venerdì 4 novembre 2011

a te, che mi manchi



Potrei scrivere di quanto ci abbia fatto bene, ieri sera, andare al corso pre-parto per imparare a cambiare pannolini, fare il bagnetto, medicare l’ombelico, preparare la borsa per l’ospedale (e, a questo proposito, già immagino le contestazioni sul contenuto da parte della mamma/nonna).

E invece, ancora una volta, un post malinconico; ma non uno dei soliti su di me e le modifiche che sto affrontando. E’ un post ricordo, pensando a una persona che oggi mi manca più degli altri giorni e mi costringe ad aggiungere lacrime alla già abbondante pioggia che vedo dalla finestra. Perché se anche sono passati 18 anni, per il vuoto che sento dentro è ancora come se fosse quel pomeriggio, quando ho sentito ripetutamente dire “è andata” chiedendomi incessantemente “sì, ma dove?”.

Forse è vero: chi se ne va inizia una vita migliore, va a popolare un mondo più sincero, autentico; ma chi resta alle angosce e preoccupazioni del quotidiano deve aggiungere quella dell’assenza di una persona che – diciamolo onestamente – magari tanto perfetta non era: magari in questi anni ci avresti litigato, vi sareste insultati, mal tollerati. Eppure la sua fortuna è quella di poter rinascere completamente mondata da difetti nel ricordo e nell’immaginazione degli altri.

E allora tendi a ricordare le volte che lei è venuta alla lezione dimostrativa e ai saggi di danza e a quando, costretta a rivedere per l’ennesima volta la registrazione, ha comunque detto “Visto che brava che è mia nipote?”; ripensi soltanto alle volte in cui avete giocato a pallavolo nel cortile di casa o a quando vi siete sfidate per la prima volta a Scarabeo dopo la tua operazione alle tonsille. La rivedi davanti a te seduta in quel bar del centro a bere un tè con i pasticcini, la immagini mentre dall’ospedale risponde alle lettere in cui sfoghi le tue pene d’amore per quel compagno del Liceo che neppure ti considera; la ricordi quando, con prontezza, ha chiesto alla commessa del negozio un puntalapis perché il temperamatite non sapeva cosa fosse.

Però la rivedi anche debole e forse rassegnata, infastidita e nervosa perché non più autonoma; eppure, sempre, con gli occhi pieni di luce. E allora, anche se nessuno te l’ha mai raccontato per bene ma l’hai solo potuto intuire leggendo i suoi diari e trovandoci dentro una tua foto nella carrozzella bianca e blu, allora immagini quanto potesse essere contenta di essere zia: e inondi il computer di rabbia perché vorresti che adesso fosse qui, a ridere con te del comcomerino, a sentire i suoi movimenti, a rassicurarti sul fatto che tutto andrà per il meglio e lei sarà sempre lì pronta ad aiutarti.

Ora è meglio che smetta: altrimenti non serve che vada in piscina per fare un po’ di acquagym ma basta che mi metta il costume in soggiorno.

2 commenti:

  1. Caspita, devo dire che sei davvero brava a trasmettere emozioni con le parole. Non conosco ovviamente la persona a cui ti riferisci, ma mi hai trasmesso una tale emozione che non sono riuscita a trattenere la lacrima!
    Brava a scrivere
    Brava a cominicare
    Brave e basta
    Silvia

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  2. Grazie, del brava ma soprattutto sono contenta - se così si può dire - di essere riuscita a emozionarti

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