A come amore: oltre a essere l’incipit della demenziale canzone de “I soliti
idioti” (che, ce ne siamo resi conto molto presto, è stata ed è ancora in grado
di placarla e addirittura farla ridere nei momenti di crisi) amore è senza dubbio la prima parola che mi
viene in mente pensando a lei. Si è sviluppato appena l’ho vista, tutta accartocciata
in un’espressione aggrottata della serie: «potevate lasciarmi dov’ero?» si è
sviluppato più tardi? o appena ho saputo del suo arrivo? Chissà: il fatto che
non lo ricordi mi pare già positivo. Certo è che anche nei momenti più duri,
quando la frequenza delle levatacce notturne (che recentemente hanno avuto un
revival per il gran caldo) faceva sentire tutta la sua pesantezza, beh neppure
in quelle occasioni ho smesso di guardare la Princi completamente avvolta da un
sentimento forte e indescrivibile, quello stesso che mi fa passare ad
A come assenza: il tanto desiderato ritorno al lavoro (anzi: inizio di un
lavoro ex novo), oltre a essere accompagnato dalle ansie per la sua gestione si
è presto trasformato in sensi di colpa. Inizialmente, devo ammetterlo a costo
di essere marchiata con “WM” (che
non sta per Wonder Mum ma per Worst Mum),
i sensi di colpa erano innescati dal fatto che non mi sentissi in colpa ad
allontanarmi da lei per un po’, anzi: il lavoro mi è piovuto addosso nel (per
me) faticosissimo (a livello spirituale) periodo dello svezzamento, un momento
che mi ha messo a dura prova per il timore di sbagliare in qualsiasi modo
procedessi e qualsiasi cosa le proponessi. Ora, invece, tornati dalle vacanze,
più che di senso di colpa parlerei di vera e propria “sindrome dell’abbandono”: non so se valga anche per la Princi (ma
credo di sì, a giudicare dal fatto che ha preso a ciucciarmi la spalla ogni
volta che la prendo in braccio e frignotta quando la deposito sul fasciatoio),
ma per me staccarmi dai suoi occhioni sorridenti e interrogativi (alla Arnold: «dove
diavolo stai andando??»).. beh, ogni volta è una tortura, certo non dettata dal
timore che stia male in mia assenza poiché sette mesi fa (anzi: se ci mettiamo
anche i nove della gravidanza fanno sedici) abbiamo assunto tre bambinaie
d’eccezione che paiono divertirsi più di lei e non vedere l’ora che io mi tolga
di torno. E’ un’assenza fisica, legata al desiderio di stringerla nella
consapevolezza che questo straordinario periodo, condito dalla sua infinita,
impenetrabile e imperturbabile felicità, purtroppo passerà; è un’assenza
emotiva, legata a doppio filo dalla gelosia di voler stare sempre con lei per
coglierne ogni sorriso, gorgheggio, per essere presente a ogni sua “prima
volta”. Terrificante: perché credo che questo finirà solo quando conosceremo il
Princi-boy e smetterò di voler essere informata sulle sue successive tappe di
crescita.
A come allattamento: nuova confessione: non sono una fan dell’allattamento e ho detestato
chi mi diceva «brava» perché avevo latte. Oltre a farmi sentire una mucca,
simili “complimenti” mi infastidivano perché ho sempre pensato che a) non fosse
un mio merito ma qualcosa che è successo indipendentemente dalla mia volontà;
b) che la bravura di una mamma non si misuri dal fatto di essere un dispenser
(che è esattamente il modo in cui ti fanno sentire gli altri, il pargolo in
primis); c) che chi non ha il latte cosa si sentiva dire? cattiva mamma? Prima
di avere la Princi pensavo di non voler neppure provare ad “attaccarla”, termine
che continua a farmi venire in mente una sanguisughe; il motivo? Il tabù nei
confronti del mio corpo, per cui pensavo che non avrei mai e poi mai allattato
in pubblico, inteso come chiunque al di fuori di Lui; ma pure l’imbarazzo che
ho sempre provato trovandomi di fronte a qualche mamma che allattava. In
ospedale però non ho avuto scelta: le puericultrici non hanno neppure chiesto
se volessi o meno procedere senza neppure spiegarmi come o quando farlo. E così
è iniziata quest’avventura, fatta di calcoli per capire quanta autonomia avessi
fra una pappa e l’altra, di dolore per il precoce insorgere di una candida (con
annesso mughetto per la Princi) che mi ha accompagnata in tutti questi mesi e del
rapido dissolvimento di qualsiasi pudore a spogliarsi in pubblico. Cosa mi ha convinta? Lui, dicendomi che
se non l’avessi fatto avrei dovuto rinunciare a uscire. Ora, però, da qualche
giorno la Princi è entrata in modalità
autonomia: le riserve stavano esaurendosi, lei frignava a dismisura, i
reggiseni da allattamento cominciavano a largheggiare e quindi siamo passati al
bibe. Che, con buona pace di chi mi dice: «è peccato, prova ad attaccarla
ancora se e quando ne hai», ci ha permesso di dormire due notti quasi intere.
A come armonia: quella che la Princi, con il
suo solo annunciarsi, ha moltiplicato nelle nostre famiglie. Intensificando
rapporti, disseppellendone alcuni, migliorandone molti. Non tutti, ovviamente:
ma non ci si può aspettare miracoli a trecentosessanta gradi.
A come aspirapolvere: prima del suo
arrivo mi interrogavo su come e quando sarei riuscita a far le pulizie. Presto
risolto: a pochi giorni dal suo arrivo ho scoperto che la Princi si lascia
cullare da alcuni rumori, in primis quello dell’aspirapolvere. Che, quindi, è
stato subito elevato al grado di ninna nanna ad honorem seguito a ruota dal
phon e, talvolta, dal tritatutto.
A come amici: è il punto da cui il blog è
cominciato. Gli amici hanno inondato la stanza d’ospedale sfidando il gelo che
ha accompagnato l’allunaggio; gli amici sono stati piacevolmente convogliati in
turni di visita una volta tornate a casa; gli amici hanno intasato la sim con
sms e qualche telefonata di benvenuta. Ma
gli amici talvolta si sono dissolti: forse troppo presi dalle loro vite per
ricordarsi la promessa che «tutto sarà come prima, anzi ci vedremo di più»,
forse spaventati dall’idea di dover rovinarsi una serata libera con piagnistei o
tette all’aria, forse convinti che siamo sempre troppo stanchi per vederli,
forse… Mille le ragioni, mille gli interrogativi che ci pongono certe assenze,
pesanti come l’esaurirsi di amicizie di sempre, quelle che sei sicuro dureranno
tutta la vita e che lasciano un vuoto incapace di essere colmato dai periodici sogni in cui rivedi quelle persone al tuo
fianco: pronte a sorriderti e sostenerti come avevano fatto finora.
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