sabato 25 febbraio 2012

finalmente il parto (parte terza)



Mi rendo conto che, spezzettando la narrazione dell’allunaggio in così tanti episodi, si può avere l’impressione che si sia trattato di un parto più lungo dell’intera gravidanza: insomma, simile a quello degli elefanti.

E invece no: io che tanto temevo le lunghe ore di travaglio (più perché mi chiedevo: ma che caspita faccio in tutto quel tempo?), che temevo l’insopportabilità del dolore e che mi chiedevo chissà come sarebbe successo ho avuto una bella sorpresa. Una sorpresa che - a dirla tutta - ancora oggi che Sofia ha 24 giorni, forse proprio per la rapidità e l’imprevedibilità del tutto, mi fa dubitare che sia successo veramente; e mi fa pure ancora dubitare sull’avvenuta trasformazione in “mammaconicalzettoni”: d’altronde, e forse è giusto sia così (??), continuo a pensare a me come prima, nel senso che cerco – quando dorme o quando posso approfittare del papà – di accendere il computer e andare su internet, di pulire casa (che è diventato un diversivo piacevole rispetto all’inspiegabilità di certi suoi pianti) e pure di prendermi cura di me.

Non a caso, una delle prime cose che mi ero ripromessa di fare dopo il parto era togliermi i baffi con la crema depilatoria: fatto, non ho più i mustacchi alla Cecco Beppe. E, seconda cosa che mi ero ripromessa: tornare a dormire a pancia in giù: fatto pure quello, e la mia schiena ringrazia.


Comunque, eravamo rimasti sulla soglia della sala travaglio, abbandonata a corpo morto tra le braccia dell’infermierona e di Lui per essere trasportata in sala parto dove mi aspettava l’ostetrica per una semplice visita. Nel corridoio ci imbattiamo nella dottoressa C. che, vedendomi così malconcia, decide di prolungare il suo turno (ormai finito) per accompagnarmi in questa nuova tappa e vedere a che punto siamo.

«No, lei rimanga fuori: tanto è solo una visita»; e così Lui, che da mesi si stava preparando all’ingresso trionfale in sala parto, pronto anche a guardare lo spettacolo dalla prima fila, vien rimandato indietro. Ho saputo poi che per far fronte alla delusione provocata da questo altolà, ha pensato di fiondarsi sul panino. Per poco però: appena mi siedo sul lettino della sala parto, l’ostetrica E. in seguito a una rapida occhiata alla … pista d’atterraggio, annuncia a gran voce:
«Ma qui si vedono già i capelli!»
«Beh, se si vedono vuol dire che li ha», abbozzo con un filo di voce mentre intorno a me percepisco, nel mio stato di persistente semi-incoscienza, un gran movimento, con la dottoressa C. che si piazza al mio fianco, l’infermierona che corre a chiamare Lui, Lui che – il boccone fra i denti - viene infilato nel camice verde e costretto, pure lui, a sottomettersi agli ordini dell’ostetrica. Già, perché c’era anche la dottoressa C, ma la vera regista era lei : e guai a metterlo in dubbio, pena un manrovescio ben piazzato.



Descrivere cosa sia successo poi è difficile: le voci si mescolavano, con l’ostetrica che mi urlava il classico «Spingi! Respira!», condito da rimproveri per la mia (a suo parere) scarsa decisione e “aggressività”; la dottoressa che dal canto suo mi difendeva («Ma no! Conoscendola è bravissima!») e Lui che, ancora una volta, aveva indossato i panni dell’aiuto ostetrico/ginecologo e ripeteva le incitazioni della “regista”, sempre più simili (almeno nel tono) a degli insulti.
E io che, come non avrei creduto di fare, urlavo: stremata, mi chiedevo nuovamente – come accaduto durante il travaglio – se non si potesse tornare indietro. No, in effetti non si poteva: ormai lo shuttle si stava facendo vedere, un pochino di più a ogni spinta. Per smorzare l’atmosfera Lui, a cui l’ostetrica aveva assegnato il ruolo di “reggitesta”, esclama infatti, con tono tra l’inorridito e il divertito: «Non sarò lì davanti, ma anche da qui vedo tutto!».


Poi, all’improvviso, un vagito: forte, sonoro, incazzato. Percepisco sciogliersi la tensione che aleggiava nella stanza, la dottoressa C. mi abbraccia, mi bacia entusiasta e continua a dirmi che sono stata bravissima, «Tu, che avevi tanta paura!». Lui sorride e inizia a ripetere che è bellissima. La vedo solo quando la portano fra i nostri volti: piccola rossa, piangente: sembra un uccellino indifeso, così com’è tutta nuda.

Chissà se è contenta di essere allunata, chissà se stava meglio dov’era prima. Non è, effettivamente, che mi sia chiesta tutto questo: ci sto pensando ora, rivedendo come in un film quei momenti che, come ho scritto, mi sembrano ancora irreali. Certo, il dolore che ho provato dopo quando - da coprotagonista umana - sono stata declassata a tacchino del ringraziamento da pulire, ricucire e sistemare, è stato oltremodo reale: e non è proprio vero che il dolore del parto si dimentica appena vedi il fagottino: anche se incrociare i suoi occhi e scoprire i lineamenti di chi, per nove mesi, ha usato la sua navicella come campo di calcetto, è qualcosa che occulta temporaneamente la percezione del tuo corpo.
Corpo che, da uno, è diventato due: e allora, una volta trasportata in camera, il tempo sembrava essersi dilatato a dismisura. Sofia e Lui erano stati presi, credo ambedue di peso, per essere portati nella nursery dove fare i primi controlli e i primi trattamenti di bellezza: a me quel tempo è sembrato interminabile. Ora che ero tornata in possesso delle mie facoltà e avevo recuperato un po’ di forza volevo finalmente conoscerla, vederla, tenerla in braccio.


E quando Lui è entrato nella stanza con un sorriso gigantesco e luminoso e Sofia infagottata fra le braccia è iniziata la nostra nuova avventura a tre.

p. s: insomma, non l’ho detto ancora chiaramente ma le grandi manovre sono iniziate ufficialmente (cioè con le contrazioni più serie) intorno alle 11; alle 13 mi hanno portata in sala parto per la visita, dopo circa un quarto d’ora hanno chiamato Lui: e Sofia è arrivata alle 13.40.

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