giovedì 12 gennaio 2012

AAA cric cercasi



Meno quattordici. E meno chissà quanto al rientro in casa.

Stanotte me lo son pure sognata, che andavamo dai tecnici a chiedere quando avrebbero sistemato la caldaia e io, sbattendo la pancia in faccia a uno di loro, lo ammonivo dicendo: «Guardi che qui stiamo per partorire». Ed è appunto per questo, in primo luogo, che servirebbe il cric: per riuscire a mantenere alta la piccola mongolfiera. Perché, come dicono, il momento giusto è annunciato dal calo della panza. Un’ovvietà, si potrebbe dire; salvo che Lui, l’altro giorno, mi ha chiesto candidamente «Perché?». «Mah, non so: secondo te sbucherà dalla bocca??».
Comunque forse, al posto di un cric, servirebbe un’impalcatura stabile e un’adeguata cucitura per evitare che la principessa, stufa di nuotare in piccoli spazi, decida di affrontare il “mare magnum” della vita prima della scadenza ufficiale. Non che voglia posticipare di troppo il suo arrivo, dato che le difficoltà di movimento, la stanchezza e i suoi andirivieni nella navicella si stanno moltiplicando al punto che il famigerato cric servirebbe piuttosto per aiutarmi ad alzarmi - a seconda del momento della giornata - da letti/divani/sedie mentre mi viene il fiatone non più solo se salgo le scale ma pure se alzo le tapparelle delle finestre.
Il lavaggio del cervello che le sto facendo per tener duro è dovuto al desiderio di rientrare in casa prima del suo arrivo. Per permetterci di riprendere in mano la casa con una nuova, rapida botta di pulizie; per darci il tempo di sistemare pure lo sgabuzzino con ulteriori mensole, doverose a seguito dello sgombero della cameretta; per riuscire a fare la spesa almeno dei generi a lunga scadenza (leggi scatolette), indispensabili nei primi giorni seguenti l’allunaggio; per garantirci almeno una serata romantica/intima/tranquilla Lui, io e l’adorata pizza al taglio presa scendendo le scale.
Ma chissà: non so se sono più arrabbiata, scocciata, delusa, disillusa, rassegnata per come sono andate e come andranno le cose. Provo a convincermi che magari, quando la bimba sarà grande e le racconteremo questa “never ending story of working” ne rideremo: al momento, però, questo più che un pensiero mi pare un’utopia.

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