedi quelle persone al tuo fianco: pronte a sorriderti e sostenerti come avevano fatto finora.

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