martedì 7 febbraio 2012

una settimana fa...



Come da protocollo, son passata da pensare «Magari fra una settimana saremo stesi sul divano in tre» a ricordare «Una settimana fa, a quest’ora…».

Sofia ha già una settimana.

E ancora stento a credere che questo fagottino rosa (ammetto che ho ceduto a privilegiare questo colore per le sue tutine) sia veramente qui, che io sia diventata davvero una “mammaconicalzettoni” e Lui un papà ansioso quanto premuroso, con lei e con me. Forse le difficoltà a rendermi conto di ciò che è successo è dovuta alla rapidità del tutto. Ed è per cominciare a raccontare quei momenti che ora, appena accomodata la principessa nella sua carrozza (non più tondeggiante come fino pochi giorni fa), ho acceso il computer. Premettendo che ciò che racconterò si basa in parte sugli appunti che ho scrupolosamente vergato sul mio quadernino minuto per minuto, in parte sarà una rivisitazione in corso d’opera. E, ulteriore avvertenza: ho deciso di abbandonare ogni residuo pudore per dire “pane al pane e vino al vino”: senza trascurare cioè i poco gradevoli sintomi/disturbi/particolari legati a quei momenti che, da magici, possono riveleranno tutta la loro prosaicità. Anche perchè è in momenti come questi che si scoprono parti del corpo fino ad ora sconosciute.

Lunedì 31 gennaio 2012, ore 7.17

Dunque eccoci qui. In realtà siamo qui dalle 23.15 di ieri sera. Avevo da poco smesso di stirare e guardare distrattamente il primo episodio di CSI New York mentre Lui pisolava sul divano, così come il gatto Billy sulla palestrina e Degas sul nostro letto. Mi sono spaparanzata anch’io dopo essermi infilata il pigiama e struccata, pronta a gustarmi almeno la seconda puntata del telefilm assieme a Lui che, nel frattempo, si era ben svegliato. Approfitto della pubblicità per alzarmi e andare a lavare i denti e invece …

Invece mi accorgo di una macchietta di sangue. Chiamo: «Ehm, Lui (che nel frattempo si affaccia alla porta del bagno) … mi sa che è meglio andare in ospedale».

Nessuna scena di panico: con insospettata calma ci vestiamo, prendiamo il borsone (quello giusto, non quello della palestra…) e partiamo mentre i gatti, forse intuendo qualcosa, iniziano a scatenarsi correndo su e giù per il corridoio: meno male che loro saranno solo i fratelli, tanta agitazione non fa bene a dei futuri genitori.

Faceva tanto freddo in auto, Sofia: solo quando abbiamo parcheggiato davanti all’ospedale la macchina si era riscaldata. Durante il tragitto siamo rimasti a lungo in silenzio: guardavo fuori dal finestrino chiedendomi se, come pensavo potesse accadere, ci avrebbero rimandati a casa poco dopo o se - al momento di ripercorrere quella strada - saremmo stati in tre. Lui invece, tanto per cambiare, non so a cosa stesse pensando. «Come ti senti?». «Normale». La sibilla cumana era meno impenetrabile.
 


Troviamo la porta chiusa, citofoniamo alla portineria e già immaginiamo una risposta alla “I soliti idioti” del tipo: «Dica?! Deve andare in ostetricia, dice?! Un attimo e sono sssubito da lei», lasciandoci poi in attesa per mezz’ora al freddo con un blocco irreversibile del presunto travaglio. Invece saliamo presto in reparto: l’ostetrica – proprio quella che non avrei voluto incontrare – mi visita e mi attacca al monitor nella sala travaglio dove tentiamo di sfruttare il maxi schermo lcd dalla perfetta visione tridimensionale per vedere il finale di CSI: già finito, disdetta.

«Vieni che ti visita il medico». Appena mi affaccio sul corridoio e lo vedo camminare verso la sala visite vorrei bloccare tutto. «Nooo! Proprio lui no!!» dico a Lui; e, subito dopo: «Sofia, hai aspettato tanto, non puoi attendere ancora un po’??».
 

E infatti a testimoniare la competenza del dottor C. (per inciso: lo stesso che mi aveva messo ansia, all’ultima morfologica, perché iniziavo ad avere delle blande contrazioni da lui ritenute pericolosissime) ecco la sua diagnosi, intervenuta dopo avermi ben bene ravanata con lo speculum, scivolatogli due volte dalla sede preposta all’indagine mentre l’ostetrica si godeva lo spettacolo dalle retrovie:

«Ma lei è mai stata visitata con lo speculum? E ha mai sofferto di condilomi?».
«Guardi: sinceramente, non so neanche cosa siano».
«Perché lei ha un lembo di pelle interno che dev’essere la causa del sanguinamento».
Annuisco senza convinzione e mentre penso al da farsi lui mi chiede: «Preferisce rimanere qui o tornare a casa? dove abita, signora?».

Ecco: senza dubbio la cosa più strana dei giorni trascorsi in ospedale è stata sentirsi chiamare “signora”, tanto che a volte mi sarei voluta girare per accertarmi che stessero parlando con me. Decido di rimanere soprattutto per evitare un possibile retrofront verso l’ospedale mentre il dottor C. – stavolta davvero come ne “I soliti idioti”, stesso identico tono di voce – conclude la visita con un sonoro «Vabbè!». E il mio sguardo incrocia quello di Lui e quasi scoppiamo a ridergli in faccia.

Cosa che si sarebbe meritato, soprattutto alla luce del futuro evolversi della situazione.

1 commento:

  1. Certo che se ne leggono di cose strane ... questo dottore però è proprio da fuori di testa!!!
    Silvia

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