mercoledì 15 febbraio 2012

parte il parto (parte prima)



Bene. Secondo i miei calcoli dovrei avere un’oretta di autonomia prima della colazione di Sofia quindi spero di riuscire a procedere con il racconto …
 


Vi avevo lasciato con l’immagine di me sospesa sul letto a causa del mitico “assorbente verde”: quanto è stato più difficile, da quell’altezza, prendere appunti sul mio quadernino rosso! Sarà stato per questo che ogni infermiera, medico, ostetrica che entrava, vedendomi scrivere, faceva una smorfia di perplessità? Chissà cosa si sono immaginati: l’unica ad avere l’ardire di chiedermi cosa stessi facendo è stata un’ostetrica un po’ sbrigativa, mai incontrata prima di allora, secondo la quale sarei rimasta lì almeno per tutta la giornata. Salvo poi, il giorno successivo, ammettere che la scrittura è stata un mio personale metodo di rilassamento che mi ha aiutata ad affrontare il travaglio: e credo avesse ragione, anche se nelle fasi più acute ho, ovviamente, deposto penna e calamaio.

Sono le 10: vengono a chiamarmi per la visita con il primario che deciderà il da farsi. Ammetto di aver sempre temuto le sue visite: ogni volta che lo incrociavo quando andavo a fare dei controlli lo vedevo passare con un codazzo di medici e immaginavo che, una volta partorito, sarei stata ispezionata da lui con il suo entourage pronto a godersi lo spettacolo. Voglio dire: potrebbe andare in un ospedale universitario, ma comunque ciò che dev’essere visitato non è un braccio in gesso …

Sorpresa: quando entro nell’ambulatorio trovo la capo ostetrica, al tavolo la mia dottoressa (ridotta al ruolo di piccolo scrivano fiorentino) e il dottor C. che, da lontano, assiste alla visita. Ora: a essere cattivi o anche solo realisti, avrei dovuto rimbeccare ogni uscita del primario sottolineando l’inettitudine del pupillo. Ma non sono abbastanza cattiva o forse non abbastanza sincera: aggiungiamo a ciò la soggezione per la visita fatta dal capo et voilà: il dottor C. è rimasto illeso da qualsiasi operazione di discredito (per non usare parole più acconce ma di impatto troppo forte per un blog glamour). Comunque, qui posso dire come siano andate le cose: e i commenti li faranno i lettori.




Prima defaillance. Appena mi “accomodo” sul lettino (espressione poco appropriata per quegli arnesi con staffe) e il luminare vede il confortevole e morbidissimo “assorbente verde”…

«Ma, e questo? A che serve? Sul verde non si vede nulla: per capire quante perdite aveva la signora era più adatto un lenzuolo bianco».

Rido sotto i baffi, espressione questa sì oltremodo appropriata dato che per i nove mesi di gravidanza non mi sono potuta depilare con la crema sotto il naso adattandomi malvolentieri all’uso delle pinzette.
 

Seconda e ben più grave defaillance. Prima di cominciare la visita, il primario accende l’ecografo, appoggia per mezzo minuto il “rullo” opportunamente ricoperto di gel sulla mia pancia e …

«Qui di liquido ce n’è e non ce n’è: ma lei si è accorta di aver perso le acque??»

Bene: a parte il fatto che – pensandoci a posteriori – probabilmente la rottura è stata causata dallo scivolone sulle scale del venerdì precedente e a parte il non aver correttamente interpretato le perdite dell’ultimo periodo, più consistenti ma comunque confondibili con quelle avute per tutta la gravidanza, penso a come il dottor C., solo la sera prima, non si sia accorto di nulla: e sì che ha percorso la mia pancia con l’ecografo per buoni cinque minuti e non mezzo secondo come il primario …

In una cosa però i due medici si assomigliano molto: nel modo di condurre la visita vera e propria. Quando esco dall’ambulatorio mi chiedo quanto dolore potessero provare in analoghi controlli le donne in momenti storici meno illuminati dei nostri dato che il male percepito mi fa sbarellare per il corridoio.

 

Torno in sala travaglio: il responso del primario è che l’utero è appianato ma senza traccia di dilatazione, le contrazioni sono ancora molto saltuarie quindi, come in un’equazione matematica, per «accelerare il tutto» è ora di attaccarmi a una flebo di antibiotico e poi procedere con un clistere. Che emozione (commento ovviamente ironico): non ne ho mai fatto uno!! Decido di condividere questa euforia con Lui:

«Ma allora vengo?»

«Non so, vedi tu: magari fra un po’, tanto non credo che l’antibiotico avrà effetto immediato.»

«Ok, allora magari parto fra un’ora… ma bon, senti: cosa cambia un’ora? Arrivo adesso»

E per fortuna: altrimenti non so come sarebbero andate le cose. La mia paura maggiore, condivisa anche con l’infermiera addetta alla nuova e per me inedita tortura, era ritrovarmi a terra in bagno a causa di uno svenimento: ed è per questo che, poverina, ha sfidato la sorte venendo a portarmi una tazza di tè iper zuccherino nel tentativo di integrare i liquidi rapidamente, inaspettatamente e quasi inconsciamente persi.

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