lunedì 2 gennaio 2012

non dire booomba!



Da quando siamo in trasferta ho scoperto la tv, o meglio: ho scoperto serie televisive che, seppur replicate e stra-replicate, non avevo mai visto. E così, subito dopo pranzo, mi svacco sul lettino nella mia vecchia cameretta e, insieme ai gatti e alla mamma-nonna, ho preso l’abitudine di guardare “Un medico in famiglia”, ormai giunto alle ultime stagioni. Ieri è toccato alla puntata in cui la figlia maggiore, dopo aver comunicato alla famiglia l’imminente arrivo di un pargolo, si chiude piangente nel bagno per confessare alla nonna di sentirsi come una bomba a orologeria.

Ecco: è esattamente così che mi sento e sebbene questo pensiero mi abbia pressoché accompagnato in tutti gli ultimi 9 mesi, adesso ovviamente tale sensazione ha valicato lo status di metafora per diventare qualcosa di molto più calzante e reale. Da qualche giorno, forse da quando giovedì scorso ho avuto l’esperienza del prericovero in cui il monitoraggio ha rilevato 4 contrazioni in 10 minuti (indicati dal primario come uno dei sintomi dell’inizio dell’allunaggio), penso più o meno costantemente a quando e come succederà. Riferito, ovviamente, al momento in cui dovremo correre in ospedale. Saremo a casa nostra o ancora in trasferta? Sarò da sola o con qualcuno? Sarò in casa o fuori, rischiando – in caso di rottura improvvisa delle acque - di sprofondare dalla vergogna perché ho appena inondato la corsia del supermercato? Sarà notte o giorno? Ci sarà Lui o la mamma-nonna? E, quest’ultima domanda, mi fa sorgere molti dubbi su chi dei due sarà più agitato, tanto da scambiare il borsone dell’ospedale con quello che uso per la palestra.

E non solo: altro pensiero che già avevo ma che in questi ultimi giorni si è rinforzato è quello del «può essere l’ultima volta che…». Che faccio una cosa da sola o con Lui come andare al cinema, guidare, andare in piscina, passeggiare, semplicemente leggere. Non è che sia improvvisamente diventata ipocondriaca ma da domenica a oggi percepisco movimenti molto più decisi delle solite sedute di nuoto della piccola sirenetta, che ancora si diverte a creare improvvisi spuntoni nella rotondità della sua piscinetta per poi riappiattirli con ondulazioni danzanti. Percepisco, cioè, delle brevi fitte, delle pulsioni proprio a valle della navicella: oltre, ed è questa la “meraviglia” del periodo, a sentirmi come un tricheco ingombrante che, ora sì, assomiglia sempre più a una donna incinta. Di quelle che quando si alzano da sedute devono aggrapparsi a qualsiasi appiglio al loro fianco, che per camminare tengono una mano dietro la schiena con espressione possibilmente sofferente e che condiscono ogni movimento con ampi sospiri. Ogni cosa, insomma, sta diventando faticosa e sempre più insistente il sentimento di impreparazione: almeno da parte mia e della mamma-nonna. Lui, beatamente, continua a non battere ciglio divertendosi solo a seguire alla moviola i movimenti della piccola ginnasta nel vano tentativo di intercettarli. Come una brava donnina in fieri, infatti, sta coltivando un’astuzia mirabile per cui appena Lui si avvicina tutto tace; salvo poi riprendere con vigore quando siamo in intimità lei e io.

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