mercoledì 7 dicembre 2011

calci? no, triathlon



Lo avevo immaginato: era già successo anche in passato. La bellezza dell’essere precari è che a periodi di assoluta magra lavorativa, in cui saresti tu a pagare pur di dare un minimo senso alle tue giornate, si alternano fasi in cui devi saltellare da un incarico all’altro, meglio se di natura completamente diversa, con orari compatibili fra loro ma del tutto incompatibili con la possibilità di avere un po’ di tempo per sè. Quindi: ti può capitare di fare la cassiera al supermercato sostituendo il normale “Grazie, a Lei il resto” con un “Le ho già parlato della nostra offerta telefonica?”. Sono solo degli esempi, a me non è capitato proprio così: per fortuna ho sempre avuto impieghi con denominatori comuni come la scrittura e il computer o le sale di un museo, ma dovevo star attenta a non inserire la descrizione di un quadro di genere di metà Ottocento nella recensione dell’ultima rappresentazione di un balletto di danza contemporanea.

Insomma: lo avevo (anzi: avevamo) immaginato che a mesi di semi paralisi, in cui ho cercato di darmi degli obiettivi di ricerca personali da sviluppare sia durante la gravidanza sia nei primi mesi della principessa dando vita a pubblicazioni che fanno curriculum, si sarebbe sostituito un momento di offerte. Perché, devo essere sincera, finora nella sfiga del precariato, sono state di più le volte in cui mi hanno cercata piuttosto che quelle in cui sono andata a caccia io.

E così ieri ho avuto ben due incontri di lavoro: al mattino con degli amici artisti per un progetto nato nella mia testa e che sta prendendo corpo nella speranza di poter essere accolto e svilupparsi; la sera, con un nuovo e per me inedito gruppo di lavoro. Grazie a un amico sono infatti stata proposta come addetta stampa di una locale associazione di triathlon sport di cui, a dire il vero, non sapevo nulla finchè non sono stata contattata ma che, a ben vedere, risulta oltremodo metaforico delle difficoltà lavorative attuali. Come si conviene a un gruppo prettamente (leggi: unicamente) maschile, la riunione, finalizzata a puntualizzare alcuni aspetti in vista delle prossime gare e a farmi conoscere i membri attivi della società, si è svolta in una pizzeria fin quasi a mezzanotte fra discussioni più o meno animate in cui cercavo a volte di inserirmi e, soprattutto, di arrabattarmi fra gare adriaman, duathlon e acquathlon.

Ciò che ho capito in modo inequivocabile sono due aspetti:

1.         la fantasia dei genitori una quarantina di anni fa (età media dei partecipanti all’incontro) era molto inferiore a quella di oggi: su una decina di persone, la metà si chiama Marco: almeno così – come ha detto serafico Lui quando, dopo ventiquattr’ore che non ci vedevamo, stamattina gli ho raccontato l’esito della serata – chiamando un solo nome ho sempre la speranza che si giri qualcuno;

2.         la perspicacia maschile è sbalorditiva: solo al momento di alzarmi per andarmene, mentre infilavo il piumone, uno alla volta i miei nuovi colleghi si sono accorti di avere davanti una navetta madre; e, come sempre più spesso mi accade, ho provocato scene di sbalordimento collettivo quando ho dichiarato di essere all’ottavo mese abbondante: alcuni pensavano fossi al quinto, altri al terzo.

Una scoperta inattesa è stata invece vedere come, nonostante l’ora tarda, arrivata a casa non sono riuscita a dormire per un’altra ora svegliandomi poi stamattina in tempo per aiutare i panificatori della zona a infornare la focaccia. Il motivo? Pare che la principessa, dopo aver tanto sentito parlare di triathlon, abbia voluto provarlo in prima persona. Ed ecco allora che, di volta in volta, ha scambiato la sua piccola carrozza per una piscina olimpionica, per uno sterrato da percorrere in mountain bike e una pista di atletica dove correre all’impazzata. Chissà: magari l’ha fatto per aiutarmi a entrare meglio nella mentalità del nuovo lavoro, solo che adesso dovrò sostituire i vestitini rosa zuccherosi con più dinamiche tutine in fibra sintetica. Per entrambe le mise si presenterà, comunque, la difficoltà già rilevata dalla mamma-nonna che – mettendo ad asciugare i body – si è interrogata sulla possibilità che esistano dei gancini mignon. Al che ho suggerito di usare le mollettine con cui i fiorai appuntano le buste ai loro colorati bouquet.

1 commento:

  1. .... bellissima descrizione sull'origine "genetica" del triathlon!

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